Musetti e la via difficile dei sogni
di Davide Re
Il campione italiano ha sconfitto alle Finals Atp Alex de Minaur, in una partita epica in cui tutti ci riconosciamo, grazie alla nostra imperfezione quotidiana

Non rappresenta l’Italia, Lorenzo Musetti. Rappresenta qualcosa di più profondo: rappresenta una parte di noi. Quelli che non sapranno mai essere all’altezza di uno Jannik Sinner o di un Carlos Alcaraz, che non conoscono la perfezione, ma sanno cosa vuol dire sentire la bellezza dentro l’imperfezione. E quella parte di ognuno di noi che, tra una cosa facile e una difficile, sceglie quella difficile — perché le cose grandi passano attraverso la fatica, l’avventura, il sogno. E quando qualcuno ci propone il rischio e non la sicurezza, noi dal profondo diciamo senza indugio: <<Eccomi, ci sono, sono pronto>> e gettiamo il cuore oltre l’ostacolo. La vittoria di ieri sera alle Finals - contro il sempre ostico Alex de Minaur per 7-5 al terzo set, con l’ultimo game concluso con un dritto incrociato da leggenda e con la mano sul cuore - è stata più di una partita di tennis: è stata per Lorenzo una vera resurrezione. Musetti è tornato come l’araba fenice, ribaltando il destino con la forza del talento e della disperazione, nonostante la fatica accumulata nelle scorse settimane e le solite intemperanze verbali che ne fiaccano molto l’immagine. Contro un avversario più regolare, più “programmato”, ha deciso di rompere gli schemi. Ha alzato la traiettoria del dritto, cercato la profondità, trovato coraggio nel rovescio lungolinea, il colpo che segna la sua identità. Perché lui lo fa ad una mano e non a due come tutti. E quando serviva lucidità — nei game chiave del terzo set, sulle palle break difese con coraggio — ha mostrato un controllo nuovo, una calma che nasce solo dalla consapevolezza di aver toccato il fondo e di voler risalire. In lui c’è la nostra umanità: la forza che nasce dalla fragilità, la bellezza che non elimina il dubbio ma lo attraversa. Ogni punto giocato sembra dire che nulla è preordinato — come nella fisica quantistica, tutto è probabilità. E finché esiste anche solo una possibilità, può diventare reale. È questa l’emozione che ci dà: la consapevolezza che il futuro non è scritto, che anche l’impossibile può accadere se lo si immagina abbastanza forte. Musetti ci rappresenta perché non si arrende mai all’evidenza. Quando fallisce non si rifugia nella consolazione, ma reclama un’altra occasione. È l’uomo della seconda possibilità, quello che non si accontenta di aver “giocato bene”: vuole riscrivere la propria storia, anche a costo di soffrire, ancora, ancora e ancora. Come un eterno ritorno, che poi è tipico del tennis come la sua ambiguità: vittoria, sconfitta, vittoria, sconfitta. E quando riesce a trasformare la fragilità in furia — quella furia degli dei che ribalta il destino — come negli ultimi game di battaglia allora capiamo che in lui c’è qualcosa di nostro. Ieri sera, nel palasport di Torino, Lorenzo ha ritrovato e riscoperto sé stesso e con sé ha ritrovato tutti noi: quelli che non smettono di credere nei sogni, anche quando il mondo ci dice che non esistono. Perché il tennis, come la vita, non è solo una somma di punti, ma una partita giocata sul confine tra destino e volontà. E in quell’attimo sospeso, quando la palla supera la rete e il tempo si ferma, Musetti non è più solo un tennista: è la prova che la via difficile — quella dei sogni — è l’unica che valga davvero la pena di percorrere. Anche perché quando si compiono rimangono per sempre, anche se sono durati solo un istante.
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