Mi commuovono le piazze piene per Gaza. Ma non toccate la vita (e Giovanni Paolo II)
Finché al mondo rimane qualcuno che s’indigna per l’ingiustizia, le guerre, le mafie mi dico che c’è speranza. Ecco perché stonano le offese a chi difende la vita “invisibile”

Mi avete commosso. Quando siete scesi in piazza, mi avete commosso; quando vi ho visto inneggiare alla vita mi avete commosso; quando avete sfidato il carcere e la morte mi avete commosso. C’è speranza, mi sono detto. Finché al mondo rimane anche una sola manciata di persone che s’indignano per l’ingiustizia, le guerre vigliacche e blasfeme, la sopraffazione, le mafie, le morti degli innocenti, vuol dire che possiamo continuare a sperare. Che possiamo riprendere il bandolo della matassa e ricominciare. Ricominciare: ecco uno dei verbi che mi piacerebbe saper coniugare in ogni lingua. Confesso: se fosse dipeso da me sarei andato a mettermi davanti a un cannone. Se potessi barattare la mia vita con quella di un bambino – di Gaza, di Gerusalemme, di Caivano o di Kiev – lo farei. Il dubbio – atroce, martellante – è sempre lo stesso: faccio bene o faccio male a prendere questa decisione? Il mio gesto, cioè, serve al vero bene di coloro che stanno soffrendo o – per una strana eterogenesi dei fini – dovesse approdare sulla riva opposta?
Guardo con attenzione la politica estera. Non vorrei essere nei panni di coloro che con un gesto, una firma, una parola decretano la morte o la vita di migliaia di persone. I credenti pregano per i governanti di questo mondo. Credo che solo un folle possa credere che in Italia a qualcuno piace fare la guerra. Almeno questo benedetto patrimonio accumulato negli anni teniamocelo caro. La domanda che tutti ci tormenta è: per quali canali possiamo navigare perché la pace possa fare un passo avanti? Diplomazia. Non nego che a volte questo termine mi è apparso ipocrita, lento. Di fronte ai cannoni che tuonano, ai palazzi che crollano, ai bambini dilaniati, alle fosse comuni, bisogna intervenire, fare in fretta. Sento il bisogno di correre, sì, ma dove? Ci sono situazioni nelle quali possiamo fare tanto, altre tanto poco. Mi piace pensare che la diplomazia è imparare a ragionare, rimanere uniti, saper rinunciare anche a un nostro progetto per il bene comune. Chissà, diplomazia vuole anche dire sapersi accontentare di una vittoria parziale, di accettare di essere umiliati dal più potente di turno pur di vedere limitato il numero delle vittime. Per amore si fa tutto. Per amore accetto di essere preso a schiaffi; per amore ingoio le offese e le amarezze. Per amore rinuncio a vendicarmi. La vendetta. A che serve questa serpe più velenosa di quella che morse per prima?
Mi sono commosso, dicevo. Sì, è vero, ogni manifestazione pubblica porta con sé tanti benefici e qualche disagio. È il prezzo da pagare. Mi sta bene. Mi sta bene tutto. Gridiamole insieme le parole magiche: giustizia, libertà, pace, vita. Gridiamole abbracciati. Il guaio è che la nostra incapacità di ragionare, di distinguere, di essere onesti e imparziali, immediatamente ci intruppa a destra o a sinistra, quindi in amici e nemici. Una vera maledizione. Come se la gente non sapesse più decidere di testa propria. Libertà, quanto mi sei cara! Per te, negli anni morirono i migliori. Per te, voglio vivere e morire anch’io. Grazie, fratelli, sorelle, amiche e amici che sapete scandalizzarvi davanti alla stoltezza dei potenti di questo mondo. Grazie, cari giovani, per la vostra disponibilità, la vostra sensibilità. Grazie che ci siete. Grazie perché ridate fiato ai miei sogni. La vita, innanzitutto. No, non mi scandalizza se quello di Gaza debba essere considerato un genocidio o una guerra. Non mi scandalizza il numero dei morti altissimo. Mi scandalizza che nel 2025, dopo due orribili guerre mondiali, dopo due spaventosissime bombe atomiche, dopo milioni di morti nei gulag e nei campi di sterminio, siamo ancora a illuderci che per vivere bene io e la mia famiglia devi morire tu e il tuo popolo. L’inferno sono gli altri: quanto male ha fatto questa convinzione. Se mio figlio è stato ucciso, con lui sono morti tutti i bambini del mondo.

Per questo motivo sono rimasto addolorato – ho detto addolorato non allibito – nel vedere qualcuno – dieci? cento? – tirare uova marce contro la sede nazionale di Pro Vita e famiglia a Roma, insieme a quei “Vaffa…” gridati contro chi ha orrore della guerra e lotta per la vita. E poi, quelle scritte ingiuriose con cui, sempre a Roma, è stata imbrattata la statua di Giovanni Paolo II, testimone e difensore della vita umana. Offenderlo è, quantomeno, una contraddizione, un assurdo logico. Come facciamo ad amare i bambini di Gaza se non sappiamo poi, non dico amare, ma anche solo rispettare, chi ama la vita come noi la amiamo? Lo so, lo so che a dare noia a tanti è l’amore espresso anche per la vita nascente, quella invisibile, indifesa. Ma come invisibili e indifesi sono i piccoli di queste guerre atroci.

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