Manca un arbitro nella partita del mondo

Le Nazioni Unite rispondono all'esigenza di porre limiti alla sovranità statale. A giudicare dalla cronaca di questi ultimi anni, invece delle carte dei diritti, abbiamo solo diritti sulla carta
September 23, 2025
Manca un arbitro nella partita del mondo
ANSA | L'intervento di Donald Trump durante l'80esima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite al Palazzo di Vetro
In fisica, la freccia del tempo non può volgersi al passato. In politica internazionale, invece, la regressione può essere una realtà. Ottant’anni orsono, al termine di un Secondo conflitto mondiale devastante, in cui per la seconda volta l’Europa e il mondo commisero un immane fratricidio, le Nazioni Unite furono create su alcuni pilastri. Anzitutto, la pace, la risoluzione pacifica delle contese. In secondo luogo, come corollario pratico, la sicurezza collettiva, per impedire che ogni Stato continuasse a farsi giustizia da sé. Infine, una rappresentatività universale per i membri dell’organizzazione. Le Nazioni Unite rispondevano ad un’esigenza fondamentale, quella di porre limiti esterni alla sovranità statale, in un mondo in cui vigeva ancora il principio del non-riconoscimento di autorità sovraordinate agli stati nazionali. In un contesto internazionale ancora dominato dall’anarchia (non c’è un governo mondiale, ed è meglio così) gli Stati hanno cercato quanto meno di uscire dall’anomia, dall’assenza di norme.
Tuttavia, se dobbiamo giudicare dalla cronaca di questi ultimi anni, invece delle carte dei diritti, abbiamo solo diritti sulla carta, come nel caso diritto internazionale umanitario calpestato ovunque, in modo scandaloso a Gaza. L’Onu rappresentava la realizzazione di una società internazionale di Stati, dotata di regole, istituzioni comuni, convinzioni minime condivise. Oggi l’impressione è che si ritorni invece alla cruda realtà del sistema internazionale, cioè un ambiente pericoloso, in cui conta la potenza, se non la prepotenza. Stati potenti, o iper-potenti, rendono necessariamente le Nazioni Unite impotenti. È questo il senso ultimo, se vogliamo, del detto di nuovo conio, ma già vecchio di secoli, “pace attraverso al forza”.
Le Nazioni Unite, peraltro, sono state fin dall’inizio un sistema intrinsecamente contradditorio, che ha tentato di declinare la democrazia tra gli Stati (con l’Assemblea Generale, dove ogni membro ha un voto, indipendentemente dalla sua stazza) con l’oligarchia del Consiglio di Sicurezza, dove siedono cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) per giunta con diritto di veto. Un sistema che oggi è contestato dai Paesi emergenti, e che rischia di perdere ogni legittimità per la sua scarsa rappresentatività, demografica, economica, culturale e persino religiosa. Molte ipotesi sono state messe in pista, tra cui quella che suggerisce di trasformare il Consiglio di Sicurezza in un consesso un cui siano rappresentati i continenti (i grandi gruppi delle regioni del mondo) piuttosto che gli Stati tradizionali ancora fondati sul dogma di Vestfalia, che consente loro di auto-accreditarsi come unici rappresentanti dei popoli.
Ma non è tempo di ingegnerie istituzionali, la questione è essenzialmente politica. Il rischio maggiore, per le Nazioni Unite, è quello della crescente irrilevanza. In nessuno dei due grandi conflitti in corso (in Ucraina e a Gaza) le Nazioni Unite hanno potuto svolgere alcun ruolo realmente significativo. D’altra parte, per usare una metafora tratta dal mondo delle imprese, nessuna società può funzionare con un consiglio di amministrazione spaccato e profondamente diviso sugli scopi aziendali. Ed è quindi paradossale che – come ha fatto Trump nel discorso di ieri alle Nazioni Unite – proprio coloro che minano alle radici le fondamenta della cooperazione internazionale – con iniziative unilaterali, come ad esempio i dazi – siano quelli che accusano l’Onu di inefficacia. Putin ha fatto lo stesso con la sua “operazione militare speciale”, nella neo-lingua orwelliana oggi in auge in campo internazionale.
Nello scenario più ampio, siamo dinanzi al deterioramento del multilateralismo (le organizzazioni internazionali) a favore del multipolarismo (il confronto tra le grandi potenze). Ci si potrebbe rallegrare di un mondo più plurale, ma se il confronto si svolge al di fuori delle istituzioni comuni, come l’Onu, è prima o poi destinato a diventare competizione sregolata, se non conflitto. Al di fuori del mito, cos’è davvero il multilateralismo del sistema delle Nazioni Unite? Detto in poche parole, è un sistema che favorisce la socializzazione degli Stati, e, in ultima analisi, la democratizzazione della politica mondiale. Da questo punto di vista, il multilateralismo è già un fine in sé stesso, perché crea le condizioni per la fiducia reciproca, che deriva dall’appartenenza ad uno stesso “club”.
Naturalmente, ciò non basta. Per parafrasare Jean Monnet, «nulla è durevole senza le istituzioni, ma nulla è possibile senza gli uomini». Sono le scelte politiche a dare vitalità alle istituzioni o a renderle inerti. Nessuna riforma dell’Onu, per quanto perfetta, potrà funzionare se la politica internazionale continuerà ad essere intesa come un gioco a somma zero, con vincitori e perdenti. Alla fine, perderemo tutti.
Docente di Diplomazia e negoziato LUISS

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