L'orrore continua, non possiamo lasciare indietro il popolo ucraino

Vedremo un’altra stagione di combattimenti in trincea e di lanci a distanza fino alla prossima primavera, senza vere svolte. Bisogna dare a Putin chiari messaggi di unità
October 5, 2025
L'orrore continua, non possiamo lasciare indietro il popolo ucraino
Una bambina con bandiera ucraina presso un memoriale improvvisato per i soldati ucraini e stranieri caduti, a Kiev
Sono in corso due tragici conflitti che ci riguardano da vicino, e risulta difficile rimanere sensibili e informati su entrambi. Sembra una considerazione ingenua, ed è per questo che non la si vede spesso esplicitata, ma dovremmo farci seriamente i conti. Mentre in queste ore è in corso una grande mobilitazione per Gaza, doverosa quanto forse tardiva, la questione ucraina viene lasciata in disparte. Anche le diplomazie più coinvolte – dall’Europa agli Stati Uniti – spostano la loro attenzione quasi fosse un pendolo che oscilla da una parte all’altra. Il vertice Trump-Putin di Ferragosto, che sembrava l’avvio di un negoziato di pace risolutivo, ha lasciato presto il campo alla “delusione” del presidente americano e alla continuazione delle ostilità senza alcun mutamento nelle quotidiane stragi, ormai spesso poco illuminate dai media. Come italiani, ci siamo moderatamente e brevemente allarmati per le incursioni e i sorvoli di droni dalla Polonia alla Germania e i brevi sconfinamenti di jet militari russi, ancora meno per i cyberattacchi e le campagne di disinformazione via web. Niente però di serio quando si tratta di considerare sino in fondo le implicazioni di queste azioni di cosiddetto conflitto ibrido. Si sono sentiti risuonare ad alto livello politico inviti ad abbattere i velivoli di Mosca che varcano le frontiere dell’Alleanza, con una leggerezza e una sottovalutazione delle possibili conseguenze che spaventano. Eppure, di fronte a un aumento di episodi tesi a innervosire la popolazione e disturbare le attività ordinarie, qualcosa dovremmo mettere in campo, che non siano necessariamente atti di guerra aperta preventiva.
Che cosa sta succedendo, quindi, sul fronte allargato, e come dovremmo muoverci? Dopo oltre tre anni e mezzo dall’inizio dell’invasione russa (24 febbraio 2022), il quadro bellico è sostanzialmente fermo su linee tracciate da tempo. Tuttavia, dietro l’apparente stallo, l’esercito aggressore continua a spingere per ulteriori sfondamenti a prezzo di altissime perdite, e le forze ucraine tamponano con risorse sempre più scarse la pressione nel Donbass e tutta la parte orientale del Paese. L’assenza di immagini e di numeri certi dei caduti, sommata alle iperboli diffuse dalle due parti per fiaccare l’avversario e non demoralizzare la propria opinione pubblica, fa sì che non vi sia quell’ondata emotiva che accompagna la distruzione di Gaza, segnata da bombardamenti, carestia ed esodo forzato mostrati in mondovisione. Ci sono, certo, i missili e le bombe sulle case nelle città, a ondate periodiche. Tuttavia, non dobbiamo nasconderci che i “piccoli” numeri di vittime per ogni incursione non incidono più di tanto nella nostra assuefazione all’orrore. Dovremmo, in ogni caso, ricordare che sono le difese anti-aeree – cui tutti i membri della coalizione, Italia compresa, contribuiscono – a ridurre significativamente le perdite. Rimane quindi essenziale continuare a sostenere il dispositivo di protezione dei cieli, soprattutto ora che comincia la stagione invernale e che la Russia intensificherà i colpi sulle infrastrutture energetiche per lasciare al gelo la popolazione. Kiev, capace di trasformarsi in una potenza tecnologica nel campo degli armamenti sotto la minaccia esistenziale portata dal Cremlino, cerca invece di indebolire l’unica risorsa che sorregge lo sforzo militare di Putin, ovvero greggio e gas, con raid di ampia gittata su raffinerie, porti e centri di distribuzione, così efficaci da avere ridotto la capacità di raffinazione e l’export di prodotti petroliferi russi di oltre il 15%. In questa partita, si alternano le analisi sulla reale potenza di Mosca e sulle sue intenzioni di lungo periodo. Da una parte, si vede una netta superiorità rispetto a Kiev, all’origine del rifiuto da parte del Cremlino di negoziati che non coincidano con una piena capitolazione del nemico. Dall’altra, il tentativo di creare un clima di tensione direttamente in territorio Ue potrebbe servire a impaurire e dividere il fronte europeo, in modo da provocare una riduzione degli aiuti all’Ucraina da parte di Paesi preoccupati di un’eventuale escalation e poco propensi, dunque, a proseguire l’impegno assunto finora. Una strategia che segnalerebbe l’impossibilità di mantenere un’economia di guerra (con parte significativa della produzione industriale convertita alle esigenze belliche) ancora per anni e, in definitiva, una sostanziale fragilità della Russia. Senza dimenticare che a Pechino si è assistito poche settimane fa al rinsaldarsi di un asse anti-occidentale, con Cina e Corea del Nord, che non va per nulla sottovalutato.
È ormai pertanto probabile che vedremo un’altra stagione di combattimenti in trincea e di lanci a distanza fino alla prossima primavera, senza vere svolte. Mesi in cui si continuerà a morire e a soffrire il gelo, in attesa che il pendolo dell’attenzione e dell’iniziativa torni a oscillare verso questa crisi. Se a Gaza scatterà finalmente una tregua e la situazione umanitaria migliorerà, come non possiamo che sperare e pregare, allora diventerà più facile volgere menti e cuori al conflitto che insanguina il nostro Continente. La mobilitazione e la solidarietà servono a richiamare i governi e le alleanze a rilanciare seri progetti di pace giusta e duratura. Bisogna dare a Putin chiari messaggi di unità e determinazione: non abbandoneremo il popolo ucraino che, anzi, deve entrare nell’Unione, e non smetteremo di usare armi economiche e commerciali per convincere Mosca a trattare condizioni eque per porre fine ai combattimenti (oltre a rifornire gli arsenali del Paese sotto continui attacchi). Ritrovare una linea comune con gli Stati Uniti (le cui vicende interne peseranno fortemente sugli orientamenti verso l’esterno) e gestire in modo condiviso il progetto di un’irrobustita difesa comunitaria, senza velleitarie fughe in avanti, sono precondizioni di tale scenario. Nascondere l’urgenza e la gravità della sfida ritardando le decisioni, magari perché gli schieramenti politici non trovano sintonia su come procedere, potrà soltanto portarci a un brusco e spiacevole risveglio, davanti a una realtà che abbiamo provato inutilmente a rimuovere.

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