Liberi dalla schiavitù del controllo riscoprendo il dono della fiducia
Le relazioni importanti, quelle per cui vale la pena vivere, sono prive di garanzie Per ritrovare il bene di stare insieme, dobbiamo tornare ad essere affidabili sempre

Il bisogno di controllo è un tratto umano pienamente comprensibile; tutti noi avvertiamo una certa inquietudine se pensiamo di affidarci totalmente a un altro, chiunque esso sia: solo il neonato si affida completamente, ma è un affidamento senza possibilità di scelta, conseguenza della sua totale infermità. E anche il neonato, che non ha scelta, presenta alla nascita riflessi automatici di natura protettiva, come il riflesso di Moro, chiamato anche “riflesso dello spavento”: un allargamento delle braccia seguito da un rapido avvicinamento al corpo, in risposta a stimoli improvvisi, come se il piccolo stesse cercando di afferrarsi a qualcosa o a qualcuno. La nostra originaria vulnerabilità ci inquieta, ed è un sollievo raggiungere poco alla volta le competenze che ci permettono il controllo: la possibilità di governare i nostri movimenti e quella di parlare esprimendo i nostri pensieri ci danno un crescente senso di padronanza e sicurezza, perché ci permettono di liberarci dalla soggezione totale all’altro, di affermare noi stessi e di proteggerci da eventuali soprusi. E ppure, se da un lato sperimentiamo tutti in grado diverso questo fisiologico bisogno di controllo, dall’altro abbiamo tutti anche il desiderio di poter rinunciare almeno qualche volta a questa “postura protettiva”: abbiamo nostalgia di qualcosa di molto antico, di un tempo iniziale in cui eravamo contenuti al sicuro in un grembo e poi, per chi ha avuto una madre amorevole, ci siamo sentiti stretti in un abbraccio affidabile.
È una memoria incarnata, una memoria fissata nel corpo, che ci lascia dentro il desiderio di poter fare ancora l’esperienza di sentirci pienamente al sicuro: l’esperienza di poter abbandonare le difese e di sentirci “a casa” quando siamo con l’altro. Fiducia e controllo sono posizioni psicologiche antitetiche; la fortuna di aver sperimentato relazioni primarie affidabili ci rende più aperti alla fiducia, più disponibili a dare credito all’altro rispetto a chi non ha avuto questa stessa fortuna. Rimane però il fatto che decidere di concedere davvero fiducia all’altro andando oltre il nostro naturale istinto di protezione è, sempre e in ogni caso, scegliere di fargli un grande dono. L a relazione affettiva tra l’uomo e la donna è, tra tutte le relazioni, quella in cui il tema della fiducia e il tema del controllo si pongono in modo più radicale. Fidarsi significa infatti in questo caso aprire a qualcuno le porte della nostra intimità, dargli accesso alle nostre vulnerabilità, permettergli di vedere da vicino le nostre debolezze e imperfezioni; fidarsi significa confidare nella sua volontà di mantenere sempre verso di noi uno sguardo di benevolenza, capace di accogliere e medicare ciò che in noi è fragile o ferito. Desideriamo qualcuno che, in continuità con quell’antico desiderio di cui parlavo, sia capace di riconoscerci un valore anche quando sbagliamo, senza approfittarne invece per colpirci alle spalle. Fidarsi significa poter abbassare le difese perché crediamo che la promessa d’amore verrà mantenuta, e che la passione si arricchirà progressivamente di una tenerezza capace di fedeltà malgrado i limiti e le contrarietà inevitabili in ogni storia d’amore.
Proprio perché invita all’affidamento, l’amore vero non dovrebbe perciò essere revocabile: la fiducia dell’altro, quando ci viene concessa, è un dono che chiama alla responsabilità. La famiglia dovrebbe basarsi su questo: una catena di affetti e di reciproca responsabilità; dovrebbe essere il luogo sicuro in cui ognuno “risponde” all’altro e dell’altro facendosene carico nel tempo, e costruendo un legame capace di garantire a tutti i suoi membri cura, protezione, sviluppo. È una sfida non facile, ma è anche l’unica che, se compresa e accolta, può permettere all’essere umano di fronteggiare, senza soccombere alla paura, l’esperienza della solitudine e quella della morte. Ma se la famiglia è il luogo della maggiore intimità, proprio per questo è anche occasione di molte ferite intorno al tema della fiducia; fiducia che può venire tradita, provocando molto dolore. S e non prestiamo attenzione, possiamo colpire l’altro in molti modi, anche senza volerlo; penso ad esempio alle piccole cattiverie, come le frasi che toccano senza delicatezza i punti deboli dell’altro; penso alle trascuratezze, o alle sottolineature velenose dei limiti, fatte in modo più o meno intenzionale. Penso all’incapacità di tenere il segreto confidato da un figlio, o al lasciarsi andare a un’ironia che ferisce la sensibilità. Ci sono poi le piccole ferite involontarie, che derivano più semplicemente dall’essere tutti più o meno persone limitate, disattente, poco generose, pigre. E ci sono purtroppo anche le ferite più radicali, che mettono gravemente alla prova le relazioni: è possibile, per esempio, ricostruire la fiducia dopo un evento grave come un tradimento?
È possibile in questo caso arrivare a qualcosa di più e di diverso rispetto al semplice “riaggiustare” in qualche modo un rapporto che appare irrimediabilmente ferito? Anche quando prende la decisione di non interrompere il rapporto e di provare a perdonare, la persona umiliata da un tradimento cerca a lungo disperatamente (e inutilmente) di trovare delle garanzie che le permettano di non perdere del tutto la speranza. Come fare per fidarsi di nuovo? Come sfuggire all’esasperato bisogno di controllare il presente e il passato, di chiedere continue rassicurazioni, di tornare a visitare minuziosamente e con tormento tutti i ricordi che fanno male? L’esperienza del tradimento ci espone più che mai alla schiavitù del controllo: una schiavitù pesante non solo per colui che ha tradito, ma forse più ancora per colui che è stato tradito, e che non trova modo di rassicurarsi e di trovare pace. In un mondo come il nostro, che io definirei il mondo “dei preservativi e delle assicurazioni”, e nel quale facciamo di tutto per garantirci da ogni imprevisto, emerge con sempre maggior forza una sconvolgente verità: le relazioni davvero importanti, quelle per cui vale la pena vivere, sono prive di garanzie. Niente, infatti, può proteggerci dalla libertà ineludibile dell’altro: esiste solo, per ciascuno di noi, la possibilità e la responsabilità di decidere un giorno dopo l’altro se vogliamo rinnovare a chi amiamo il dono inestimabile e gratuito della nostra fiducia. Sapendo che, se la fiducia viene tradita, non può essere “meritata” o riconquistata, ma può solo essere regalata e ricevuta di nuovo, sempre attraverso un grandioso gesto della nostra libertà. Un gesto che deve poter essere ragionevole, certo, ma che presenta sempre l’eccedenza del dono.
L’anno giubilare, che è un anno di Grazia, ci invita a riflettere allora su questa sconvolgente possibilità: se lo vogliamo, possiamo decidere di liberarci dalla schiavitù del controllo e iniziare a pensare che esiste un’altra opportunità, che è quella di tornare al rischio di fidarci l’uno dell’altro. Possiamo farlo proprio a partire dalle relazioni d’amore tra l’uomo e la donna, che segnano l’inizio di ogni patto sociale. Credo che ognuno di noi, personalmente, dovrebbe sentire come compito cruciale quello di rendersi pienamente affidabile per gli altri, e in primo luogo proprio per la persona che ha scelto di amare. Come genitori, invece, dovremmo riflettere sull’importanza di educare i nostri figli a essere affidabili, e cioè capaci di essere sinceri e di rispettare sempre e comunque la parola data anche quando non sembra conveniente. P er poter ritrovare il bene di vivere insieme, possiamo e dobbiamo tornare ad essere affidabili sempre, in tutti i campi: affettivo, lavorativo, sociale. In questo anno giubilare possiamo chiedere un aiuto per farlo noi per primi. Potremo così riscoprire anche il potere liberante dell’affidamento, che solo può permettere di far riposare il cuore.
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