Le lacrime dei campioni dello sport valgono più di cento vittorie
di Redazione
Dal Bernabeu con gli addii commossi di Ancelotti e Modric al Maradona di McTominay, la chiusura dei campionati è un momento di bilanci e riscoperte passioni, che fanno bene anche ai tifosi

Weekend da occhi lucidi, quello sportivo appena trascorso. Non mi riferisco solo alle lacrime di Scott McTominay, lo scozzese che ha fatto innamorare Napoli e che è scoppiato a piangere come un bimbo, sul prato dello stadio Diego Armando Maradona, al fischio finale della partita che ha regalato il quarto scudetto della storia. Mi riferisco principalmente alle tante lacrime che abbiamo visto scorrere a Parigi, dove Rafa Nadal, nello stadio Philippe Chatrier che lo ha visto trionfare quattordici volte e di fronte agli altri tre grandi del suo tempo Roger Federer, Novak Djokovic e Andy Murray, ha fatto piangere letteralmente tutti gli spettatori presenti, ringraziando per il bellissimo omaggio, simbolo del suo dominio sulla terra rossa di Parigi: una targa con il suo nome, la sua impronta e il numero 14 che è stata svelata, sul campo centrale, dagli organizzatori del torneo, a suggello di una storia probabilmente irripetibile che ha visto Nadal vincere al Roland Garros 112 delle 116 partite disputate.
Altre lacrime si sono versate al Santiago Bernabeu per il saluto al Real Madrid di Carlo Ancelotti e Luka Modric. In questo caso non si tratta di addii allo sport, ma della parola fine a storie incredibili e vincenti, vissute insieme. Proprio Modric ha terminato il suo discorso dicendo: «Voglio lasciarvi con una frase (di Gabriel Garcia Marquez) che mi piace tanto: “Non piangere perché è finita, sorridi perché è successo”». Se ripenso a momenti di intensità simile nella storia dello sport, mi vengono in mente – fra le tante – due occasioni storiche. Nessuno di noi può ricordare la prima, ma si può recuperare facilmente sul web: si tratta del discorso d'addio del giocatore di baseball Lou Gehrig, pronunciato il 4 luglio 1939 davanti a 70.000 spettatori accorsi allo Yankee Stadium di New York. In quel discorso, noto come “luckiest man speech”, Gehrig, malato di sclerosi laterale amiotrofica (Sla), ringraziò il pubblico esprimendo gratitudine per la sua carriera e le opportunità che gli erano state offerte dicendo testualmente, di fronte alla folla commossa: «Oggi mi considero l’uomo più fortunato sulla faccia della terra». Morirà soltanto due anni dopo, a causa del morbo che oggi porta il suo nome. L’altro momento indimenticabile, ancora fresco nella memoria degli appassionati di sport e di calcio, fu l’addio al calcio di Francesco Totti, esattamente come oggi, il 28 maggio, di otto anni fa, allo stadio Olimpico.
Al di là della “temperatura emotiva” di questi momenti, che possono essere più o meno visceralmente sentiti da appassionati, tifosi o avversari, c’è da registrate un fatto: i grandi personaggi del mondo dello sport hanno il privilegio di poter assistere al loro funerale (sportivo) da vivi, possono declinare il loro grazie, possono ricevere l’affetto, nutrirsi dell’amore di chi, a loro, ha voluto bene. Tutta questa bellezza, unica e difficilmente ripetibile, la voglio dedicare a chi, quarant’anni fa, perse la vita in una delle tragedie più orrende della storia dello sport: quella dell’Heysel. Trentanove vittime della bestialità, della ferocia e della incapacità organizzativa, che ai loro cari, invece, hanno potuto lasciare soltanto lacrime, e basta.
Altre lacrime si sono versate al Santiago Bernabeu per il saluto al Real Madrid di Carlo Ancelotti e Luka Modric. In questo caso non si tratta di addii allo sport, ma della parola fine a storie incredibili e vincenti, vissute insieme. Proprio Modric ha terminato il suo discorso dicendo: «Voglio lasciarvi con una frase (di Gabriel Garcia Marquez) che mi piace tanto: “Non piangere perché è finita, sorridi perché è successo”». Se ripenso a momenti di intensità simile nella storia dello sport, mi vengono in mente – fra le tante – due occasioni storiche. Nessuno di noi può ricordare la prima, ma si può recuperare facilmente sul web: si tratta del discorso d'addio del giocatore di baseball Lou Gehrig, pronunciato il 4 luglio 1939 davanti a 70.000 spettatori accorsi allo Yankee Stadium di New York. In quel discorso, noto come “luckiest man speech”, Gehrig, malato di sclerosi laterale amiotrofica (Sla), ringraziò il pubblico esprimendo gratitudine per la sua carriera e le opportunità che gli erano state offerte dicendo testualmente, di fronte alla folla commossa: «Oggi mi considero l’uomo più fortunato sulla faccia della terra». Morirà soltanto due anni dopo, a causa del morbo che oggi porta il suo nome. L’altro momento indimenticabile, ancora fresco nella memoria degli appassionati di sport e di calcio, fu l’addio al calcio di Francesco Totti, esattamente come oggi, il 28 maggio, di otto anni fa, allo stadio Olimpico.
Al di là della “temperatura emotiva” di questi momenti, che possono essere più o meno visceralmente sentiti da appassionati, tifosi o avversari, c’è da registrate un fatto: i grandi personaggi del mondo dello sport hanno il privilegio di poter assistere al loro funerale (sportivo) da vivi, possono declinare il loro grazie, possono ricevere l’affetto, nutrirsi dell’amore di chi, a loro, ha voluto bene. Tutta questa bellezza, unica e difficilmente ripetibile, la voglio dedicare a chi, quarant’anni fa, perse la vita in una delle tragedie più orrende della storia dello sport: quella dell’Heysel. Trentanove vittime della bestialità, della ferocia e della incapacità organizzativa, che ai loro cari, invece, hanno potuto lasciare soltanto lacrime, e basta.
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