Le coppie che vogliono figli hanno bisogno di sentirsi accolte

Per sostenere le nascite, oltre agli aiuti economici o ai posti negli asili nido, è necessario che i potenziali genitori avvertano la presenza e il sostegno di tutti noi
October 21, 2025
Le coppie che vogliono figli hanno bisogno di sentirsi accolte
Il tema della denatalità, con le sue note conseguenze sul futuro dell’economia, del welfare, delle relazioni familiari e sociali, è da tempo al centro dell’interesse da parte dell’opinione pubblica e più di recente ‒ ne va dato atto ‒ anche della stessa classe politica. D’altra parte, è difficile restare indifferenti di fronte ai 370mila nati del 2024. Un dato con cui si è stabilito – per l’undicesimo anno consecutivo (dal 2014 in poi) – il record della più bassa natalità di sempre nella storia d’Italia e che oltretutto sembra destinato ad un’ulteriore forte riduzione. Nei primi sette mesi del 2025 si sono registrate 198mila nascite, a fronte delle 211mila nello stesso periodo dello scorso anno, e se tale variazione (-6,2%) dovesse valere per l’intero 2025 avremmo un bilancio finale di 347mila nati. Per avere un’idea della dimensione del crollo basti pensare che a metà anni ’60 per arrivare a 350mila nascite in Italia bastava unicamente sommare il dato di tre regioni (Lombardia, Lazio e Campania). Di fatto già nel 1977 la fecondità degli italiani è scesa per la prima volta sotto il livello di ricambio generazionale – la soglia simbolica dei due figli per coppia (in media) – ma allora almeno resisteva la centralità del modello di famiglia tradizionale: nove matrimoni ogni dieci avvenivano davanti al parroco e solo meno di un nato ogni 25 era figlio di una coppia non coniugata. Oggi la media dei figli per donna si ferma a 1,18 e mentre quasi due terzi degli sposi si uniscono davanti al sindaco, più di quattro bambini su dieci nascono al di fuori del matrimonio. La società è cambiata, non c’è dubbio, ma soprattutto è cambiata velocemente. Forse troppo velocemente. I valori fondanti restano in vita, ma vengono spesso rivisitati alla luce di nuove priorità. I giovani aspirano ancora a vivere in coppia e a diventare genitori, ma solo quando e come decideranno di farlo, o di poterlo fare. Spesso ignorando, o illudendosi di poter ignorare, i limiti biologici che regolano la fertilità umana, e riservando unicamente attenzione alle condizioni di contesto – il lavoro, il reddito, la casa, le garanzie di sicurezza e di prospettive per il futuro – prima di pensare di mettere su e a far crescere una propria famiglia. Ma è questa la strategia vincente per il sistema-paese? I numeri di oggi e gli scenari di domani sembrerebbero dirci l’esatto contrario.
Nel primo trimestre del lontano 1943, nella fase terminale di una guerra che volgeva al peggio, sono nati in Italia 243.191 bambini. Durante lo stesso periodo del 2025 ne sono nati 85.187. In una fase storica (1940-1942) con città bombardate e combattenti al fronte si registrava in Italia una media giornaliera di 2.625 nascite. Al giorno d’oggi, con un’occupazione ai massimi livelli e un Pil in crescita positiva (quand’anche modesta) la media delle nascite giornaliere è di 1.013 unità. In quale dei due periodi storici la popolazione italiana ha avuto maggiori garanzie di sicurezza e prospettive per il futuro? Non è dunque solo una questione di contesto e di puro benessere materiale. Al fine di orientare le scelte e i comportamenti familiari e riproduttivi degli italiani è forse ancor più determinante l’elemento culturale: il senso della vita e il ruolo che ciascuno intende interpretare durante la sua esistenza. Il progetto su ciò che si vuole costruire con gli “altri noi” e la società che si intende lasciare a coloro che verranno “dopo di noi”. Mettere al mondo un figlio è tipicamente un atto che vale a rendere esplicito tale ruolo. Tornando al 1977 – che ricordiamo essere stato l’ultimo anno prima della legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza – le statistiche del tempo mostrano come, su un totale di 757mila nascite, il 41% dei primogeniti da genitori coniugati sia venuto al mondo entro un anno dal loro matrimonio e il 22% dei secondogeniti e il 17% dei terzogeniti sia nato entro due anni dal parto precedente. In sintesi, si sono conteggiati circa 200mila bambini, gran parte dei quali si sono presentati in famiglia senza essere stati “programmati”, ma alla fine accolti (quasi sempre) con la dovuta cura e l’affetto, propri di una cultura che vedeva i figli come un dono comunque prezioso.
Se tuttavia ci spostiamo in avanti di un ventennio sino al 1996 – anno caratterizzato da 537mila nascite ma anche da 139 mila Ivg – la percentuale di primogeniti entro il primo anniversario di matrimonio scende al 24% e quelle dei neonati di secondo e terzo ordine a meno di due anni da chi li ha preceduti si riducono, rispettivamente, al 12% e all’11%. Così che, rispetto al 1977, la presenza di figli potenzialmente non programmati risulta calata di oltre la metà (-57%). Purtroppo dalla fine del secolo scorso il flusso informativo Istat per valutare lo sviluppo di queste tendenze non è più stato reso disponibile, ma il seguito della storia si ricava facilmente dagli esiti finali descritti dalla frequenza di nascite, con gli scarni numeri che tutti ben conosciamo. In sostanza si può ritenere che l’eliminazione – o quanto meno la significativa riduzione – della componente di nascite non programmate sia stato uno dei principali fattori alla base del fenomeno della denatalità. Ma va anche precisato che, nella maggioranza dei casi, non si è trattato di forme di rifiuto della genitorialità – che sul piano delle intenzioni e dei desideri si colloca a livelli ben superiori a quanto viene manifestato nei comportamenti – bensì di un ritardo, che poi sfocia in rinuncia, nel calendario con cui la si realizza. Ne segue che se si riuscisse ad anticipare la nascita del primogenito, dandogli poi anche l’opportunità di avere uno o più fratelli, si attiverebbe una leva per arrestare/invertire una tendenza che, come ben noto, apre scenari preoccupanti. Ma come arrivarci? Come creare le condizioni per scelte genitoriali consapevoli che sappiano dare la vita con gioia e responsabilità?
Prendiamo pure atto che oggi, diversamente dal passato, per la costruzione e lo sviluppo di una famiglia è diventata irrinunciabile la rimozione dei molti ostacoli materiali che agiscono da freno, ma non dimentichiamoci di lavorare con lo stesso impegno anche per la realizzazione di un clima di fiducia che faccia sentire simpatia e vicinanza alle coppie con figli. Ben vengano dunque gli interventi per più posti negli asili nido (di cui sono già misurati statisticamente gli effetti positivi), il supporto economico in presenza di figli, le norme che aiutano la conciliazione e la condivisione dei carichi della coppia, ma facciamo anche in modo che accanto agli attori istituzionali (il Governo, le amministrazioni locali, il privato sociale, il mondo delle imprese) ci sia e si faccia sentire anche la presenza di tutti noi: dal vicino di casa, al collega, all’amico o al semplice conoscente. Riconosciamo con azioni concrete il valore sociale di ciascun nuovo nato e diamo supporto e merito a chi lo ha liberamente voluto. Senza tuttavia mai dimenticare anche chi, in controtendenza rispetto alla conquistata facoltà di scelta, ha responsabilmente e amorevolmente accolto il dono, quand’anche inatteso, di una nuova vita. Per sé, ma anche per tutti noi.

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