Le Authority indipendenti lo sono davvero?

Le designazioni avvengono quasi sempre sulla base di logiche spartitorie. Così gli organismi rischiano di essere prolungamenti del potere politico anziché in contropoteri credibili.
November 9, 2025
Le Authority indipendenti lo sono davvero?
La sede dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali in piazza Venezia a Roma
Le autorità indipendenti nascono per garantire equilibrio e tutela in settori strategici della vita pubblica, nei quali la politica non deve né può esercitare un controllo diretto. Sono state concepite per assicurare che le regole del gioco vengano applicate in modo imparziale, al riparo da interferenze di partito e da interessi contingenti. Tuttavia, l’indipendenza formale di queste istituzioni non sempre si traduce in autonomia sostanziale. Le polemiche di questi giorni sul Garante per la protezione dei dati personali ne sono un esempio significativo: dietro lo scontro politico si nasconde una questione più profonda, quella dell’effettiva neutralità dei componenti delle Authority e della credibilità dei meccanismi di nomina. Oggi, infatti, i membri vengono scelti dal Parlamento, ma le designazioni avvengono quasi sempre sulla base di logiche spartitorie, con una suddivisione delle poltrone in quote riconducibili ai partiti o alle maggioranze di turno. In questo modo, si rischia di svuotare di significato il concetto stesso di “autorità indipendente”, trasformando le Authority in prolungamenti del potere politico anziché in contropoteri credibili.
Una riforma dei criteri di nomina sarebbe dunque indispensabile per restituire fiducia e autorevolezza a queste istituzioni. In un momento in cui si discute di introdurre il sorteggio per il Consiglio Superiore della Magistratura come misura per arginare le correnti e le cooptazioni, si potrebbe estendere un ragionamento analogo anche alle autorità di garanzia. Non si tratta necessariamente di affidarsi al caso, ma di immaginare procedure più trasparenti, basate su criteri di competenza, esperienza e indipendenza comprovata, riducendo il peso della designazione politica. Potrebbe essere utile, ad esempio, prevedere un bando pubblico con candidature aperte, una commissione tecnica che valuti i profili, e un voto parlamentare che resti, ma su una rosa di nomi selezionati per merito e non per appartenenza. Solo così si potrà preservare la terzietà, requisito essenziale per chi è chiamato a ricoprire ruoli così delicati.
C’è però un altro nodo di fondo: l’ipocrisia del rapporto tra Parlamento e Autorità. Si reputa giusto che sia il Parlamento a nominarle, in quanto espressione diretta della sovranità popolare, ma negli ultimi anni il Parlamento è stato progressivamente svuotato del suo ruolo e dei suoi poteri, sostituito da un esecutivo sempre più invasivo anche nella funzione legislativa. In questo contesto, le nomine parlamentari rischiano di rispecchiare gli equilibri di governo più che la volontà autonoma delle Camere. È paradossale che le autorità nate per limitare l’invadenza della politica diventino esse stesse terreno di contesa politica. Eppure, va detto con chiarezza che molte di queste Autorità indipendenti operano con rigore e professionalità, e i loro componenti spesso dimostrano di essere all’altezza del compito, a prescindere dalla loro provenienza. Attaccarle a priori significa minare la fiducia nei meccanismi di garanzia e rafforzare la sfiducia nelle istituzioni. Il problema non è la loro esistenza, ma il modo in cui vengono nominate. Finché il sospetto di una fedeltà politica continuerà ad aleggiare, ogni decisione sarà letta come espressione di un orientamento di parte, e non come applicazione imparziale delle regole. È questo il vero rischio: la delegittimazione delle autorità e, con essa, la perdita della loro funzione di arbitro super partes.
Una riforma che renda le nomine più meritocratiche, trasparenti e depoliticizzate non sarebbe solo un atto di igiene istituzionale, ma un investimento nella qualità della democrazia. L’indipendenza non è una formula astratta, ma un valore concreto che si misura nella capacità di resistere alle pressioni, di prendere decisioni impopolari quando necessario e di non essere percepiti come strumenti di parte. Per questo serve coraggio politico: la maggioranza di turno dovrebbe rinunciare a un potere di influenza immediato in nome di un vantaggio collettivo e duraturo, quello di avere istituzioni credibili, rispettate e davvero autonome. Solo così le Autorità potranno tornare a essere ciò che dovrebbero essere per definizione: garanti della legalità, della libertà e dell’equilibrio tra poteri, non pedine di un gioco politico che tutto ingloba e tutto logora.
Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano

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