La Terra di Israele e il grande equivoco che divora il Medio Oriente

Se la deriva in corso dovesse proseguire è assai probabile che il conflitto permanente si prolunghi nel tempo e si allarghi a nuove aree. Come è avvenuto in altri contesti
September 19, 2025
La Terra di Israele e il grande equivoco che divora il Medio Oriente
ANSA | La colonna di palestinesi in fuga da Gaza City
Il fattore umano, cioè le indicibili sofferenze che gli abitanti di Gaza sono costretti a patire in quelli che anche la Commissione indipendente dell’Onu ha definito “atti di genocidio” da parte di Israele, deve prevalere su ogni altra considerazione. Ma accanto a questo, pare incredibile che la comunità internazionale, dall’Unione Europea che non riesce a prendere alcun provvedimento agli Usa che al Consiglio di Sicurezza bloccano qualunque risoluzione per il cessate il fuoco, non si ponga la domanda di quale possa essere l’esito politico di questa campagna militare, dove per “campagna” non si intende solo la cruenta occupazione di Gaza oggi e domani quella auspicata da molti ministri israeliani anche della Cisgiordania, ma la serie infinita di bombardamenti (otto Paesi colpiti in un anno e mezzo, l’ultimo il Qatar), l’invasione di territori altrui (in Libano e in Siria), le guerre mai dichiarate concluse (con l’Iran) e quelle minacciate (il ministro della Difesa Katz ieri ha detto che «la bandiera di Israele sventolerà su Sanaa», la capitale dello Yemen). In altre parole: al di là delle tragiche smanie di ministri come Bezalel Smotrich che davanti alla strage di civili palestinesi parla di Gaza come di un ottimo affare immobiliare, c’è davvero qualcuno, in Europa e negli Usa, convinto che da tutto questo possa nascere un Medio Oriente più stabile, prospero e tranquillo?
Se un simile personaggio esiste, vuol dire che le lezioni dell’Iraq, della Libia e della Siria non sono servite a nulla. Tutte quelle imprese ci sono state presentate, all’epoca, come l’ultima delle guerre e l’ultimo dei rivolgimenti, quelli che avrebbe spalancato le porte a un’era di pace e giustizia. E abbiamo visto qual è stato il risultato. Nel caso particolare di Israele, poi, la questione è addirittura più ampia. Cominciarono gli inglesi, all’epoca della Prima guerra mondiale, a nutrire l’equivoco. Nel 1916 siglarono con i francesi il Patto Sykes-Picot che, nella spartizione del Medio Oriente, prevedeva però un’amministrazione internazionale per la Palestina. Poi, però, si rimangiarono la parola e presero il controllo di quel territorio, convinti che gli immigrati ebrei potessero diventare un utile strumento per le politiche di Londra in una regione-chiave per il Mediterraneo. Se ne andarono disperati nel 1948, inseguiti dalle bombe e dagli attentati delle formazioni del sionismo militare.
Non solo. Dei cinque potenziali confini terrestri di Israele, solo due, quelli con l’Egitto e la Giordania, sono internazionalmente riconosciuti in seguito ai trattati di pace del 1979 e del 1994. Gli altri hanno subito una lunga serie di cambiamenti in seguito alle diverse guerre di questi decenni. Assistere inerti alla conquista dei territori palestinesi, oltre che all’occupazione di una parte sempre più consistente della Siria e di un pezzo del Libano, prepara la strada a ulteriori fughe in avanti da parte di una dirigenza israeliana che in futuro potrà certo cambiare in seguito alle scelte democratiche dei cittadini ma che, al momento, pare pericolosamente incline a tradurre in azione politica la lettera di un messaggio religioso. In linea peraltro con la legge approvata nel 2018, che non solo definisce Israele come Stato della nazione ebraica (e quindi non del 20% dei suoi cittadini che ebrei non sono), non solo afferma che «lo Stato considera lo sviluppo di insediamenti ebraici come valore nazionale e agirà per incoraggiare e promuoverne l’insediamento e il consolidamento» (tramutando così in “valore nazionale” un’espropriazione illegale), ma stabilisce che «la Terra di Israele è la patria storica del popolo ebraico, in cui lo Stato di Israele si è insediato» (primo Principio fondamentale).
Ma qual è la “Terra di Israele”? Nella Bibbia si trovano tre definizioni diverse. Nel libro della Genesi sarebbe tutto il territorio che va dal Nilo all’Eufrate (quindi l’attuale Israele, una parte dell’Egitto, i territori palestinesi, il Libano, la Giordania e quasi tutta la Siria). Nel libro dei Numeri e in Ezechiele si parla invece di un territorio assai più ridotto. E a che cosa somiglia di più la situazione attuale? Di certo all’Eretz Yisrael Hashlemah (“tutta la terra d’Israele”, quello che siamo soliti definire Grande Israele) della Genesi. Come abbiamo detto, può darsi che il sistema democratico di Israele regga all’urto e sia in grado, per esempio con le elezioni politiche dell’ottobre 2026, di imprimere al Paese una diversa traiettoria. Ma non vi sono garanzie in proposito. Se l’attuale deriva dovesse invece trovare conferma, è assai più probabile che il conflitto permanente si prolunghi nel tempo e si allarghi a nuove aree del Medio Oriente, come del resto auspicato e quasi promesso da diversi dei decisori israeliani. Stati Uniti ed Europa avranno modo di pentirsi per aver assistito senza reagire quando erano ancora in tempo per fare qualcosa di utile.

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