«Io chi sono?»: c'è una domanda che interroga l'educazione

Gli incontri e le parole delle giornate giubilari dedicate alla scuola, agli studenti e agli educatori lasciano un tesoro di intuizioni, a cominciare dalla Lettera del Papa. Appunti per non lasciarle disperdere
November 2, 2025
«Io chi sono?»: c'è una domanda che interroga l'educazione
31 ottobre: il Papa in piazza San Pietro saluta la folla che prende parte all'incontro giubilare degli educatori/ ANSA
Venerdì 31 ottobre pomeriggio, durante un dialogo sull’esperienza scolastica, prende la parola una studentessa liceale del terzo anno, entusiasta per l’incontro con i primi filosofi: «Quelle domande sull’origine e sul destino di tutto sono anche le mie, ma il prof, quando ho espresso il mio entusiasmo, mi ha corretto: per lui si tratta di uno studio scientifico, che non ha nulla a che fare con la mia persona». Le risponde una maturanda: «Partecipando alla giuria giovanile di un Festival cinematografico, ho condiviso con altri coetanei il nostro apprezzamento per un film che metteva a tema proprio quelle domande esistenziali di cui parlavi, ma gli adulti presenti ci hanno invitati a concentrare invece la nostra attenzione su altri fattori: recitazione, montaggio, fotografia...».
Matteo Severgnini, responsabile di Gioventù Studentesca
Matteo Severgnini, responsabile di Gioventù Studentesca
Colpisce e addolora come spesso noi adulti, spinti magari dalle migliori intenzioni (la precisione nella didattica, ad esempio), contribuiamo a spegnere il fuoco che abita il cuore dei ragazzi che ci sono affidati, anziché ravvivarlo. Forse perché quel fuoco ci fa paura, ci pone davanti a questioni scomode, a domande che noi pensiamo di aver “risolto” e non vogliamo riaprire. Per questo è una risorsa preziosa che sul soglio di Pietro ci sia un ex-insegnante di matematica e fisica, il quale ci sprona a «uscire dalle secche» di un’impostazione razionalistica, “fredda”, e a «recuperare una visione empatica e aperta a capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento». La domanda che non può mai essere inevasa è la grande domanda: io chi sono? «Per questo non si devono separare il desiderio e il cuore dalla conoscenza: significherebbe spezzare la persona» (Lettera apostolica Disegnare nuove mappe di speranza, 3.1). Al contrario, l’educazione è un incontro tra esperienze vive, che coinvolge la ragione – come capacità di indagine e discernimento – e il cuore, cioè il luogo di quelle esigenze primarie di verità, bellezza, giustizia, felicità. Il paradigma è appunto quello delineato da san John Henry Newman – dichiarato co-patrono della missione educativa della Chiesa – nel suo motto cardinalizio: cor ad cor loquitur, sono i cuori a essere in dialogo.
Leone XIV ci invita a un cammino di conoscenza che non ci vede affatto “arrivati”: «Insegnanti e discepoli camminano insieme, consapevoli di non cercare invano ma, al tempo stesso, di dover cercare ancora, dopo aver trovato». Sono parole pronunciate durante l’incontro con gli educatori in piazza San Pietro venerdì mattina, solo poche ore prima del dialogo con gli studenti cui accennavo prima, e che riecheggiano quanto affermato nella sua prima Lettera apostolica: «L’educazione cristiana è opera corale: nessuno educa da solo. La comunità educante è un “noi”. Questo “noi” impedisce che l’acqua ristagni nella palude del “si è sempre fatto così” e la costringe a scorrere, a nutrire, a irrigare» (3.1).
Queste parole non solo chiamano in causa la nostra proposta di educatori ma sfidano la nostra esperienza personale. Infatti, la condizione perché l’acqua non ristagni è duplice: occorre una sorgente da cui essa continui a sgorgare, e inoltre ci vogliono degli argini perché la corrente non si disperda, ma giunga al mare. Ecco, questi argini sono da una parte quel “noi”, cioè la comunità entro cui la mia persona cresce ascoltando e osservando, e dall’altra la grande domanda di significato che si fa preghiera. Dentro questi argini si diviene padri perché ci si riconosce figli, mai orfani, come affermava don Giussani: «Nessuno genera, se non è generato». L’educatore, infatti, non è appena un erogatore di conoscenze e di istruzioni, ma è anzitutto una persona che ha sempre bisogno di imparare, di essere corretto oltre che correggere, e questo accade solo dentro un cammino personale condiviso con altri, come affermato dal Pontefice nel suo incontro con gli studenti: «L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso».
In questi tempi di grande confusione, incertezza e quindi diffidenza, in cui le relazioni tra le persone e gli Stati sembrano sempre più compromesse, il Santo Padre ci richiama al fatto che «educare è un atto di speranza» (3.2): non a caso, ha dedicato la sua prima Lettera apostolica proprio all’educazione, e in particolare all’educazione cattolica. Come docente e rettore di un istituto scolastico paritario d’ispirazione cattolica, ritengo che i princìpi da lui indicati nella Lettera (tra questi la centralità della persona, l’alleanza tra scuola e famiglia, il coinvolgimento dello Stato secondo il principio di sussidiarietà, la cura dell’interiorità e di un rapporto armonico con la tecnologia, l’attenzione a un linguaggio di pace «disarmata e disarmante») costituiscano dei punti di riferimento preziosi per la navigazione in mare aperto cui siamo chiamati fin da ora. C’è da esser grati, perché abbiamo un padre che non ci lascia senza bussola.
Matteo Severgnini è Responsabile di Gioventù Studentesca

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