In Myanmar più disciplina che non democrazia

January 31, 2011
«Niente può essere raggiunto senza la partecipazione della gente». Il 14 no­vembre dell’anno scorso, nel primo discorso pubblico dopo più di 7 anni di arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi rivolse queste pa­role alla folla di 40mila persone accorsa a salutar­la. Una grande festa di popolo che si svolgeva una settimana dopo le elezioni politiche, tappa fon­damentale verso la "democrazia disciplinata" promessa dalla giunta militare, che aveva però fatto in modo di escludere la pro­tagonista più attesa e significativa.Ieri milioni di birmani hanno scoperto che il progetto del gene­rale Than Shwe, 78 anni, e dei suoi colleghi prevede, al momen­to, molta più disciplina che democrazia. La prima seduta del nuovo Parlamento si è svolta quasi in segreto, a Naypyidaw, ca­pitale costruita allo scopo, in una zona remota del Paese, con gli accessi via terra e via aria rigidamente bloccati. Nessun giornali­sta straniero a seguire i lavori, nessuna immagine del Parlamen­to, nemmeno dall’esterno. Per non parlare della distribuzione dei 660 seggi: un quarto è riservato ai militari e l’80% del resto è stato raccolto dell’Usdp, il partito diretto da Thein Sein, primo ministro e braccio destro di Than Shwe. Gran parte dei deputati eletti in novembre, inoltre, sono ufficiali dell’esercito che hanno lasciato la divisa per accedere alla politica da 'civili', ma la cui fedeltà alla giunta è fuor di dubbio.In quello stesso discorso del 14 novembre, Aung San Suu Kiy a­veva esortato i birmani a «non perdere la speranza». A dispetto del quadro fosco, però, e del bando imposto dai generali al suo partito (Lega nazionale per la democrazia), qualcosa si sta muo­vendo anche in Myanmar. Il nuovo Parlamento dovrà eleggere il prossimo presidente. Non c’è molta scelta: toccherà a Than Shwe, che in quel caso lascerà l’uniforme, o a uno dei suoi 'vice' ( Thein Sein o Thura Shwe), e in quel caso l’anziano generale ti­rerà le fila da dietro le quinte. Nessuna cosmesi, però, potrà na­scondere lo smottamento che già si avverte nei lineamenti della giunta.Dall’Australia, Paese che segue con cura le vicende birmane, giungono indiscrezioni sulla frettolosa svendita di beni pubblici che gli alti gradi dell’esercito compiono a favore di prestanome o familiari. Ricca di risorse naturali, Myanmar è stata consegnata dai generali a una gestione non solo non liberale, ma anche inef­ficiente dell’economia, con il 33% della popolazione sotto la so­glia della povertà e il 33% della ricchezza nazionale concentrata nelle mani di un 10% di privilegiati. Dal 1990, inoltre, Stati Uniti, Unione europea, Canada e Australia hanno imposto a Myanmar una serie di sanzioni commerciali e finanziarie. Come tutti gli embarghi, anche questo è stato spesso criticato, e con buone ra­gioni: la giunta è rimasta al potere, tra le sanzioni europee e quelle americane c’è molta differenza nell’applicazione, la Cina ne ha approfittato per aumentare la propria influenza.Ma un regime incapace quasi di tutto come quello di Than Shwe ha trovato anche nelle sanzioni un ostacolo difficile da superare.In più è arrivata la crisi economica mondiale, le rimesse dall’e­stero sono calate, molti emigrati sono rientrati in patria. Una mi­scela diventata facilmente infiammabile al contatto con la de­mocrazia negata dall’ormai lontano 1990. Sarebbe imprudente aspettarsi un rapido evolvere positivo della situazione. Ma quel Parlamento prigioniero di se stesso e dei suoi posti di blocco racconta meglio di qualunque analisi la paralisi di un potere or­mai troppo vecchio persino per essere feroce.

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