Il ritorno della “maturità”, che è molto più di un esame

Il Ministero dell'Istruzione e del Merito ha introdotto nel frasario ufficiale la definizione “esame di maturità” al posto di “esame di Stato”. Provocazione salutare nell'avventura dell'educazione
September 4, 2025
Il ritorno della “maturità”, che è molto più di un esame
Non sappiamo se basterà reintrodurre quella che viene considerata una «dicitura storica e culturalmente significativa», come afferma il Ministero dell’Istruzione e del Merito. Ma l’adozione anche nel frasario ufficiale della definizione “esame di maturità” al posto di “esame di Stato” potrebbe non essere solo un’operazione di maquillage. In un tempo di parole troppo spesso scialacquate e usate una per l’altra, è indispensabile fare – tutti – un esercizio di ecologia del dizionario tornando a dare un peso a ciò che si dice, e a esigerlo. Dunque, se chi guida la scuola italiana parla convintamente di “maturità” noi lo prendiamo molto sul serio. A partire dall’idea che sia un termine dentro il quale c’è assai più della prova-simbolo che sancisce il passaggio dall’adolescenza alla prima età adulta, consumato in pochi giorni come un rito collettivo sopraffatto da aspettative, ansia, pressioni e (troppi) amarcord di chi l’esame l’ha passato qualche anno o decennio fa.
Siamo ai primi di settembre, lontani ancora mesi dalla consumazione di scritti e orali, e dunque c’è tutto il tempo per capire se la novità sarà solo terminologica o verrà colta come una provocazione salutare da tutte le figure coinvolte nella formidabile e decisiva avventura dell’educazione. È però un tempo da sfruttare bene, perché di “maturità” chiesta e accompagnata hanno bisogno i ragazzi, ma anche noi adulti – genitori, insegnanti, formatori di ogni ordine e specie – che forse la consideriamo spettante per diritto anagrafico.
Oltre a fare giustizia di uno dei concetti astratti di cui la scuola italiana è prodiga, il ritorno della “maturità” (che non se n’è mai andata, ma che ora riprende a essere chiamata col suo nome universalmente noto) è una opportunità che le stesse autorità ministeriali sembrano intenzionate a cogliere quando spiegano nell’introduzione al decreto varato ieri in Consiglio dei Ministri che quella definitoria è «una precisa scelta di indirizzo culturale e pedagogico, volta a sottolineare la natura complessa, globale e trasformativa del processo educativo che culmina nell’ultimo anno del secondo ciclo». Parlare di “maturità” «non rappresenta una mera concessione alla tradizione, ma una volontà esplicita di valorizzare l’esame come momento di sintesi e verifica del percorso umano e formativo compiuto, segnando un’evoluzione nel paradigma valutativo vigente». Ottime intenzioni, smosse – è il caso di ricordarlo – anche grazie alla faccia tosta di alcuni ragazzi che all’orale del recente esame di fine liceo argomentarono non su Platone o Ungaretti ma sui limiti di un sistema scolastico che sembra orientato a chiedergli solo una prestazione, la conformità a standard definiti da protocolli valutativi nei quali lo spazio per la loro persona tende allo zero: meno sei te stesso, meglio è. Se questo non è ciò che la scuola (ma soprattutto gli insegnanti) intendono o desiderano, è però il messaggio che arriva agli studenti. E la sorprendente voce di alcuni giovani che passarono per contestatori o furbi ha avuto l’indiscutibile merito di rimettere a tema l’adeguatezza della scuola nel giudicare i ragazzi, e ancor di più dei suoi percorsi formativi, del sistema di relazioni incoraggiate o messe da parte, delle priorità che si respirano nelle aule di tutta Italia. Mica poco.
Era prevedibile che, minacciando bocciature, il Ministero intervenisse per prevenire che un gesto ideato per provocare una riflessione collettiva possa diventare di qui in avanti un comodo stratagemma per eludere la prova finale. Ma quello che per noi vale è che l’opportuno ritorno alla «dicitura storica» ora incalza tutti, nei mesi a venire, a prendere la maturità come sfida comune e impegno personale. Non il solo esame, però: conta prendere sul serio l’idea stessa che la vita di tutti, dall’età liceale a quella che ci vede genitori, docenti o educatori in qualunque ambiente, è una ricerca e una costruzione artigianale di un equilibrio che nessuno acquisisce una volta per tutte, come un certificato, ma che può essere l’ambizione di ogni giorno. Proposta dalla scuola, la maturità intesa come nuovo paradigma condiviso diventa il cuore di relazioni educative di qualità che legano i figli ai genitori, gli studenti agli insegnanti, i ragazzi a chi orienta la loro vita. Dal decreto ministeriale può tracimare un “patto di maturità” come un orizzonte umano nel quale ognuno impara a riconoscere e ritrovare il suo programma e la propria ambizione, necessariamente connesse a quelle di chi gli è vicino, per vincolo affettivo, scolastico, formativo. Una scuola che assume la maturità di scelte di vita, rapporti personali, sogni di futuro, consapevolezza di sé come passione e impegno è in grado di mobilitare esistenze che non si accontentano di “passare l’esame”, qualunque esso sia, e a qualsiasi età. Siamo molto più di un numero o di un giudizio in fondo a una prova.
Riconoscere tutti questo desiderio di “maturità” che ci accomuna rende anche possibile capirci meglio tra scuola e famiglia, e tra generazioni che spesso non sanno vedere dentro il cuore – proprio e degli altri – la medesima sete di vita vera.

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