Il killer 15enne e noi: liberiamo Napoli, riempiamola di violini

Un 19enne ucciso con un colpo di pistola in faccia, la città si ribelli e scelga di tornare a educare alla bellezza con la musica, la cultura. Ed esempi positivi
November 24, 2025
Il killer 15enne e noi: liberiamo Napoli, riempiamola di violini
Il Vesuvio visto dalla città di Napoli / ANSA
Regalagli un violino, un mandolino, una chitarra, un pianoforte; corri a compragli un libro, il Vangelo di san Luca, il Piccolo Principe. Raccontagli una storia, quella di un eroe, di un santo, o solamente un atto virtuoso di un antenato antico. Non mollarlo. Non lasciarlo solo quando scende la notte e le insidie si danno appuntamento. Veglia sulla sua condotta, sugli amici che frequenta, il denaro che spende. Chiediti: dove mai lo ha preso? Chi gliel’ha dato? E perché? Che cosa gli chiederà in cambio? Portalo a Messa con te, presentagli il parroco o la suorina del catechismo. Vai a scuola a ringraziare i suoi insegnanti. Fallo davanti a lui. Sii con loro educato, collaborativo, premuroso. Portalo a fare visita ai nonni, a una vecchia zia in ospedale, ai poveri che non hanno da mangiare; qualche volta recatevi insieme a deporre un fiore sulla tomba di un parente o un amico defunto. I bambini hanno bisogno di imparare che cos’è la vita, quella vera. Fermati con lui davanti al monumento dei caduti in guerra e per loro mormora una preghiera. Non lasciarlo solo. È un’opera d’arte, non merita di essere insozzato. È un capolavoro, deve essere salvaguardato, difeso, aiutato, valorizzato.
A quindici anni, un essere umano è ancora un bambino o un uomo? È del tutto responsabile delle proprie azioni? Tre lustri sono un tempo troppo breve per avere avuto la possibilità di accumulare informazioni, conoscenze, esperienze, valori, ricordi brutti o belli che siano. Ma dove deve stare, di notte, un ragazzino di quindici anni? In famiglia. E di giorno? In famiglia, a scuola, in un campo di calcio, all’oratorio, ad imparare la musica. A suonare un violino o uno strumento qualsiasi capace di ingentilirgli l’animo. A quindici anni è probabile che il bene e il male possono essere confusi. A quell’età la prudenza, la gentilezza, la bontà potrebbero non essere percepiti come valori; viceversa, potrebbero esserlo la spavalderia, la violenza, la spericolatezza.
A Napoli, Marco Pio Salomone, un giovane di 19 anni, è stato ucciso con un colpo di pistola in faccia. Si resta allibiti. Le persone si chiedono: ma che sta succedendo? Il peggio non è ancora arrivato. A sparargli è stato proprio lui, il ragazzino di 15 anni, di cui parliamo. Ha confessato, si è detto dispiaciuto. Parole che lasciano il tempo che trovano. Marco Pio è morto. Per sempre. Per lui, per l’assassino-ragazzino, la legge prevede un percorso adeguato.
Sono stato in questi giorni in un carcere minorile campano. Che tristezza. Che pena. Che rabbia. Una cosa balzava agli occhi: quasi tutti i giovani ospiti venivano dai quartieri ad alto rischio. Quartieri i cui nomi, i napoletani conoscono bene; sono sempre gli stessi, da anni, da decenni, forse da secoli. Nessuno nasce cattivo, anche se tutti siamo segnati dal peccato originale che - chissà perché - insieme al desiderio di fare il bene ci fa avvertire anche il fascino del male. Sappiamo tutto, dunque. Proprio per questo motivo non abbiamo giustificazioni. L’ambiente, certo, non ci determina ma ci condiziona. A volte pesantemente. Occorre mischiare le carte. A scuola, i figli dei professionisti debbono stare con quelli degli operai, dei disoccupati, e – perché no? – dei pregiudicati. I ragazzini delle famiglie più problematiche devono essere seguiti con più attenzioni e amore. Occorre a tutti i costi impedire loro di passare le notti fuori casa, lontani dai genitori. La strada è più insidiosa di quanto sembri. Un diciottenne che delinque esercita un fascino malefico su chi ha meno della sua età. L’orologio d’oro che sfoggia al polso, lo ammalia, lo attrae, lo uccide. Un invito a fare un giro sulla propria moto gli fa venire le vertigini. Il “marmocchio”, lo “sbarbatello”, il “quasi bambino” che si sente corteggiato dall’amico appena maggiorenne va in visibilio. A questo punto la trappola è già scattata. Prima o poi ci cascherà dentro senza che nemmeno se ne accorga. Cari adulti, e noi? Ci lamentiamo, ci scoraggiamo, malediciamo questo tempo e i telefonini che ci stanno rubando i figli. Ditemi, ma basta? No, assolutamente. Per carità, i genitori ritornino a fare i genitori se non vorranno piangere lacrime di sangue su una bara bianca o fare anni di fila all’esterno delle carceri. Sappiano educare con l’esempio più che con le parole. Siano essi ad avvertire per primi i servizi sociali, la scuola, le forze dell’ordine nel momento in cui si accorgono che qualcosa non va. Siano i primi a denunciare il figlio proprio per amore di quel figlio.
Napoli non può tirare avanti come se nulla fosse. L’ orribile uccisione di Marco Pio, l’età del suo assassino, devono scuoterci tutti. Devono indurci a porre la domanda che ci fa male: ma noi – dico noi, cioè io che scrivo e tu che leggi – abbiamo fatto davvero tutto quello che era nelle nostre possibilità per liberare questi ragazzini dalle trappole disseminate sul loro cammino? Genitori, parenti, politici, preti, pastori protestanti, imam, professionisti, educatori, volontari, donne e uomini delle istituzioni, possiamo continuare a dormire sonni tranquilli mentre i nostri ragazzini delinquono e muoiono? Occorre fare una retata seria. Liberiamo Napoli dalle pistole, dai coltellacci, dai bulli, dalla maledetta malavita organizzata. Mettiamo al sicuro questi quasi-bambini. Riempiamo la città di esempi positivi, di lavoro, di bellezza, di violini. Apriamo le porte dei musei e dei mille luoghi belli ma nascosti. Difendiamo con i denti queste povere vittime prima di vederle perdute. Da tutti. Se serve, a malincuore, anche dai loro stessi genitori. 
 

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