Francesco, la cura come capitale e il “no” alla logica dello scarto

La maggioranza della popolazione italiana rischia di essere “ai margini” in condizione di esclusione, non solo di natura economica ma anche sanitaria. L'attualità del monito di Bergoglio
May 5, 2025
Francesco, la cura come capitale e il “no” alla logica dello scarto
. | Elena Beccalli, rettrice dell'Università Cattolica di Milano
L’insegnamento che papa Francesco ci ha lasciato in eredità sull’economia mette al cuore la dignità di ciascuna persona e la cura del creato, invitando a guardare il mondo dalle periferie. Una prospettiva che assume particolare rilievo in questo momento storico, caratterizzato dallo spettro dei dazi e da guerre in molte parti del mondo. Un quadro che porta ad avanzare l’ipotesi di un’architettura globale che si sta silenziosamente spostando dalla competizione al conflitto. Papa Francesco, invece, ci ha insegnato il valore dell’ecologia integrale, proposta con lungimiranza nell’enciclica Laudato si’. L’idea centrale è tener conto delle necessità di ciascuno e di tutti, salvaguardando la dignità della persona nelle relazioni con gli altri e nel legame profondo con il creato. Ritengo che sia proprio da qui che occorra partire per generare un cambio di paradigma per affrontare innanzitutto le profonde povertà e disuguaglianze proprie del nostro tempo.
Alcuni dati testimoniano quanto sia necessaria questa nuova prospettiva. Secondo dati Istat, per l’Italia, l’incidenza della povertà assoluta è pari all’8,5% del totale delle famiglie residenti, corrispondenti a circa 5,7 milioni di persone. Un fenomeno che riguarda anche le famiglie in cui la persona di riferimento risulta occupata, data la sempre maggiore incidenza del cosiddetto lavoro povero. In Italia tra il 2010 e il 2022 la quota di occupati a rischio povertà è passata dal 9,5% all’11,5%. Molteplici le cause, tra le quali spicca la bassa retribuzione oraria.
L’Italia è infatti l’unico Paese dell’Unione Europea in cui, nel 2023, i salari reali risultano mediamente inferiori rispetto al 2013. Ancora la limitata intensità lavorativa, vale a dire il numero di ore effettivamente lavorate, determinata dalla scarsa disponibilità di posizioni a tempo pieno, specie per le donne. Infine, l’instabilità contrattuale, che riguarda in modo particolare i giovani.
Ampliando lo sguardo a livello internazionale, la situazione delle povertà peggiora: se definiamo la povertà estrema come un reddito inferiore a 5,5 dollari al giorno, una soglia ritenuta oggi più appropriata dagli economisti rispetto allo standard di 1,8 dollari al giorno, sono ancora quasi 3 miliardi le persone in tale condizione. Ciò significa che la maggioranza della popolazione rischia di essere “ai margini” in condizione di esclusione, non solo di natura economica date le ripercussioni dalla povertà in termini di accesso alle cure mediche e all’educazione. Appare in tutta la sua evidenza la “cultura dello scarto” tanto evocata da papa Francesco.
Questi dati inducono a pensare che le povertà non possano essere considerate una semplice esternalità negativa di un modello che ben funziona. Del resto, già l’economista Muhammad Yunus scriveva che la povertà ha reso «sempre più indigeste le eleganti teorie della scienza economica convenzionale. Di colpo quei rassicuranti principi scientifici cominciarono ad apparirmi privi di senso». Il Magistero di papa Francesco è proseguito nella Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale indicando il metodo da usare affinché si possa attuare una nuova economia, affidando un ruolo speciale agli imprenditori. Gli operatori del settore economico e finanziario, infatti, hanno la responsabilità di diventare «tessitori di fraternità», ossia la responsabilità di offrire a ogni persona opportunità di vita degna e di sviluppo integrale.
Riecheggiano le parole del Santo Padre pronunciate a Genova in occasione della sua visita all’Ilva in cui tratteggia le virtù del buon imprenditore e dei lavoratori. Nel rimarcare che «una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori», sottolinea che «il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore». E il lavoratore a sua volta lavora bene per dignità, per onore, e non semplicemente per il fatto di essere pagato.

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