Forum e deepfake: sì, anche questa è violenza sulle donne

La frontiera del sessismo digitale riporta il dibattito pubblico e politico sulla necessità di una mobilitazione culturale. Non basta chiudere i siti: serve educazione. E servono gli uomini
August 27, 2025
Forum e deepfake: sì, anche questa è violenza sulle donne
. | Sono centinaia in Rete i siti dove vengono postate e commentate le foto delle donne
Il punto di caduta forse più importante del putiferio scatenato prima dalla scoperta del gruppo “Mia moglie” e poi della piattaforma (già scriverne il nome risulta ripugnante) Phica.eu è che nel dibattito pubblico, dai bar alle redazioni fino alle stanze della politica, è tornato prepotentemente alla ribalta il tema del sessismo. Come se non fosse mai esistito, dirà qualcuno. Eppure quante volte abbiamo sentito ripetere, anche parlando di efferati femminicidi o di stupri di gruppo, che no, un conto è la battutina o il commento sul corpo di una donna, un conto è la violenza. Violenza è invece quella che si agiva pubblicando le foto intime delle proprie consorti, o fidanzate, o ex, senza il loro consenso, aizzando i compari di voyeurismo a dire «cosa le faresti?» (e via di sconcezze). Violenza prendere gli scatti della politica di turno – di destra o sinistra poco importa – e ingrandire sui dettagli del suo fisico, oppure tenerne la testa e incollare un corpo nudo, per poi aprire il penoso rubinetto dei commenti. Non a caso dopo la scoperta del secondo sito, e le denunce partite dalla coraggiosa iniziativa delle esponenti del Partito democratico Alessandra Moretti e Valeria Campagna (che ci erano finite assieme alla premier Giorgia Meloni, a Elly Schlein e a decine di altre deputate, senatrici e giornaliste), sono stati migliaia gli esposti presentati alla Polizia postale e alle autorità: un principio di #MeToo all’italiana, che proprio le parlamentari dem ora vorrebbero si trasformasse in una mobilitazione bipartisan collettiva, a cui hanno fatto appello ieri. Vedremo se e come prenderà effettivamente forma.
Due i dati di cronaca da registrare. Uno, che il sito in questione ha ufficialmente chiuso i battenti, con tanto di scuse mortificate e promessa di rimozione dei contenuti: «La nostra è nata come piattaforma di discussione e di condivisione personale, con uno spazio dedicato a chi desiderava certificarsi e condividere i propri contenuti in un ambiente sicuro – recita la nota lasciata online –. Purtroppo, come accade in ogni social network, ci sono sempre persone che usano in modo scorretto le piattaforme, danneggiandone spirito e senso originario». Decisamente molte, le persone in qustione, vista la mole di materiale e di commenti finita sul tavolo della Polizia postale. Due, che il governo ha assicurato subito l’intenzione di intervenire: «Assumeremo e potenzieremo iniziative specifiche per il monitoraggio di situazioni di questo tipo, la segnalazione alle autorità competenti a cominciare dalla magistratura e l'individuazione degli strumenti più efficaci per il contrasto di questa barbarie del terzo millennio» le parole della ministra alla Famiglia e Pari Opportunità Eugenia Roccella, che ha sottolineato come gli episodi siano «la spia di un fenomeno enorme che prolifera online e al quale la diffusione della violenza non è estranea». Già, perché il tema della “cultura” del sessismo – ciò che più spesso viene chiamato “maschilismo” o “patriarcato” – è il cuore della vicenda che ha sollevato l’indignazione del nostro Paese: non il contenuto pornografico (di cui per altro il web è stracolmo) che le piattaforme esibivano, quanto la sistematica esposizione delle donne come oggetti, la mercificazione dei loro corpi, la rivendicazione della loro proprietà. Ovvero, tutti gli ingredienti che abbiamo imparato essere costitutivi di ogni forma di violenza sulle donne, dallo stupro fino al femminicidio.
Che fare, dunque? Che fare se i siti chiusi o spenti dai loro stessi gestori si riaccendono, come nel caso di “Mia moglie”, poche ore dopo? Che fare se i provider gestiscono le piattaforme da Paesi lontani, dove non esistono e non sono perseguibili reati informatici o d’opinione, o se non sono trasparenti su come esercitano il loro potere sui contenuti postati dagli utenti e sulla tempestività in caso di illeciti? La questione dei controlli e dei filtri, per i social network, resta più che mai cruciale. La sfida, però, resta soprattutto quella culturale ed educativa, invocata in queste ore da più parti e che tuttavia non riesce ancora a costruire la stessa compattezza bipartisan registrata sul fronte delle denunce: agire nelle scuole, sul piano della prevenzione, insegnando ai ragazzi che cosa è “tossico” e che cosa no nell’amore e nelle relazioni che intrecciano gli uni con gli altri sul web come nella realtà. E poi agire nella società sul fronte degli uomini, coinvolgendoli e aprendosi alla loro partecipazione costruttiva nella stessa mobilitazione che vede ancora soltanto le donne come protagoniste. Non tutti gli uomini sono come quelli che affollavano i siti dello scandalo, non è malato il maschile tout court ma una certa declinazione del maschile. Anche di questa consapevolezza si sente più che mai il bisogno. E ad ogni #Me Too, se è vero com’è vero che il primo non ha sortito gli effetti sperati, serve si aggiunga anche la voce degli uomini.

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