Essere catechisti e catechiste è mantenere accesa la fiamma della fede
di Enrico Lenzi
In occasione delle tre giornate speciali dell'Anno Santo rivolgiamo un pensiero grato a coloro che scelgono di assumersi questo compito, che permette alla Chiesa di proseguire la propria missione

Ricordo la mia catechista: si chiamava Teresa Strocchi, era una maestra di scuola materna, e si dedicava con impegno e amore a questo compito di aiutare i bambini e le bambine del catechismo nella loro crescita nella fede cattolica. A quei tempi si utilizzava ancora il catechismo di Pio X, che offriva ai ragazzi una serie di domande da imparare a memoria e su cui venivamo interrogati per l’esame finale prima di ricevere il Sacramento. Poi con il passare degli anni mi sono ritrovato io stesso, assieme alla mia amica Barbara, dall’altra parte della cattedra. Ero alle superiori e a quell’incarico arrivammo dopo un breve percorso formativo tenuto dal nostro assistente dell’Oratorio, padre Beniamino, Oblato di San Giuseppe. Fu un’esperienza bella e difficile al tempo stesso. Affrontata, forse, anche con un pizzico di incoscienza. Oggi quei «miei bambini» che sono rimasti a vivere nel quartiere sono diventati genitori e vengono in parrocchia per accompagnare i loro figli a catechismo.
Certo essere catechista oggi, in Italia (ma penso anche nel resto del mondo occidentale) non è più come in quel tempo. Non lo sono più i bambini e le bambine che si trovano in classe. Non lo è più la società. Non lo sono neppure le famiglie, che vedono nel percorso dei Sacramenti dell’Iniziazione cristiana più una tradizione, che una crescita dei loro figli nella fede. Condizioni che scoraggerebbero chiunque. Invece nelle nostre parrocchie continuano ad esserci donne e uomini che danno la propria disponibilità ad accompagnare i bambini del catechismo. Da tempo la Chiesa italiana si sta interrogando sulle modalità e sugli strumenti migliori da utilizzare in questo periodo storico, dove la multimedialità la fa da padrone e dove la capacità di concentrazione dei bambini si è fortemente abbassata. Eppure catechisti e catechiste non si tirano indietro, si ingegnano, studiano metodi nuovi, consapevoli dell’importanza del trasmettere la fede ai più piccoli. In molti casi diventano figure significative per questi bambini.
Anche per questo penso che sia bello che la Chiesa abbia voluto dedicare ai catechisti tre giornate speciali all’interno dell’Anno Santo 2025. Del resto papa Francesco nel maggio 2021 con la lettera apostolica Antiquum ministerim, ha istituto il ministero del catechista, perché, scriveva papa Bergoglio, «è necessario riconoscere la presenza di laici e laiche che in forza del proprio Battesimo si sentono chiamati a collaborare nel servizio della catechesi».
Dunque anche il frutto del Concilio Vaticano II, che ha parlato di un ruolo attivo del popolo di Dio nel cammino della Chiesa. E si pensi a quelle Nazioni nelle quali la figura del sacerdote, di un diacono permanente o di una suora, non sono presenze “stabili” nella comunità parrocchiale. Lo abbiamo raccontato tante volte, parlando per esempio dell’Amazzonia, con comunità raggiunte una o due volte l’anno da un sacerdote. Ma nel resto dell’anno queste parrocchie sono animate dalla presenza proprio di catechisti, che ne diventano il cuore e l’anima. Si pensi anche al Giappone del 1639 quando tutti i sacerdoti (allora stranieri) vennero cacciati dall’Impero del Sol Levante e il culto cattolico venne vietato. Ma quando nel 1854 il Giappone riaprì le porte ai missionari, questi ultimi, con loro grande sorpresa, ritrovarono comunità cristiane vissute in clandestinità per quasi due secoli, grazie alla presenza di catechisti e catechiste coraggiosi che tennero accesa la fiamma della fede, anche se nel nascondimento. Oggi, in queste giornate del Giubileo dei catechisti rivolgiamo pertanto un pensiero grato a coloro che scelgono di assumersi questo compito, che permette alla Chiesa di proseguire la propria missione.
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