Dov'erano la famiglia e la scuola? Le domande vere da fare

Era da tempo che i nomadi erano scomparsi dalle cronache: bersaglio di un’emergenza nazionale nel 2008, erano stati sostituiti da altri “diversi” sgraditi ed elevati al rango di massima minaccia
August 13, 2025
Dov'erano la famiglia e la scuola? Le domande vere da fare
Ansa | Bambini in un accampamento rom
Era da qualche tempo che i rom erano scomparsi dalle cronache, come se fossero scomparsi anche dagli interstizi urbani in cui le loro componenti più marginali cercano rifugio. Dopo essere stati il bersaglio niente meno che di un’emergenza nazionale nel non lontano 2008, con Maroni ministro degli interni e Veltroni sindaco di Roma, erano stati sostituiti da altri “diversi” sgraditi ed elevati al rango di massima minaccia all’ordine sociale: segnatamente i profughi in arrivo dal mare. Un incidente stradale dai contorni obiettivamente inquietanti, perché accaduto per colpa di ragazzini neppure legalmente imputabili, è bastato a riaccendere il fuoco dell’antiziganismo.
Gli incidenti stradali anche mortali in Italia sono un’emergenza quotidiana: 3.039 vittime nel 2024, otto al giorno, 52 ogni milione di abitanti contro una media Ue di 45 (Aci-Istat). Raramente hanno una risonanza che va al di là delle cronache locali. Per suscitare tanta emozione e relative richieste di misure draconiane, occorreva che la incredibilmente giovane età dei responsabili si saldasse con l’appartenenza a una minoranza mal vista e relegata in un insediamento etnicizzato.
Come avviene solitamente in questi casi, la colpa individuale o al più familiare diventa colpa collettiva. Da punire scacciando il gruppo nel mirino e radendo al suolo le sue precarie abitazioni. Povertà, emarginazione, cattive condizioni di vita diventano una colpa, concause delle malefatte dei figli.
Suonano emblematiche le reazioni delle autorità. Andiamo dal ministro Salvini che come soluzione propone la ruspa, al sindaco Sala che rivendica orgogliosamente di aver attuato un numero di sgomberi di campi rom molto superiore agli avversari politici. Certificando così la propria subalternità culturale alla controparte. Se la soluzione sono gli sgomberi, e non i progetti d’integrazione, vuol dire che hanno ragione coloro che additano i rom come una minaccia da estirpare, senza se e senza ma. Da notare che a Milano i progetti d’integrazione ci sono, ma a quanto pare si preferisce lasciarli nell’ombra
Le soluzioni semplici e brutali tuttavia ancora una volta sono illusorie. Le ruspe non sono bacchette magiche che fanno scomparire le persone. Semplicemente spostano il disagio un po’ più lontano, a volte innescando caroselli che dopo qualche tempo riportano i malcapitati al punto di partenza, più sradicati, disorientati e impoveriti di prima. È vero che i campi rom, anche regolari, si sono rivelati una cattiva idea, deprecata dall’Unione Europea. Istituiscono, anche nei casi migliori, villaggi “etnici”, esposti alla stigmatizzazione e all’isolamento sociale. Peggio ancora quando sono informali e senza regole, se non quelle imposte dai più forti tra i residenti.

Le soluzioni vanno però cercate nel quadro della lotta alla povertà, al disagio abitativo, all’esclusione dal mercato del lavoro, su cui molto pesano i processi di etichettatura. Dovremmo domandarci chi è disposto a dare lavoro a un rom, chi ad affittargli casa, chi ad averlo come vicino. E le politiche pubbliche dovrebbero intervenire per rimediare a questi fallimenti del mercato e della società civile. Nel quadro delle risposte dovrebbero rientrare misure più incisive per favorire l’inserimento e il successo scolastico dei minori provenienti da famiglie rom, compreso il sostegno che il mondo associativo può dare con le sue iniziative di educazione extrascolastica. Quando un giovanissimo sbaglia, tanto più se appartiene a un gruppo così pesantemente discriminato, dovremmo chiederci non solo dov’era la famiglia, ma dov’erano la scuola, i servizi sociali, i potenziali datori di lavoro dei genitori, le realtà associative del territorio. Troppo semplice e al fondo consolatorio alzare il solito muro tra noi e loro, chiedere di allontanarli, immaginare di purificare la società dalle sue contraddizioni emarginando ancora di più una minoranza già emarginate.

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