Cultura, sviluppo, convivenza: il nuovo Egitto chiede attenzione

L’inaugurazione del Grand Egyptian Museum ha mostrato la volontà di perseguire un rilancio economico e politico con obiettivi identitari. Nel segno del dialogo tra culture
November 18, 2025
Con la cultura non solo si mangia, ma si costruisce l’anima di un popolo. Di questo sembrano convinte le autorità egiziane. L’inaugurazione del Grand Egyptian Museum a inizio novembre ha inorgoglito milioni di cittadini, inclusi i tanti che non hanno mai messo piede in un museo ma sono rimasti incollati davanti alla televisione come per una finale dei mondiali con la propria nazionale. Sono convenute al Cairo delegazioni da mezzo mondo per la spettacolare inaugurazione del più grande museo del mondo dedicato ad una singola civilizzazione. L’Italia presente con il Ministro della Cultura Alessandro Giuli e con il decisivo contributo della milanese Goppion con le sue “vetrine intelligenti” che valorizzano nella massima sicurezza il tesoro di Tutankhamon. Tutto è concepito per esaltare la più grande collezione di reperti dell’antico Egitto, dalla colossale statua di Ramses II alta 11 metri alla celebre maschera di Tutankhamon.
Uno spazio di straordinario impatto per le proporzioni, è il caso di dirlo, faraoniche. La cerimonia è in fondo anche conseguenza del cessate il fuoco a Gaza. L’inaugurazione ufficiale del museo, di fatto aperto dall’ottobre del 2024, è stata rinviata dapprima per il Covid e poi per la guerra ai confini con l’Egitto. Non si poteva immaginare la grande festa mentre Gaza era insanguinata dalla brutalità disumana del conflitto. E dunque in poche settimane sono stati tinteggiati i palazzi che fiancheggiano la grande arteria che collega il centro città con la zona dove sorge il museo, collocato nei pressi delle piramidi di Giza, e tutto è stato predisposto per accogliere i milioni di turisti che visiteranno un’attrazione imperdibile contribuendo ad arricchire un paese in crescita ma allo stesso tempo in bilico. Cultura, politica e storia si intrecciano in un paese di 120 milioni di abitanti la cui economia nel 2025 potrebbe crescere del 4,5%. È molto ma è indispensabile per fronteggiare le sfide dell’indebitamento, dell’inflazione e di una crescita demografica abbinata all’accoglienza di ben nove milioni di immigrati fuggiti negli anni scorsi da conflitti, crisi climatiche e povertà. Rimane poi l’incognita della sicurezza regionale combinata con le minacce del terrorismo e dell’estremismo religioso che possono mettere a repentaglio una società, praticamente l’unica rimasta nella regione, nella quale ancora vive una consistente componente cristiana stimata ad oltre il 10% della popolazione.
Ma cosa è l’Egitto? Nella concezione identitaria sviluppata dal governo l’Egitto sembra essere il suo passato che si intreccia con il suo futuro. C’è l’antico Egitto, che è anche quello dove nacque Mosè, e quello copto, con la spiritualità che risale ai primi discepoli di Cristo, e poi quello che creò la grande metropoli araba del Cairo, quindi l’Egitto dei militari laici e quello dove si è sviluppata la Fratellanza Islamica, che ha vissuto la sua stagione di potere, con Morsi, breve ma abbastanza intensa da generare la forte reazione che si è estesa tra i governi della regione. Ed infine i giovani ai quali si propone la continuità culturale con un passato fatto di stratificazioni millenarie tra loro collegate. Le banconote egiziane hanno un lato con architettura islamica e l’altro con immagini dell’Egitto faraonico. Si intende così consolidare un’identità che parte dai faraoni e deve includere i copti per dare continuità fino al presente. Il nuovo museo è funzionale a questo: non ha soltanto obiettivi culturali ed economici legati al turismo ma anche identitari. Ugualmente importante il ruolo della comunità copta, che si considera collegata all’Egitto antico. Dopo le violenze del periodo di Morsi che hanno colpito i cristiani, il quartiere copto del Cairo è protetto dalla polizia. È bello visitarlo la domenica dopo la messa che raduna i fedeli la mattina. Ma bisognerebbe capire se c’è anche in Egitto una “chiesa che soffre” come accade in altre nazioni del Medio Oriente.
Lo chiedo a Padre Ibrahim Faltas, da anni per molti italiani la voce dei francescani di Terra Santa. Abuna Ibrahim è un egiziano che si esprime con vivacità, lo raggiungo al telefono mentre viaggia tra Gerusalemme, Assisi e Roma. Mi dice che “dopo il periodo buio di Morsi, quando tanti cristiani sono stati uccisi e molti di più hanno lasciato il paese, l’Egitto è tornato alla tradizione di convivenza tra comunità che sono ugualmente parte dell’identità fondante della nazione”. Faltas rileva il contrasto con la situazione in Cisgiordania, dove Betlemme, città un tempo a maggioranza cristiana, in pochi anni ha perso gran parte di una comunità che viveva del turismo religioso: “è importante che i pellegrinaggi riprendano.” In Egitto invece le chiese copte sono visitate da numerosi turisti ed anche da fedeli ortodossi europei che vi venerano le numerose reliquie. All’esterno della chiesa campeggiano le fotografie dei capi di Stato egiziani che hanno ritenuto necessario manifestare il sostegno all’antica comunità cristiana.
L’intreccio tra potere e religione, con il corollario della ricchezza di un grande patrimonio culturale, si manifesta anche nella magnifica moschea con l’Università di al-Ahzar simbolo di soft power che si irradia dal Cairo. Ad al-Azhar si nota il fervore di fedeli islamici provenienti da tutto il mondo. La sua guida spirituale, pur in assenza di un sistema gerarchico simile a quello cattolico, può influenzare milioni di musulmani sunniti e lo fa avendo scelto la strada di dialogo tra le religioni abramitiche. Simbolo di questa scelta il documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi dal Papa Francesco ed il Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib. Al Cairo dunque non c’è il “Vaticano islamico”, ma la convivenza tra centinaia di milioni di esseri umani dipende anche dalle scelte di al-Ahzar (e di chi governa l’Egitto). L’Egitto del resto avrà un ruolo cruciale per il disarmo di Hamas, la fase due degli accordi di Sharm el Sheikh. Conosce Gaza, gode della fiducia di Israele e Stati Uniti, ha l’interesse a farlo.
I motivi per guardare con attenzione nella direzione di un paese che avanza verso il futuro sono quindi tanti. Il futuro dell’Egitto si manifesta nei grandi investimenti infrastrutturali, nell’ambizioso piano della capitale amministrativa che dovrebbe decongestionare Il Cairo. La nuova capitale accoglie con una distesa di costruzioni nuove. Edifici belli e talvolta ancora vuoti. Cosa succederà? “Costruiamo e poi tutto andrà avanti” sembrano pensare con un invidiabile ottimismo i pianificatori: l’offerta precede la domanda. Opere che contribuiscono all’indebitamento ma la sfida è che la crescita possa più che compensarne il peso. Una crescita fatta di turismo, che in un clima di maggiore sicurezza sta riprendendo anche grazie alla svalutazione della lira egiziana. Poi c’è il gas, con l’autosufficienza energetica raggiunta anche grazie alla grande scoperta da parte dell’ENI di Zhor, il più grande giacimento del Mediterraneo. Soprattutto, c’è qualcosa di permanente: la posizione geografica. L’Egitto è un perno tra Asia ed Africa con il controllo del Canale di Suez che rimarrà di gran lunga il più conveniente transito tra l’Indo-Pacifico ed Mediterraneo.
Per l’economia italiana la percorribilità del Canale è cruciale, senza di esso il piccolo Mare Mediterraneo sarebbe quasi un lago e perderebbe la funzione di cruciale anello di congiunzione tra i due più grandi bacini oceanici: l’Atlantico e l’Indo-Pacifico. Anche per questo l’Egitto è un fulcro dell’economia come della cultura Indo-Mediterranea. Certo, si possono immaginare nuove iniziative di connettività, quali il Corridoio India - Medio Oriente - Europa (Imec), ma esse dovranno essere una rete che includa tre continenti - Asia, Europa ed Africa – e quindi anche l’Egitto. Emerge quindi l’interesse particolare dell’Italia per un rapporto che può riguardare sia Imec che il Piano Mattei. Si profilano anche nuovi elementi di influenza politica ed economica, inclusa l’organizzazione di conferenze che non sono più appannaggio di località europee o nordamericane. Le capitali arabe ospitano iniziative di crescente rilievo: nel solo mese di novembre in Egitto dapprima il Cairo Forum, organizzato dall’Egyptian Center for Economic Studies, e poi TransMea, uno dei maggiori eventi su mobilità, infrastrutture e logistica. L’Egitto è un gigante, non può permettersi di correre come alcuni Stati del Golfo (dove la leggerezza demografica è inversamente proporzionale al peso delle risorse a disposizione), ma non può neanche concedersi il lusso di stare fermo, deve rincorrere la popolazione crescente. Coniugare l’esigenza della stabilità con la necessità del cambiamento è la sfida. Ce la farà? Questo ci riguarda e dipende anche da noi.

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