Contraddizione in sentenza

Il paradosso di un governo che fa della separazione delle carriere una delle riforme-bandiera del suo programma e poi si scopre sconcertato se un tribunale smentisce una procura
February 21, 2025
Contraddizione in sentenza
In quella Babele in cui negli anni si è trasformato il dibattito politico, dove tutti parlano e nessuno ascolta (e se ascolta non capisce, o peggio, strumentalizza), è sempre dietro l’angolo il pericolo di contraddirsi. È proprio quanto è accaduto al Governo dopo la condanna a 8 mesi in primo grado (pena sospesa) del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove. Il ministro guardasigilli Carlo Nordio, una vita intera trascorsa nei tribunali come pubblico ministero, si è detto «disorientato e addolorato» dal verdetto, dando così l’impressione di avere a cuore più la separazione delle carriere dei magistrati che non quella tra i poteri dello Stato. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è detta «sconcertata», mettendo in dubbio la fondatezza della sentenza alla luce del fatto che la pubblica accusa aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato e i giudici non hanno accolto la richiesta. E avanti così, passando per il vicepremier Antonio Tajani che ha parlato espressamente di «una scelta politica finalizzata a dare un colpo alla riforma della giustizia». Mentre il diretto interessato, Delmastro, ha scomodato addirittura il marxista Bertolt Brecht per auspicare che «ci sia un giudice a Berlino» in appello, per poi difendersi dall’accusa di avere divulgato atti d’ufficio segreti con un’esclamazione senz’altro più vicina alle radici della sua cultura politica: «Io non ho tradito!».
Tutto questo per dire del paradosso di un esecutivo che ha fatto della separazione delle carriere una delle riforme-bandiera del suo programma, affermando in sostanza che oggi “comandano” i pm e i giudici si appiattiscono sulle loro tesi, e poi si scopre «sconcertato» se un tribunale smentisce una procura. O, addirittura, ipotizza che la decisione sarebbe stata presa proprio “contro” la riforma, ovvero per dimostrare che non è necessaria. Tale paradosso, si badi bene, prescinde dal fatto che si possa essere favorevoli alla separazione delle carriere. Ai membri del Governo e della maggioranza sarebbe bastato, per intenderci, rammaricarsi per la condanna di Delmastro e annunciare che non si ritengono necessarie le sue dimissioni senza gridare alla “sentenza politica” o mettere in mezzo le riforme in cantiere.
È comprensibile perciò, dal suo punto di vista, che l’Associazione nazionale magistrati (dove è in maggioranza Magistratura indipendente, componente moderata considerata più vicina al centrodestra) abbia sottolineato che «per avere un giudice terzo non occorre andare a Berlino». E sì che abbia anche, prevedibilmente, riaffermato «l’inutilità della separazione delle carriere», alla quale si è sempre dichiarata contraria con metodi e manifestazioni talvolta poco consoni alla toga indossata. Ma in questo caso era come battere un rigore a porta vuota.
Per altro, un paio di mesi fa - per parafrasare Brecht e Delmastro ¬- c’è stato un giudice anche a Palermo e ha assolto in primo grado con formula piena («il fatto non sussiste») il vicepremier Matteo Salvini per la vicenda Open Arms, dopo che il pubblico ministero ne aveva chiesto la condanna a sei anni di reclusione per sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio. In quel caso nessuno (per fortuna), né in maggioranza né all’opposizione, ha parlato di sentenza politica e a nessuno è venuto il sospetto che, assolvendo il leader leghista, si volesse in realtà affondare la riforma sulla separazione delle carriere. In effetti c’è di che essere disorientati, anche più del ministro Nordio.

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