Come si è arrivati (davvero) alla trattativa impossibile tra Ucraina e Russia

La pressione del tempo, l’avanzata lenta dei russi, le difficoltà interne ucraine e soprattutto il rapporto con Trump stanno spingendo Putin e Zelensky ad ammorbidire le posizioni. Ecco il risultato
August 19, 2025
Come si è arrivati (davvero) alla trattativa impossibile tra Ucraina e Russia
Ansa | Putin e Zelensky
Abbiamo sempre detto e scritto che nessuno avrebbe potuto davvero vincere la guerra in Ucraina. E le attuali trattative, che con tutti i restanti margini di incertezza costituiscono tuttavia un deciso passo verso la composizione del conflitto, lo dimostrano proprio perché tentano con evidenza di assicurare sia alla Russia sia all’Ucraina la possibilità di sottolineare, in caso di cessazione delle ostilità, più i “guadagni” che le “perdite”.
Due sono gli snodi per arrivare a un accordo: lo scambio di territori e le garanzie di sicurezza. Ed entrambi, a ben vedere, sono rappresentati da dizioni artificiali, costruite per consentire una narrazione consolatoria per l’una o per l’altra parte. Prendiamo la questione dei territori: non ci sarà alcuno scambio, perché l’Ucraina (che pure allo scopo aveva cercato di occupare la regione russa di Kursk) non ha alcun territorio russo da restituire. Viceversa, la Russia oggi occupa il 99% della regione ucraina di Lugansk, il 79% di quella di Donetsk, il 71% di quella di Kherson e il 74% di quella di Zaporizhzhia. Per non parlare della penisola di Crimea, interamente occupata. Toccherà quindi solo alla Russia restituire territorio, parte dell’Ucraina invasa e finora controllata. Può sembrare, quindi, che il Cremlino parta avvantaggiato, sia nella condizione di scegliere quale pezzo di Ucraina restituire. Ma non è così semplice: il Donbass (Lugansk più Donetsk) è terra ricca di risorse, in posizione strategica. Ma a Zaporizhzhia c’è la centrale nucleare più grande d’Europa e Kherson sarebbe decisiva per la proiezione su Odessa, la città che ha decretato la “non vittoria” russa.
Non essendo riuscita a prenderla, la Russia ha dovuto rinunciare al sogno vero della sua spedizione militare dopo il fallito Blitzkrieg del 2022, cioè la conquista dell’intera fascia costiera con il relativo controllo del Mar Nero.
Un discorso analogo vale per le “garanzie di sicurezza” a favore di Kiev. Di per sé, il modo in cui se ne parla adesso già significa una cosa: niente ingresso nella Nato per l’Ucraina. Ed è da notare, di passaggio, come il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Mark Rutte, si sia allineato in un lampo alle convinzioni di Donald Trump, pur avendo prima sempre sostenuto che il cammino ucraino verso la Nato fosse irreversibile. Ora si dice che queste “garanzie”, che Volodymyr Zelensky giustamente chiede avendo schierato il proprio Paese anche a difesa della sicurezza europea, saranno molto simili a quelle che potrebbe offrire la Nato. Ma non è nulla che impressioni il Cremlino perché non è nulla di nuovo. Già sotto la presidenza di Petro Poroshenko (2014-2019) le forze armate ucraine furono rinforzate (il Paese, con la Moldavia il più povero d’Europa, spendeva il 6% del Pil per la difesa) e soprattutto riorganizzate in modo da essere interoperabili con le forze Nato. Ed è un segreto di Pulcinella il fatto che in questi anni le armi, i consiglieri e le risorse della Nato abbiano contribuito, anche sul campo, alla difesa dell’Ucraina dall’invasione russa. Nulla di tutto questo ha intimidito la Russia, che con l’invasione si è attestata sul 20% del territorio ucraino. E anche questa, per l’Ucraina che voleva tornare ai confini del 1991, è una “non vittoria”.
Tocca ora alle diplomazie trovare un punto di caduta accettabile per entrambe le parti in questi due delicatissimi campi. Lavorano a favore delle ipotesi di accordo due iniezioni di realismo assorbite negli ultimi sei mesi, dal famoso scontro Zelensky-Trump del febbraio scorso. Da allora, i russi hanno continuato ad avanzare, conquistando terreno senza comunque avvicinarsi all’obiettivo di cui si diceva prima. E gli ucraini, pur senza crollare, hanno visto sgretolarsi pian piano non solo le difese ma anche la coesione interna. Né Mosca né (ancor più) Kiev possono andare avanti a lungo così. E poi sia Mosca sia Kiev hanno accettato il fatto che oggi il bene politico primario per entrambi è il rapporto con gli Usa di Donald Trump. Un reset delle relazioni con Washington vale, per il Cremlino, assai più della caduta di Pokrovsk o della conquista di un altro 5% di territorio ucraino. Abbiamo ben visto come a Mosca sia stato celebrato il summit di Anchorage… E per Zelensky e i suoi è chiaro che la miglior garanzia di sicurezza ottenibile oggi sta proprio nel fatto che l’Ucraina diventi un tassello importante nella strategia globale e negli interessi economici degli Stati Uniti.
Questa consapevolezza ha ammorbidito sia Putin sia Zelensky. Fino a pochi mesi fa, Putin considerava Zelensky un presidente illegittimo e quindi un interlocutore da non prendere in considerazione. Zelensky, per parte sua, aveva persino fatto approvare un decreto per vietare qualunque trattativa con la Russia finché Putin fosse stato al potere. Adesso, a quanto pare, i due si incontreranno a. Il peso della realtà comincia a farsi sentire.

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