Caro Bruce, ti scrivo

L'attesa e le emozioni, il tempo che passa e l'America sfigurata. E il desiderio di tornare a casa con la magia e la festa della musica
June 28, 2025
Caro Bruce, ti scrivo
ANSA | Bruce Springsteen
Posso darti del tu, caro Bruce? Ti conosco da 38 anni, ti amo da 38 anni e una manciata di minuti, il tempo di ascoltare quella tua prima canzone - caso esemplare di "amore a prima vista", o "a prima nota rock" -, la stessa che perforò, con la forza di un proiettile, la mia scorza di ragazzino di provincia. Fu come vedere per la prima volta e ascoltare per la prima volta: un mondo sconosciuto entrava, attraverso la tua voce, nella mia stanza, mi agguantava, mi rapiva, scaraventandomi in un’altra dimensione spazio-temporale. La musica era rabbiosa, i versi scabri ("sono nato in una città di morti").
Solo a distanza di tempo, avrei capito quanto quell’immagine di forza che sprigionavi cantando di un reduce del Vietnam - e che mi si era palesata attraverso un video musicale -, fosse forata da fragilità e depressione, come tu stesso hai saputo raccontare magnificamente negli anni. Bruce Springsteen, urlavi di essere "Nato negli Stati Uniti" e per la mia generazione - ma oggi agli occhi di molti di noi non è più così - l’America era la strada, era lo spazio immenso, era la libertà, era la forza mitopoietica, era la capacità di sedurre con la forza di quella sostanza misteriosa e inafferrabile che è il sogno. Oggi, anche tu (anzi, a dire il vero, durante tutta la tua carriera), hai fatto a cazzotti con un’America che non riconosci, che si è smarrita, orfana di quei principi che - come canti in Long Walk home - sembravano "scolpiti nella pietra" e, dunque, intangibili ("Mio padre diceva/ Figliolo, siamo fortunati in questa città/ È bel posto dove nascere/ Ti avvolge nelle sue braccia/ Nessuno ti dà fastidio, nessuno è lasciato solo/ Quella bandiera che sventola sul tribunale/ Significa che certe cose sono scolpite nella pietra/ Chi siamo, cosa faremo e cosa non faremo").
Ebbene, Bruce, domani il tuo percorso e il mio (e delle migliaia di fan che verranno ad ascoltarti a San Siro per le due date italiane del tour Land of Hope and Dreams) torneranno a incrociarsi. Tu continui a macinare chilometri e concerti, nonostante l’età e l’usura del tempo, noi continuiamo a venirti dietro. Tu hai i tuoi acciacchi, noi i nostri. Tu ammetti che il "tuo tempo non è infinito", noi veleggiamo in quella terra di mezzo - l’età adulta - che è ancora una scatola oscura e un po’ misteriosa (non sai bene se guardarti indietro o avanti), alle prese con le gioie e i tormenti della vita, un’età nella quale i sogni - come cantavi in The River - mostrano quello che sono, degli inganni ("Un sogno che non si avvera/ è una menzogna/ o qualcosa di peggio?"). Qualcosa che anziché salvarti, insomma, ti trascina in basso.
L'attesa di San Siro nel 2016 - ANSA
L'attesa di San Siro nel 2016 - ANSA
E soprattutto, caro Bruce, noi a San Siro ci arriviamo con la zavorra del quotidiano, quel quotidiano che tu - con la straripante, miracolosa, energia del rock’n roll - hai la forza di trasfigurare. Poche cose hanno la capacità (e la magia) di mischiare, confondere, unire, come fa un concerto: 50-60mila persone che cantano all’unisono, saltano e ballano all’unisono e, qualche volta, piangono all’unisono. Mi chiedo: cosa è cambiato da quel mio primo lontano concerto (fu a Napoli, anno 1997, Teatro Augusteo, tour di The ghost of Tom Joad) a oggi? Sono mutate le attese? Si sono "calmate" le aspettative? Si è ridimensionata, insomma, l’emozione di riascoltarti?
Oggi posso dirti che non è cambiato nulla e che sì, è cambiato tutto. Oggi - e credo di poter parlare a nome di tanti che verranno ad applaudirti domani e giovedì - non ho la canzone che vorrei ascoltare a tutti i costi, non ho bisogno di conferme che tu sia il più grande performer rock di tutti i tempi, non mi serve che dimostri di tenere il palco per tre ore e di aver saputo aggirare le trappole e le ferite del tempo che passa. In questo momento, nel periodo storico in cui viviamo in una sorta di asfissiante assedio - pressati ogni giorno da notizie terribili nelle quali la follia dell’uomo sembra volersi mostrare in tutta la sua demonica negatività - quello che ho da chiederti Bruce è questo: tre ore, tre ore senza pesi opprimenti in cui sentirsi meravigliosamente leggeri Bruce, tre ore di felicità e sudore Bruce, tre ore di canzoni urlate a memoria e abbracci (in serie) Bruce. Tre ore di gioia Bruce, soltanto questo: gioia. Un po’ come tornare a casa. Un po’ come tornare ad essere giovani.

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