Il parcheggiatore

Il faticoso e complicato rapporto dei genitori con la scuola: da chi la considera un posteggio a chi insulta i professori. Per fortuna non tutti...
November 22, 2025
"Questa scuola non è un parcheggio" (immagine generata dalla IA partendo dalla famosa fotografia scattata davanti ad un istituto scolastico di Salerno durante la pandemia del 2020)
"Questa scuola non è un parcheggio" (immagine generata dalla IA partendo dalla famosa fotografia scattata davanti ad un istituto scolastico di Salerno durante la pandemia del 2020)
Essere padre oggi non è un ruolo, ma un cammino incerto, fatto più di domande che di risposte. Continua il viaggio del nostro padre ignoto
Ho indossato un sorriso di circostanza e sono uscito dalla sua stanza, questo già lo sapete. Però ad Edoardo, tredici anni di pura preadolescenza inquieta, quando mi ha detto «Insomma pà… non credo saresti adatto a fare il rappresentante di classe», avrei voluto ricordare giusto un paio di cosettine. Perché poi, per riprendermi psicologicamente dallo smacco dell’esperienza fallimentare con la rappresentante di classe, mi ero candidato per il Consiglio d’istituto della sua scuola: e pur non sapendo cosa bene fosse - oggi posso confessarlo - mi sono ritrovato eletto da lì al mese successivo. Sarà forse stato l’effetto del mio piccolo manifesto elettorale: «La comunicazione è tutto, al giorno d’oggi», commentò il mio amico giornalista Lacro al quale lo feci leggere in anteprima. E approvò anche quel passaggio finale in cui mi chiedevo se, oltre alla lingua inglese che garantisce il pieno accesso al mondo che cambia, si potesse pretendere anche altro: «Gli strumenti culturali per vivere meglio, per cogliere la bellezza in un’opera d’arte, per ammirare un tramonto e non solo una vetrina» (cit. Massimo Gramellini).
Ho capito qualcosa di più della scuola dei miei figli, in quei tre lunghi – e faticosi – anni? Anche se il mio sforzo non ha portato neppure lontanamente al cambiamento da me desiderato, ho avuto in regalo degli occhiali nuovi e tre ricordi che rimarranno indelebili nel mio zainetto di padre. Il primo è legato alle settimane dopo l’elezione in cui, alle 8.20, mi attardavo a chiacchierare davanti alla scuola alle prese con un mio personale sondaggio tra i genitori: chi si lamentava della qualità della mensa, chi delle classi troppo piccole, chi addirittura dei colori delle pareti. Fino a quando mi fu rivelato il «vero problema» da risolvere: «Visto che hai capito anche tu che è quasi impossibile trovare parcheggio lungo questa strada strettissima, all’uscita occorrerebbe che la scuola si organizzasse meglio. In maniera tale che ciascuno dei nostri figli possa essere accompagnato direttamente in auto mentre noi ci troviamo, tutti in colonna nel traffico, a transitare davanti al portone».
Poi, grazie al cielo, davanti a quel portone ho conosciuto anche Eranda. Quando scoppiò un piccolo principio d’incendio – che per fortuna è stato in grado di intaccare solo alcuni muri all’ingresso – lui lasciò per tutti in bacheca un messaggio del tipo «sarebbe carino se i nostri figli realizzassero disegni, graffiti… qualsiasi cosa che colori uno spazio che è della scuola, che sentono loro, che non deve essere nero fumo. Un modo per scacciare la paura che un incendio possa toglierli quanto loro amano». Eccolo, un padre che si immaginava invece una scuola diversa da un «posteggio»! Da ultimo un tardo pomeriggio in cui, proprio alla fine di una riunione del Consiglio, una insegnante mi ha confidato di aver ricevuto il foglio protocollo dell’ultima verifica in classe accompagnato però non già dalla firma ma da una frase (irripetibile, ma simile ad una via di mezzo tra un insulto e una minaccia/«non lo faccia mai più, brutta str...») scritta di pugno dal genitore, accanto al 4 da lei assegnato al figlio. «E cosa si fa in questi casi?» chiesi io, stupito. Lei: «Ci si parla ugualmente, con quel padre».
Puoi anche mangiare a scuola non bene come a casa, ritrovarti seduto un po' troppo vicino al tuo compagno di banco e non amare davvero quel colore verde acqua delle pareti: però io ho compreso, con quegli occhiali nuovi, che la differenza vera la fa sempre e soltanto il corpo docente, spesso tanto bistrattato non solo dai genitori ma ancor prima dallo stesso establishment scolastico. E a molte insegnanti, ancora oggi, sono riconoscente. Anche – e soprattutto – a quelle che, nei colloqui, con la scusa di parlare dei miei figli hanno saputo insegnare molte più cose a me.
N.N.
[4 - continua, forse. Qui le puntate precedenti]
Ci sono momenti in cui ci sembra di non sapere più nulla, e il nostro essere padri diventa sconosciuto. Ignoto, prima a noi che ai nostri figli.
E tu come pensi debba essere strutturata una «scuola utile» per i tuoi figli?
Che ricordi hai degli insegnanti dei tuoi figli?
Cosa hanno insegnato a loro e cosa a te?
Se vuoi, puoi scrivere a 
ilpadreignoto@gmail.com e condividere le tue riflessioni ed esperienze. Contiamo di pubblicarle così da costruire uno spazio di confronto a più voci che sia utile a tutti.

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