venerdì 10 agosto 2012
​Qui, nel "sobborgo di Trento", la Microsoft ha avviato il Cosbi, centro di ricerca sulla biologia computazionale e dei sistemi creato assieme alle università. Sono circa 20 gli spin off nati dal '95 ad oggi dai progetti di ricerca della Fondazione.
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«Povo, sobborgo di Trento» recita il cartello a metà della salita che dal centro della città porta su questo colle fatto di vitigni forti e graziose casette. Uno legge “sobborgo” e pensa a certe altre periferie impersonali cresciute attorno a certe altre città dove più ci si allontana dal centro peggio si sta. A Povo invece sembra che vogliano venire tutti, tra quelli che contano nel mondo della tecnologia. Qui la Microsoft ha avviato il Cosbi, centro di ricerca sulla “biologia computazionale e dei sistemi” creato assieme all’Università di Trento. Qui, o a un passo da qui, l’Ibm baserà il suo centro di ricerca sulle tecnologie semantiche, progettato assieme all’associazione Trento Rise. È la stessa associazione che quest’anno è riuscita a portare a Trento uno dei 6 nodi di ricerca sull’Ict (cioè tecnologie dell’informazione e della comunicazione) dell’Eit, l’organizzazione di eccellenza tecnologica con cui l’Europa vuole fare concorrenza al Mit di Boston degli americani. Gli altri 5 nodi dell’Eit (la sigla sta per European institute of innovation and technology) sono a Berlino, Parigi, Helsinki, Stoccolma, Eindhoven. Fanno parte dell’Eit di Trento anche gruppi come Telecom Italia ed Engineering. L’indirizzo di questo nodo tecnologico, naturalmente, rimanda al sobborgo di Povo.«Siamo contenti che queste grandi organizzazioni portino qui i loro ricercatori. Siamo convinti che la essere presenti assieme nello stesso posto sia ancora importante». Chi parla è Paolo Traverso, il direttore del centro di studi sull’Ict della Fondazione Bruno Kessler. È l’aria buona di ricerca che si respira nei paraggi di questa Fondazione – nata nel 2007 come evoluzione delll’Istituto Trentino di Cultura del 1962 – quello che i colossi della tecnologia cercano sul colle di Povo. La Fbk è un ente anomalo nella povera realtà della ricerca italiana. Sostenuta dai finanziamenti della Provincia autonoma di Trento, questa organizzazione che oggi fa lavorare più di 350 ricercatori nasce con l’obiettivo di fare ricerca ad altissimo livello in alcuni ambiti (in particolare l’Ict e i materiali, ma c’è anche un polo umanistico che si occupa di studi storici italo-germanici e scienze religiose) per generare innovazione sul territorio attraverso le applicazioni pratiche di quegli studi.Conviene partire da alcuni degli ultimi migliori risultati di questo centro per capire di cosa si sta parlando. Nella “Camera Pulita” della Fbk si preparano i microchip in silicio di “altissima gamma” che, per esempio, utilizzano al Cern di Ginevra per rilevare i prodotti delle collisioni tra le particelle costituenti la materia o all’Agenzia Spaziale Italiana per fare ricerche nello spazio. Gli stessi studi poi si applicano per progettare pannelli solari innovativi o nuovi sistemi per le tomografie in ambito sanitario. L’unità di ricerca sulle tecnologie del linguaggio della Fbk è uno dei laboratori più avanzati al mondo sullo studio delle "macchine che capiscono quello che diciamo" come spiega Bernardo Magnini, responsabile dell’unità insieme a Marcello Federico, raccontando ad esempio del progetto europeo Moses, che è a buon punto nella realizzazione di un sistema che traduce il linguaggio parlato da una lingua a un’altra in tempo reale. Stefano Messelodi lavora invece all’unità "Tecnologie della visione", dove i computer con le loro telecamere sono in grado di individuare automaticamente le “persone” e seguirne i movimenti, con applicazioni utili ad esempio nella sicurezza domotica, per anziani che vivono soli in casa. Nel centro "Materiali e microsistemi" della Fbk sono riusciti a trattare delle lastre di silicio per ottenere dati “biologici”. «Nel giro di qualche anno – spiega il direttore Massimo Gentili – questi sensori potranno essere usati per fare analisi del sangue immediate e domestiche così come analisi sugli alimenti».I fondi che alimentano queste ricerche arrivano in gran parte dalla Provincia. «Per due terzi sono risorse investite dalla Provincia di Trento, l’altro terzo sono soldi che arrivano dai bandi vinti e dalle imprese private» risponde Giuliano Muzio, che alla Fbk è responsabile dell’innovazione e dei rapporti con il territorio. I soldi pubblici che un’area fiscalmente privilegiata come quella del Trentino investe in questa fondazione tornano però sul territorio. «Facciamo tre tipi di ricerca – spiega Muzio –: ricerca completamente indipendente, ricerca in alleanza con aziende trentine che cercano innovazione nel loro campo, ricerche su commissione di gruppi privati». È come se la Provincia di Trento avesse creato una fabbrica di innovazione, capace di dare questa fondamentale materia prima alle aziende della zona. La fabbrica funziona, tanto che negli anni ha generato nuove aziende che vivono applicando i risultati delle ricerche avviate all’interno della Fbk. Sono circa 20 gli spin off nati dal ’95 ad oggi dai progetti di ricerca della Fondazione: si tratta quasi sempre di ricercatori che a un certo punto hanno voluto scommettere sulle prospettive commerciali dei loro studi e hanno trovato investitori o aziende disposti ad appoggiarli per avviare un’attività nuova.La generazione di spin off è accelerata con la trasformazione dell’Istituto in Fondazione, poi negli ultimi due anni ha rallentato. Colpa della crisi. «Sono pochi gli investitori pronti a mettersi in gioco in questo momento» ammette Muzio. I venti della bufera finanziaria europea non potevano lasciare del tutto inviolato il colle di Povo. Ma l’aria di ripresa, quando e se tornerà a soffiare, troverà in terre come questa l’innovazione capace di dare un nuovo futuro produttivo all’Italia.
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