sabato 18 agosto 2018
Tweet incontrollati, promesse mancate, attacchi agli analisti, trattative per vendere tutto agli spietati sauditi. Il geniale fondatore sta mettendo nei guai l'azienda dell'auto elettrica
Elon Musk, 47 anni, fondatore di Tesla

Elon Musk, 47 anni, fondatore di Tesla

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Elon Musk fa bene a cercare qualcuno che lo aiuti a portare Tesla fuori da Wall Street: l’imprenditore sudafricano è sicuramente geniale, ma non sembra più in grado di gestire una società quotata. Stare in Borsa significa essere trasparenti con gli investitori, così da permettere a tutti di avere informazioni complete e precise su come sta andando la società di cui hanno comprato le azioni. Invece Musk è un visionario che non sa trattenersi. Continua a promettere e mancare grandiosi traguardi. E questo in Borsa non si può fare.

Il Wall Street Journal ieri ha scritto che ora sono due le indagini della Sec di San Francisco su Tesla. Un caso è già noto: il tweet con cui Musk il 7 di agosto ha annunciato che sta valutando il delisting di Tesla per 420 dollari ad azione, quando il titolo aveva un prezzo di 350 dollari, ha fatto volare le quotazioni ed è inevitabilmente finito nel mirino della Sec. I dubbi dell’autorità di vigilanza hanno costretto Musk a scrivere subito nel blog della Tesla un lungo testo di spiegazione del senso del suo tweet e poi, dopo meno di una settimana, un ulteriore aggiornamento.

Il secondo caso è più complicato. La Sec, scrive il Wall Street Journal, sta indagando su Musk anche per i dati sballati che ha comunicato sulla produzione della Model 3, il modello di auto elettrica economica che doveva consentire a Tesla il grande ingresso nel mercato di massa. Due anni fa il manager aveva promesso che avrebbe prodotto 200mila Model 3 nel 2017. Invece ne ha costruite 2.700. La differenza tra quanto annunciato e quanto realizzato è di oltre il 98%: troppo per prendersela con fisiologici ritardi di produzione. Un gruppo di investitori ha avviato un’azione collettiva contro Musk accusandolo di averli ingannati con i suoi annunci.

Sono gli esempi più vistosi dell’incapacità di Musk di avere un rapporto normale con gli investitori. A maggio presentando agli analisti i conti del primo trimestre si è rifiutato di rispondere a una domanda sulla produzione della Model 3 dicendo di non poterne più di quesiti «noiosi e stupidi» e chiudendo la questione: «Non può interessarmente di meno – ha detto durante l’incontro con gli analisti incaricati di valutare la bontà del titolo –. Per favore, se siete preoccupati per la volatilità vendete le nostre azioni e non compratele ». Il primo di aprile ha pensato che fosse divertente scrivere su Twitter che Tesla «dopo avere tentato di raccogliere denaro anche attraverso una massiccia vendita di uova di Pasqua, è triste di annunciare che sta andando completamente e totalmente in bancarotta. Non credereste quanto è in bancarotta».

Tutti gesti che gli investitori non accetterebbero da parte dell’amministratore delegato di un’azienda solida e che diventano pesanti nel caso di Musk, che amministra una società capace di perdere denaro a ritmi forsennati (solo nei primi sei mesi dell’anno ha bruciato 1,7 miliardi di dollari di cassa). Il New York Times è arrivato a intervistare uno psichiatra esperto di imprenditori per capire quale fosse «lo stato mentale» di Musk quando ha scritto i tweet sull’uscita di Tesla da Wall Street. Lo stesso Musk, intervistato dal quotidiano newyorchese, ha ammesso di essere «molto stressato» e di lavorare a volte 120 ore alla settimana.

Il progetto di fare comprare l’intera azienda al fondo sovrano saudita Pif, come ha spiegato lo stesso Musk dopo la richiesta di chiarimenti sul piano di delisting, completa il quadro di un imprenditore tanto creativo quanto complicato. Musk ha scritto che dopo un incontro del 31 luglio con rappresentanti del Pif ha capito che i sauditi sono senza dubbio pronti a finanziare il delisting, anche se molti analisti dubitano che il Pif, con circa 300 miliardi di dollari in cassa, possa spenderne circa 70 per comprare Tesla.

A parte questo c’è un problema di immagine. Musk sembra pensare che diventare l’azienda di proprietà del regime saudita non abbia impatto sul brandTesla. Essere un’azienda della Silicon Valley che fa spettacolari auto elettrica ed è guidata da un giovane imprenditore visionario che ha inventato Paypal e fa anche razzi per lo spazio è una cosa. Altra cosa è essere l’impresa controllata da un regime che, solo prendendo le cronache di questo mese, il 9 agosto in Yemen ha bombardato uno scuolabus uccidendo una quarantina di bambini e il 5 agosto ha cacciato l’ambasciatore canadese e interrotto ogni rapporto con il Canada solo perché il ministro degli esteri di Ottawa ha espresso solidarietà a un’attivista per i diritti umani arrestata a Riad. Il giovane principe Mohammed Bin Salman sarebbe un padrone poco presentabile per l’azienda che vuole vendere al mondo il sogno dell’auto del futuro.

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