Necessario un fronte comune

È un fenomeno sempre più diffuso in Italia. Interessa tutti i territori e i settori: dall'agricoltura alla moda, dall'edilizia ai servizi si registrano alte percentuali di irregolarità
September 2, 2025
Necessario un fronte comune
Archivio | Tavolo interministeriale contro il caporalato
Il caporalato è un fenomeno sempre più diffuso in Italia. Con la recente assunzione di 514 nuovi ispettori si sta cercando di prevenire una pratica illegale che purtroppo interessa tutti i territori e i settori: dall'agricoltura alla moda, dall'edilizia ai servizi si registrano alte percentuali di irregolarità. Su quasi 900 aziende agricole, per esempio, sono state effettuate verifiche su circa 3.600 posizioni lavorative, sanzioni e ammende per oltre 4,2 milioni di euro. Sono solo alcuni dei risultati della massiccia attività di controlli a tappeto avviata dal Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, realizzata dal 31 luglio all'11 agosto, che ha fatto emergere un quadro molto critico sul fenomeno del caporalato in particolare in agricoltura. I controlli hanno riguardato 888 aziende, di cui 468 sono risultate irregolari (52,70%). Sono state inoltre verificate 3601 posizioni lavorative, di cui 729 sono risultate irregolari (20,24%); di queste, 196 sono riconducibili all'impiego di manodopera "in nero" (il 26,88% delle 729 posizioni lavorative irregolari); tra le posizioni lavorative verificate, 1.557 riguardano lavoratori extracomunitari, di cui 79 impiegati "in nero" mentre 30 sono risultati clandestini; 19 sono stati i minori trovati sui luoghi di lavoro, di cui nove impiegati "in nero". I controlli hanno portato a 113 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale (il 12,72% delle 888 aziende ispezionate), di cui 51 per "lavoro nero", 50 per gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e, in 12 casi, per entrambe le ipotesi; inoltre, sono stati irrogati 42 provvedimenti di diffida ed elevate 850 prescrizioni ai sensi del decreto legislativo 758/1994. Per quanto concerne al contrasto delle condotte penalmente rilevanti, sono state deferite in stato di libertà all'autorità giudiziaria complessivamente 470 persone, resesi responsabili di violazioni del Testo Unico sull'immigrazione, della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il cosiddetto "caporalato" e di altre fattispecie penali, tra le quali falso ideologico e somministrazione fraudolenta di manodopera. Infine, sono state elevate sanzioni e ammende per 4.230.241,84 euro e sequestrati un locale fatiscente adibito a dormitorio dei lavoratori sfruttati (Perugia) nonché alcuni attestati di formazione falsi (Trieste).
«L'irregolarità di oltre il 52% dell'aziende agricole, controllate dal 31 luglio all'11 agosto dalle Unità specializzate del Comando dei Carabinieri, con particolare riguardo alle posizioni lavorative in nero, è un dato inquietante. Non si tratta di generalizzare perché i numeri parlano chiaro: 468 imprese su 888 non hanno rispettato le norme di legge tanto che per 113 aziende sono stati decisi provvedimenti di sospensione dell'attività. A fronte di tutto questo è evidente che occorra rafforzare l'attività ispettiva in ogni parte del Paese e, già ora, è possibile identificare un lotto significativo di aziende potenzialmente a rischio. Le sanzioni amministrative devono essere accompagnate da revoche di contributi e recesso dei permessi di attività». Lo dichiara Stefano Vaccari, capogruppo Pd nella Commissione Ecomafie e segretario di Presidenza della Camera. «Il caporalato non si sconfigge con le belle parole ma con una sistematica, e non straordinaria, campagna di prevenzione e repressione, con organici adeguati negli ispettorati del lavoro e sostenendo le forze di polizia. Al tempo stesso serve coinvolgere attivamente le forze sindacali, datoriali e professionali. Nelle campagne è in questo periodo estivo che si alimenta l'illegalità che emerge solo di fronte a drammatiche vicende», conclude.
Rapporto sulle agromafie
Il Rapporto Eurispes-Coldiretti 2025 fotografa un settore agroalimentare italiano in forte espansione, ma sempre più esposto alle infiltrazioni criminali. La filiera allargata, che include anche ristorazione e Gdo, ha raggiunto un valore record di 620 miliardi di euro, in crescita del 15% rispetto al 2021. Anche l’export agroalimentare tocca un massimo storico: 69,1 miliardi di euro nel 2024, +87% rispetto al 2015. Parallelamente, però, cresce anche il business delle agromafie, che ha raggiunto i 25,2 miliardi di euro, raddoppiando dal 2011, quando era stimato in 12,5 miliardi. Dopo una lieve flessione nel 2021 (23,5 miliardi) per via della pandemia, il fenomeno ha ripreso forza, estendendosi a tutta la filiera: dalla produzione primaria alla distribuzione, passando per logistica, trasporti e ristorazione.

A rendere il settore vulnerabile sono soprattutto le crisi degli ultimi anni. Il conflitto in Ucraina ha causato un incremento del 66% nei costi energetici, del 49% per i fertilizzanti, dell’11% per i mangimi e dell’8% per i fitosanitari. Il prezzo del mais, fondamentale per la zootecnia, è salito del 12% rispetto al 2019. A fronte di questi rincari, molte aziende agricole hanno lavorato in perdita o chiuso, mentre oltre 5,6 milioni di persone vivono oggi in povertà assoluta in Italia. Un altro squilibrio riguarda la distribuzione del valore lungo la filiera: su 100 euro spesi dai consumatori per prodotti agricoli freschi, meno di 20 euro vanno agli agricoltori. Per i prodotti trasformati, l’utile dell’agricoltore scende a 1,5 euro, mentre il commercio e il trasporto ne incassano 13,1 euro. Le agromafie approfittano di questa fragilità: offrono prestiti usurari, rilevano aziende in crisi e puntano sempre più direttamente alla terra e alla produzione primaria. Un modello simile al land grabbing, favorito anche dalla diminuzione dei prestiti bancari al settore agricolo, passati da 44,3 miliardi nel 2015 a 40,4 miliardi nel 2022.

Il Rapporto evidenzia anche la crescita del caporalato transnazionale, con manodopera reclutata da Paesi come India e Bangladesh, sfruttata al di fuori di ogni regola. In Puglia, per esempio, i lavoratori non comunitari sono passati da 1.189 nel 2010 a 7.786 nel 2022. Nelle campagne del Nord, invece, proliferano le “imprese senza terra”, finte cooperative che aggirano obblighi contrattuali e previdenziali, pagando salari ridotti fino al 40% in meno rispetto ai contratti.

Altro fronte critico è il fenomeno dell’Italian sounding, che vale ben 120 miliardi di euro, quasi il doppio dell’intero export agroalimentare italiano. Coldiretti chiede normative più severe per garantire trasparenza sulla tracciabilità delle materie prime e impedire che prodotti stranieri vengano venduti come italiani.

Infine, il cybercrime si affaccia con forza anche nel settore: attraverso criptovalute e money transfer illegali, le mafie riciclano denaro sporco investendo in ristoranti, supermercati e attività logistiche, approfittando della vulnerabilità digitale delle piccole imprese agricole.

A livello territoriale, 36 province italiane superano la media nazionale per incidenza delle agromafie. Le più colpite sono Reggio Calabria, Palermo, Foggia, Caltanissetta, Salerno e Lecce, ma anche il Nord mostra segnali preoccupanti: Venezia è al 17esimo posto per presenza mafiosa nella filiera, e diverse aree di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna risultano altamente permeabili.
L'indagine di Anci
Intanto è stata pubblicata l’indagine nazionale condotta da Anci-Associazione nazionale Comuni italiani e dalla sua fondazione Cittalia, rivolta ai centri abitati con popolazione superiore a 15mila abitanti, per conoscere l’impegno degli enti locali nella costruzione e realizzazione di “Servizi e strumenti di governance dei Comuni per sostenere le vittime di sfruttamento lavorativo”. L’indagine è stata realizzata nell’ambito del progetto Incas-Piano d’azione a supporto degli enti locali nell’ambito dei processi di inclusione dei cittadini stranieri e degli interventi di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato, finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – Direzione politiche migratorie. Dei 737 Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti, hanno risposto 603, pari all’82% dei comuni target. Il rapporto restituisce la fotografia dello stato dell’arte del fenomeno, mostrando il carattere multidimensionale e trasversale a diversi settori lavorativi: dalla ristorazione al turismo, dall’agricoltura alla cura della persona, dalla logistica al food delivery. Molteplici gli interventi dei Comuni. Nello specifico della tipologia di interventi, considerato il campione dei Comuni che hanno dichiarato di aver svolto azioni, risulta che il 49,2% di essi ha attivato o realizzato servizi specifici, il 46,6% strumenti di governance e il 72,9% progetti contro lo sfruttamento lavorativo.
Per il sindaco di Teramo Gianguido D’Alberto, delegato Anci all’Immigrazione e Politiche per l’integrazione, «i Comuni italiani svolgono una funzione essenziale nel contrastare un fenomeno che risulta diffuso in maniera pervasiva sul territorio nazionale, come confermato dal fatto che l’ampia maggioranza degli enti locali rispondenti segnali la presenza di settori lavorativi ad alto rischio di sfruttamento lavorativo sul proprio territorio. Vedere e valorizzare l’apporto possibile dei Comuni nella lotta al caporalato è esattamente ciò che abbiamo voluto fare, trovando nel ministero del Lavoro e delle Politiche sociali la consapevolezza che l’impresa è ardua e complessa e non può dunque fare a meno del contributo di nessuno».

Tuttavia c’è il rischio di non riuscire a spendere, entro il termine di giugno 2026, gran parte dei 200 milioni di euro previsti dal Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza per il superamento dei ghetti dei lavoratori immigrati. Così il governo è intenzionato a utilizzarli come incentivi alle imprese agricole affinché realizzino loro delle strutture di accoglienza per i braccianti. Lo afferma la ministra del Lavoro Marina Calderone nel corso del Tavolo interministeriale contro il caporalato, che non si riuniva da più di un anno, presenti anche i colleghi Lollobrigida e Piantedosi, i rappresentanti sindacali e imprenditoriali. Si è parlato anche dei decreti attuativi del decreto Agricoltura, dello stato di avanzamento della Banca dati degli appalti in agricoltura, dell’attuazione della condizionalità sociale della Pac, delle agevolazioni per le imprese che si iscrivono alla Rete del lavoro agricolo di qualità.
Mentre lo scorso 23 luglio, Maurizio Falco, commissario straordinario per il superamento dei ghetti, ha comunicato lo sblocco di 12 progetti, per un ammontare di circa 26 milioni di euro, per accogliere 700 persone. Si tratta di piccoli insediamenti: Castelguglielmo (Rovigo), Saluzzo (Cuneo), Pescara, Castel Volturno (Caserta), Eboli (Salerno), Corigliano-Rossano (Cosenza), Lesina, Carpino e Carapelle (Foggia), Bisceglie (Barletta-Andria-Trani), Brindisi, Siracusa. Mancano i ghetti pugliesi di Manfredonia (54 milioni), San Severo (27 milioni), quello calabrese di San Ferdinando, la provincia di Latina. Oltretutto uno dei 12, Lesina, ha rinunciato a 1,9 milioni per la ristrutturazione di un ostello per ospitare 30 braccianti immigrati.
Il caso Loro Piana
Nel settore della moda «esistono ed è evidente casi di irregolarità e illegalità che vanno contrastati con fermezza», ma «è importante sottolineare che questi episodi non rappresentano la norma, ma piuttosto l'eccezione. L'Italia resta il cuore manifatturiero del fashion mondiale, con una capacità produttiva che copre, a seconda dei segmenti, dal 50% al 70% della produzione globale del settore». Lo dice in una nota il presidente di Confindustria Moda Luca Sburlati a seguito delle dichiarazioni di Cécile Cabanis, direttore finanziario di Lvmh. In merito all'indagine sul caporalato, rispondendo a una domanda in occasione della presentazione dei conti trimestrali, Cabanis ha risposto che «è un tema che riguarda l'intera industria italiana». «La tutela del made in Italy passa anche da qui. Come Confindustria Moda, siamo da sempre impegnati su questo fronte e sosteniamo con convinzione il protocollo di Legalità firmato a Milano, strumento essenziale per rafforzare controlli e responsabilità condivise e siamo al lavoro con il governo per lo sviluppo di una nuova legge cogente sul tema«. In Italia, ricorda Sburlati, «operano ogni giorno oltre 500mila persone e circa 50mila imprese nel settore moda».
Il recente caso che ha coinvolto Loro Piana, con l’amministrazione giudiziaria disposta dal tribunale a seguito delle accuse di sfruttamento del lavoro, riporta in primo piano un fenomeno che finora era stato confinato ad altri settori: il caporalato. Non più solo nell’agricoltura, ma anche nelle filiere più sofisticate del Made in Italy, comprese quelle del lusso e della moda. La vicenda fotografa un problema tuttora endemico in Italia, con tassi di irregolarità elevati e una portata tale da rendere urgente una riflessione: nessuna impresa è al riparo dai rischi di una gestione opaca della supply chain. E le conseguenze, oltre che etiche e sociali, possono essere anche giuridiche e reputazionali. «Le aziende che si avvalgono di catene di subappalto complesse rischiano conseguenze gravose, tra cui il rischio di essere sottoposte alla misura di prevenzione della amministrazione giudiziaria, poiché l’autorità giudiziaria considera le committenti responsabili anche delle condizioni di lavoro applicate dai subfornitori e, quindi, al di fuori della loro sfera di controllo diretta - evidenzia l’avv. Andrea Puccio, founding partner dello studio Puccio Penalisti Associati -. A mio avviso, la chiave per tutelare i lavoratori e prevenire situazioni di sfruttamento, è quella di una gestione del rischio strutturata da parte delle imprese. È essenziale definire codici di condotta per fornitori e subfornitori, stabilendo criteri oggettivi e predeterminati per l’affidamento degli incarichi. I committenti devono prevedere controlli documentati lungo tutta la catena di subappalto, imponendo ai subappaltatori controlli sui subfornitori. I controlli on-site da parte dell’appaltante, esperiti attraverso report informativi e verifiche periodiche, rappresentano, poi, uno strumento essenziale. Solo con obblighi contrattuali chiari, criteri di selezione rigorosi e monitoraggio costante è possibile garantire ex ante il rispetto delle normative. La prevenzione richiede una gestione proattiva del rischio che tenga conto della responsabilità estesa dell'intera filiera produttiva».
Attilio Pavone, Head of Italy dello studio legale Norton Rose Fulbright, evidenzia due aspetti tecnici rilevanti. «Innanzitutto, la normativa sugli appalti prevede una responsabilità solidale del committente per i trattamenti retributivi e contributivi dei lavoratori impiegati dall’appaltatore, (principio non intaccato dal fallimento del recente referendum, che puntava soltanto a eliminare specifiche eccezioni tecniche al principio generale, non rilevanti nel caso di specie). Inoltre, oggi più che mai, il controllo della filiera non è solo un obbligo giuridico, ma anche un presidio reputazionale. Le imprese devono vigilare attivamente sui propri fornitori, perché il rischio di essere coinvolti, anche indirettamente, in pratiche illecite può avere conseguenze gravi e immediate».
Il caso Loro Piana è un campanello d’allarme su un fenomeno ancora profondamente radicato nel sistema produttivo italiano. Nessuna azienda è al riparo, nemmeno quelle di livello internazionale, da rischi connessi a un inadeguato presidio della propria supply chain. “La presenza di soggetti poco trasparenti nella catena di fornitura, spesso legati a subappalti, rende complesso garantire condizioni minime di legalità e dignità del lavoro – sottolinea Marco Sartori, ceo di Kyp srl -. Per questo è indispensabile un controllo di filiera che vada oltre le clausole contrattuali, con verifiche puntuali e continue su fornitori e subfornitori: dalle persone impiegate ai modelli organizzativi, fino al rispetto delle norme su lavoro e sicurezza. In questo percorso la tecnologia è un alleato decisivo: piattaforme come Kyp – Know Your Partner permettono di monitorare in modo strutturato i livelli di affidabilità, generare alert sui profili di rischio e assicurare tracciabilità dei dati anche grazie alla blockchain. Non è più una semplice opzione, ma un investimento strategico per la tutela dell’impresa. La lezione è chiara: la responsabilità non si ferma ai confini aziendali. Non basta eccellere nel prodotto se non si presidia seriamente chi e come lo realizza. Il controllo di filiera è la chiave per prevenire criticità e costruire una sostenibilità vera – legale, sociale ed economica».
Un punto condiviso anche da Azzurra Gullotta, sales manager di Achilles Italia, che richiama l’attenzione sulla due diligence: il caso Loro Piana evidenzia ancora una volta l'importanza cruciale di implementare sistemi di due diligence robusti e continui lungo tutta la catena di fornitura: i rischi reputazionali e finanziari derivanti da pratiche di lavoro irregolari possono compromettere infatti anni di costruzione del brand e della fiducia dei consumatori. È necessario un approccio integrato che combini tecnologia, monitoraggio continuo e audit indipendenti per garantire che i valori dichiarati si traducano in pratiche concrete lungo tutta la filiera produttiva. La sostenibilità sociale non è un optional, ma un requisito fondamentale per operare in modo responsabile nel mercato globale».
Il filo rosso che emerge è chiaro: governance, monitoraggio, responsabilità estesa. Una visione che trova sintesi nelle parole di Andrea Tinti, ceo e fondatore di Iungo: «Oggi più che mai, le aziende devono operare in una logica di impresa estesa: non è più sostenibile considerare la filiera come una galassia di punti scollegati. Per garantire la conformità normativa serve piena visibilità sulla catena di fornitura e un monitoraggio continuo dei partner. Solo una governance strutturata, supportata da strumenti digitali per il controllo e l’analisi dei dati, consente di valutarne l’affidabilità in modo oggettivo e misurabile, mitigare i rischi correlati e compiere scelte consapevoli orientate alla trasparenza, alla sostenibilità e alla resilienza».
Fai Cisl: in agricoltura 200mila irregolari
Presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali si è tenuto il Tavolo tecnico interministeriale di aggiornamento sull’attuazione delle misure di contrasto allo sfruttamento del lavoro nel settore agricolo. Alla riunione con le parti sociali hanno partecipato i ministri Marina Calderone (Lavoro e Politiche sociali), Francesco Lollobrigida (Agricoltura, Sovranità Alimentare e delle Foreste) e Matteo Piantedosi (Interno). In un clima disteso, tutte le parti hanno evidenziato l’impegno posto in essere per l’attuazione delle azioni rintracciate in termini di miglioramento del quadro normativo, anche rispetto alla dinamica degli ingressi di lavoratori stranieri sul territorio italiano attraverso il decreto flussi, di aumento dei controlli ispettivi, di investimento sulla tecnologia per semplificare e rendere più efficienti le azioni, con un confronto che si è occupato anche della rete agricola di qualità, del meccanismo di condizionalità sociale della Pac, delle necessità di manodopera espressa dalle imprese del comparto. La ministra Calderone ha affermato: «Nell’ultimo anno abbiamo portato avanti moltissime azioni con un obiettivo comune: salvaguardare la vita umana e valorizzare il lavoro regolare. Iniziamo a vedere i primi risultati, a partire finalmente da una connessione tra le domande presentate nell’ambito del decreto flussi e l’effettiva disponibilità di posizioni lavorative. Come governo, continueremo nel lavoro di contrasto delle irregolarità, anche attraverso l’aumento del personale ispettivo per cui sono in corso di definizione i decreti ministeriali per l’assunzione di ispettori in Inps e Inail, e nella tutela dei lavoratori del comparto. Con l’approvazione definitiva del decreto Ilva da parte della Camera dei deputati, possiamo contare sulla cassa integrazione per le emergenze climatiche anche per gli stagionali agricoli».
Il ministro Lollobrigida ha dichiarato: «Un anno fa ci siamo riuniti per affrontare il tema del caporalato. Il governo si è attivato subito, introducendo importanti innovazioni normative con il decreto legge agricoltura e con il primo decreto sulla condizionalità sociale, rendendo l’Italia all’avanguardia in Europa in tema di sicurezza del lavoro e lotta al caporalato. Questo sforzo del governo è stato riconosciuto da tutte le rappresentanze sindacali e datoriali presenti alla riunione. C’è stata un’inversione di tendenza rispetto al passato, con più controlli mirati, maggiore repressione e una crescita delle adesioni alla Rete del lavoro agricolo di qualità, passate da 5.300 a 9.300 in due anni. Abbiamo superato la logica fallimentare dei vecchi decreti flussi, sostituendoli con strumenti triennali per un’immigrazione regolare e pianificata. C’è ancora da fare, ma i risultati del governo Meloni sono concreti e riconosciuti da lavoratori e imprese».
Per il ministro Piantedosi «il governo Meloni sta sviluppando un piano di azioni concrete contro il caporalato e il traffico di esseri umani. In questo senso, è estremamente utile un confronto costruttivo e approfondito come quello di oggi al ministero del Lavoro portato avanti con le parti sociali nel comune obiettivo di contrastare ogni fenomeno di sfruttamento». «Dal lungo confronto di ieri sera con i ministri del Lavoro, dell’Agricoltura e dell’Interno, è emerso l’effettivo avvio da parte del governo di diverse misure contro il caporalato, come la realizzazione con un prossimo decreto attuativo della banca dati degli appalti e l’utilizzo del nuovo sistema informativo, che in fase sperimentale sta già orientando le fasi ispettive verso controlli più mirati ed efficienti, così come il raddoppio delle aziende iscritte alla rete del lavoro agricolo di qualità, l’effettivo riconoscimento dell’assegno di inclusione per chi denuncia lo sfruttamento, nonché il recupero dei fondi Pac in casi di caporalato attraverso il coinvolgimento di Agea e il protocollo firmato con Inps e Inl».
«Da tempo ribadiamo come il sistema dei flussi migratori andrebbe superato, o almeno governato in modo più efficace e sicuro. Secondo il report della campagna “Ero Straniero” lo scorso anno meno del 10% delle quote disponibili si sono trasformate realmente in impieghi e permessi di soggiorno. Ecco perché in più sedi abbiamo chiesto un nuovo sistema di ingressi per i lavoratori extra-Ue e una redistribuzione della catena del valore. Per noi, la logica dei decreti flussi andrebbe superata con un permesso di soggiorno per attesa occupazione, favorendo un'immigrazione legale che sia realmente connessa ai fabbisogni del mercato del lavoro. In agricoltura si stimano oltre 200 mila lavoratori immigrati attualmente irregolari nel nostro Paese, proprio a causa di permessi scaduti e mai rinnovati, ed è doveroso garantire a queste persone dignità, tutele, diritti e doveri». Questo il commento del segretario generale della Fai Cisl Onofrio Rota all'approvazione in esame preliminare, da parte del Consiglio dei ministri, del decreto relativo ai flussi migratori per il triennio 2026-2028, che prevede l'ingresso di circa 500mila lavoratori stranieri, 165mila all'anno. Per il lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico sono previsti circa 267mila ingressi nel triennio.
«L’inverno demografico - aggiunge il sindacalista - è destinato ad aggravarsi e negli anni futuri mancheranno milioni di persone in età attiva: solo il settore agricolo, che ora occupa circa 360mila lavoratori immigrati, entro il 2030 ne vedrà impegnati oltre 500mila. Qualche passo avanti è stato fatto, bisogna incentivare la collaborazione con i Paesi d’origine, con veri protocolli come quelli sperimentati dalla Spagna, aumentare la formazione e l'acquisizione di competenze. Leggiamo con interesse la volontà di superare lo strumento del Click Day, metodo inadeguato come sosteniamo da tempo e come fatto presente al governo: molto meglio sarebbe coinvolgere gli enti bilaterali agricoli territoriali per incrociare domanda e offerta di manodopera e le parti sociali per garantire tutele, contratti e sicurezza».

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