
Crescono i lavoratori autonomi in Italia - Archivio
Libertà, flessibilità, indipendenza. Ma anche precarietà, solitudine e zero tutele. Quando si parla di lavoro autonomo, il dibattito si muove spesso tra questi poli opposti, rimbalzando tra l’entusiasmo di chi lo sceglie e lo scetticismo di chi lo guarda da fuori. Eppure, dietro i luoghi comuni che ancora oggi accompagnano la vita del libero professionista, esiste una realtà molto più articolata — fatta di dati in crescita, nuovi modelli organizzativi, e una progressiva normalizzazione del lavoro autonomo nel tessuto produttivo italiano ed europeo. Nel solo mese di febbraio 2025, secondo i dati Istat, il numero di occupati in Italia ha raggiunto quota 24 milioni e 332mila. Di questi, ben cinque milioni e 170mila sono lavoratori indipendenti: 141 mila in più rispetto all’anno precedente, con una crescita annua del +2,8%. Un segnale chiaro: il lavoro freelance non è un’alternativa di ripiego, ma una scelta consapevole sempre più diffusa e strutturale nel mercato del lavoro italiano.
Anche a livello europeo il quadro si conferma rilevante. Secondo Eurostat, nel 2024 i freelance rappresentavano il 14,3% del totale degli occupati nell’Unione Europea, contribuendo per il 17,6% del monte ore lavorate complessivo. L’Italia è tra i Paesi con la quota più alta di lavoratori autonomi (23,1%), seconda solo a Grecia e Bulgaria — ben al di sopra di Svezia (5,2%) e Danimarca (5,4%). Numeri che raccontano un cambiamento profondo, e che ci spingono a fare chiarezza: cosa c’è di vero nei luoghi comuni sul mondo freelance? È davvero un universo fatto di libertà e flessibilità? O è tempo di ridiscutere, dati alla mano, tutto ciò che diamo per scontato? Vediamo più da vicino alcuni dei falsi miti più diffusi.
«La libertà di lavorare quando e dove si vuole è uno dei principali vantaggi percepiti del freelance - spiega Paolo Tanfoglio, ceo di Lokky -. Tuttavia, è anche uno degli elementi più fraintesi. Questa libertà spesso viene confusa con la precarietà. Se da un lato la flessibilità permette ai freelance di gestire autonomamente tempo e spazi, dall'altro impone un rigore gestionale e una capacità di organizzazione molto elevata. La libertà implica responsabilità: mantenere un flusso di entrate costante, acquisire nuovi clienti, gestire il tempo in autonomia senza perdere efficienza. Eppure, sempre più ricerche dimostrano che la flessibilità lavorativa non solo non penalizza la produttività, ma, spesso, la potenzia anche nei rapporti di lavoro subordinato: secondo uno studio del professor Nicholas Bloom (Stanford University, 2024), il lavoro ibrido riduce il tasso di dimissioni di un terzo e migliora la soddisfazione lavorativa, senza impatti negativi sulla produttività».
Allo stesso modo, anche sul piano della carriera, il lavoro freelance sfata molti pregiudizi. Un altro stereotipo infatti lo descrive come una scelta temporanea o di ripiego, priva di reali prospettive di crescita. In realtà, il lavoro freelance permette percorsi professionali molto articolati e una crescita spesso superiore rispetto ai modelli tradizionali. Molti freelance diventano esperti di nicchie specifiche, acquisendo un alto grado di specializzazione e riconoscibilità nel proprio settore. La capacità di networking e visibilità online può anche portare a opportunità significative, come collaborazioni prestigiose e consulenze per grandi aziende internazionali.
Un’analisi dimostra che i lavoratori autonomi guadagnano in media il 45% in più rispetto ai dipendenti tradizionali. Una differenza significativa, che riflette non solo una maggiore flessibilità, ma anche la capacità di definire le proprie tariffe, selezionare i progetti e scalare la propria attività in base agli obiettivi personali e professionali.
«Uno dei timori più diffusi e radicati riguardo al lavoro freelance riguarda la mancanza di protezioni sociali, soprattutto in caso di malattia o infortunio - precisa Tanfoglio - . In Italia, i datori di lavoro sono obbligati a iscrivere i propri dipendenti all'Inail-Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, che garantisce una copertura assicurativa in caso di infortuni o malattie professionali, mentre per i liberi professionisti non è prevista la stipula di una copertura assicurativa obbligatoria. Sono tenuti a iscriversi all’Inail, come avviene per i lavoratori dipendenti, solo alcune categorie di autonomi, come artigiani e coltivatori diretti.
In tale contesto, per tutto il mondo delle Partite Iva, assume un ruolo cruciale l’assicurazione infortuni offerta dalle compagnie assicurative private. I dati Ania confermano un crescente interesse verso queste soluzioni: le polizze infortuni hanno registrato una raccolta premi pari a 4,162 miliardi di euro nel 2024, con un aumento del +2,8% rispetto all’anno precedente. Un segnale chiaro di una maggiore consapevolezza da parte dei lavoratori autonomi rispetto alla necessità di proteggersi da imprevisti che possono compromettere la continuità del reddito.
Nel lungo periodo, tuttavia, l’indice generale di incidenza infortunistica (cioè il numero di denunce ogni 100mila occupati) mostra un miglioramento: da 155 del 2019 si è scesi a 124 nel 2025, con un calo del 19,6%. Numeri che raccontano una crescente attenzione ai temi della sicurezza, ma anche la necessità, per i freelance, di dotarsi in autonomia di strumenti di tutela adeguati.
Un altro luogo comune piuttosto diffuso è che i freelance non possano mai andare in vacanza. L’idea che chi lavora in autonomia sia costantemente operativo, senza possibilità di staccare davvero, è radicata ma imprecisa. La verità è che molti freelance riescono a concedersi delle pause, pianificando con cura i propri periodi di inattività e avvisando per tempo i clienti. La differenza, rispetto ai lavoratori dipendenti, sta però nel fatto che questi momenti di riposo non sono retribuiti né garantiti da alcun contratto collettivo.
La questione non è tanto se un freelance possa o meno andare in ferie, ma come riesca a farlo. Senza un reddito fisso assicurato nei giorni di pausa, è necessario costruire una strategia finanziaria che permetta di assentarsi dal lavoro senza compromettere la stabilità economica. Mentre i dipendenti beneficiano di un minimo di quattro settimane di ferie retribuite all’anno — come previsto dalla direttiva 2003/88/CE recepita anche in Italia — i lavoratori autonomi devono auto-finanziare ogni giorno di vacanza. Ecco perché, secondo numerose testimonianze di professionisti del settore, le ferie per i freelance tendono a essere più brevi e spesso frammentate.
La gravidanza rappresenta spesso una delle sfide più grandi per chi lavora in modo autonomo, soprattutto per le donne freelance. Molti pensano che affrontare una maternità da freelance significhi necessariamente rinunciare al lavoro o affrontare enormi difficoltà economiche. Tuttavia, non è sempre così.
«È vero: a differenza delle lavoratrici dipendenti, le libere professioniste non godono delle stesse tutele previste da contratti collettivi o dal welfare aziendale - conferma il ceo di Lokky - . Il congedo parentale per i lavoratori autonomi è infatti di massimo tre mesi ciascuno, da fruire entro il primo anno di vita del bambino. È prevista un’indennità economica per il periodo di astensione dal lavoro pari al 30% della retribuzione. E anche per il 2025, come confermato dall’Inps nel messaggio n. 401 del 31 gennaio, l’esonero contributivo destinato alle lavoratrici madri con almeno due figli è confermato, ma con limiti ben precisi. La misura si applica alle dipendenti del settore privato (escluso il lavoro domestico) e – solo in teoria – anche alle lavoratrici autonome, purché con un reddito previdenziale annuo entro i 40mila euro. In pratica, però, le Partite Iva restano ancora escluse, poiché mancano le indicazioni operative per rendere effettivo l’accesso alla misura. L’esonero è valido fino al compimento dei dieci anni del figlio più piccolo, ma solo per chi non ha già beneficiato dell’incentivo previsto dalla legge di Bilancio 2024. A partire dal 2027, la misura sarà ulteriormente ristretta: riguarderà solo le madri di tre o più figli, fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più giovane».
Resta comunque attiva un’altra forma di sostegno: le professioniste iscritte alla Gestione Separata dell’Inps hanno diritto a un’indennità di maternità pari all’80% del reddito medio percepito nei 12 mesi precedenti, per una durata complessiva di cinque mesi, con possibilità di proroga in situazioni particolari.
Un altro stereotipo molto diffuso è quello secondo cui per un freelance sarebbe praticamente impossibile accedere al credito bancario per acquistare una casa. Se è vero che per chi lavora in autonomia è spesso più complesso dimostrare stabilità finanziaria, non significa affatto che ottenere un mutuo sia fuori portata. Negli ultimi anni, le banche si sono infatti progressivamente adeguate al crescente numero di lavoratori autonomi, sviluppando prodotti ad hoc e modalità di valutazione del merito creditizio più flessibili, che tengono conto dei flussi di cassa complessivi piuttosto che dei soli redditi fissi mensili.
I liberi professionisti possono quindi accedere a un mutuo, purché siano in grado di dimostrare almeno due anni di attività continuativa, presentare una documentazione fiscale aggiornata (come il Modello Redditi) e, in alcuni casi, fornire garanzie aggiuntive come un co-intestatario o una fideiussione. Il punto, quindi, non è la forma contrattuale, ma la capacità di dimostrare affidabilità economica nel tempo.
È diffuso il mito che i freelance lavorino meno rispetto ai dipendenti. La realtà, tuttavia, è ben diversa. Molti freelance si trovano a lavorare molte più ore dei dipendenti tradizionali, spesso anche durante weekend e serate, per gestire più clienti e progetti simultaneamente. Secondo gli ultimi dati Eurostat, i lavoratori autonomi italiani si collocano al quinto posto in Europa per ore settimanali lavorate, con una media di 46 ore nel caso in cui abbiano collaboratori o dipendenti. Nel confronto europeo, i più "stakanovisti" sono i belgi (57,6 ore), seguiti da francesi (54,9), austriaci (48,7) e finlandesi (48,1). All’estremo opposto, l’Ungheria, dove i freelance con dipendenti lavorano solo 10 ore settimanali in media (e appena 8,6 senza), seguita da Croazia e Malta.
Questi numeri raccontano una realtà fatta di flessibilità, sì, ma anche di grande impegno e responsabilità. Il lavoro freelance non è un’alternativa “più leggera”, ma un’attività che richiede una forte capacità di gestione del tempo, carichi di lavoro spesso superiori e una disponibilità estesa, anche fuori dagli orari d’ufficio.
Infine, uno dei falsi miti più radicati è che il lavoro freelance ti porti ad essere solo. In effetti, il rischio di lavorare in solitudine, senza un contesto collettivo o momenti di scambio informale, è reale. Secondo il Microsoft Work Trend Index 2024, il 41% dei lavoratori completamente da remoto ha riportato sentimenti di disconnessione sociale, mentre il 37% ha dichiarato di sentirsi meno coinvolto nelle dinamiche aziendali. Se da un lato la possibilità di lavorare ovunque rappresenta una grande opportunità, dall’altro evidenzia quanto sia importante — anche per chi lavora in autonomia — costruire attivamente spazi di relazione e confronto, siano essi fisici o digitali. E questo, spesso, dipende proprio dal singolo: dalla sua capacità di cercare connessioni, coltivare reti e nutrire relazioni che vadano oltre la produttività.
In conclusione, il lavoro freelance è ormai una componente strutturale del mercato del lavoro italiano ed europeo, eppure continua a muoversi in una zona grigia fatta di riconoscimenti parziali e tutele frammentate. Nonostante la crescente attenzione istituzionale, la distanza rispetto ai diritti garantiti nel lavoro dipendente resta evidente.
In attesa di una cornice normativa più inclusiva e aggiornata, i lavoratori autonomi sono spesso chiamati a supplire con strumenti individuali. Tra questi, la stipula di una Rc professionale rappresenta una delle risposte più concrete per affrontare i rischi legati all’attività quotidiana.
In un mercato sempre più competitivo e interconnesso, dove una consulenza sbagliata, un refuso o un malinteso possono trasformarsi in un contenzioso, tutelarsi da conseguenze legali ed economiche è una scelta strategica, oltre che prudente. Non si tratta solo di un obbligo previsto per alcune categorie regolamentate, ma di una forma di responsabilità verso sé stessi e i propri clienti, utile a costruire fiducia, reputazione e sostenibilità nel tempo. Perché la libertà, per restare tale, ha bisogno di garanzie. Anche (e soprattutto) quando si lavora in proprio.
Tra libertà e consapevolezza
Negli ultimi anni, sempre più professionisti scelgono la strada del lavoro autonomo, attratti dalla libertà di gestire il proprio tempo e la possibilità di trasformare le passioni in lavoro. Diventare freelance è più di una semplice opzione lavorativa: è un’opportunità per trasformare le proprie passioni in professione, gestire il tempo in autonomia e realizzare progetti personali. Per cogliere al meglio questi vantaggi, è fondamentale avere una visione chiara delle proprie finanze e saper pianificare con metodo.
«Approcciarsi alla carriera da freelance con una visione chiara e pianificata può fare la differenza. Non si tratta solo di saper vendere le proprie competenze, ma anche di sviluppare una mentalità imprenditoriale, imparando a prevedere e gestire i costi con consapevolezza», affermano Nicola e Filippo Primieri, i fondatori di FidoCommercialista, start up che semplifica la burocrazia e fiscalità quotidiana delle partite Iva ed imprenditori supportandoli ad aprire e gestire un'attività in Italia -
La piattaforma digitale di FidoCommercialista offre supporto personalizzato per semplificare la gestione della partita Iva, permettendo ai professionisti di concentrarsi su ciò che sanno fare meglio.
Secondo i dati dell'Osservatorio sulle partite Iva del ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2023 circa il 69% delle nuove aperture di partita Iva da parte di persone fisiche ha optato per il regime forfettario. Questo modello fiscale è pensato per chi avvia un’attività con ricavi contenuti, offrendo agevolazioni come:
● Un’aliquota fiscale ridotta al 15% (5% per i primi cinque anni).
● Esenzione da Iva e bassi costi di gestione.
«Il regime forfettario rende l’avvio di un’attività più accessibile e permette di focalizzarsi sullo sviluppo del proprio business, ma è essenziale conoscerne vantaggi e limiti per evitare sorprese», sostengono Nicola e Filippo Primieri.
Un elemento chiave per il successo dei freelance è sapere quanto guadagnare per coprire le spese e costruire un margine di crescita. Per un professionista in regime forfettario con un reddito di 30mila euro l’anno, per esempio, il reddito netto si attesta intorno ai 20mila euro, considerando tasse, contributi e costi operativi.
Il lavoro freelance in Italia è in continua espansione. Con una pianificazione finanziaria consapevole, chi sceglie questa strada può costruire una carriera solida, godendo di una maggiore libertà e realizzazione personale.
«Aprire una partita Iva non è un salto nel buio, ma un passo verso l’indipendenza. Con il giusto supporto, ogni giovane professionista può trasformare le sfide della burocrazia in opportunità di crescita- concludono i founder - per aiutare i lavoratori autonomi - proseguono - offriamo sessioni di consulenza personalizzate. In particolare, il team supporta i professionisti in regime forfettario nel calcolo corretto delle tariffe, considerando tutti i parametri economici e fiscali rilevanti».
Fido Commercialista ha sviluppato infatti il calcolatore forfettario, https://fidocommercialista.it/calcolatore/, si tratta di uno strumento online che ti aiuta a stimare tasse e contributi in base al tuo fatturato e regime fiscale. Inserendo pochi dati, come il tipo di attività e il reddito annuo, puoi capire quanto dovrai pagare e quanto ti rimane netto. È pensato per freelance, professionisti e piccoli imprenditori che vogliono pianificare meglio le proprie finanze. In pochi clic, offre una visione chiara e utile della tua situazione fiscale.
Ecco le sette dritte per diventare freelance per migliorare le proprie finanze con consapevolezza e preparazione e garantirsi un futuro professionale solido e sostenibile:
Valutazione della situazione finanziaria: tenere un registro dettagliato di tutte le entrate e uscite, inclusi compensi ricevuti e spese aziendali, per identificare schemi e aree di miglioramento.
Pianificazione e budgeting: creare un budget che includa spese essenziali, risparmi e investimenti, garantendo flessibilità e aggiornamenti regolari e stabilire obiettivi di guadagno realistici in base all’esperienza e alla domanda del mercato.
Gestione delle tasse e contributi: accantonare una percentuale delle entrate, generalmente tra il 20% e il 30%, per coprire le tasse ed evitare imprevisti.
Creazione di un fondo di emergenza: costituire un fondo di emergenza per coprire almeno 3-6 mesi di spese, utile nei periodi di inattività o in caso di imprevisti.
Investimenti e pianificazione futura: destinare una parte del reddito a investimenti a lungo termine per garantire sicurezza finanziaria e reinvestire nel business per migliorare competenze e ampliare opportunità professionali.
Networking e collaborazioni: espandere la rete professionale per aumentare le opportunità lavorative e ridurre la dipendenza da un unico cliente o progetto.
Utilizzo di strumenti tecnologici: l’utilizzo di strumenti tecnologici avanzati, come quelli proposti da FidoCommercialista, è fondamentale per semplificare la gestione aziendale e migliorare l'efficienza operativa. «Per esempio - dichiaranoo Nicola e Filippo Primieri - grazie alla piattaforma digitale proprietaria è possibile utilizzare software di fatturazione e contabilità per automatizzare la gestione delle fatture, monitorare il flusso di cassa in tempo reale e semplificare i processi amministrativi. Questi strumenti riducono gli errori, migliorano la visibilità finanziaria e permettono alle aziende di concentrarsi sulle attività strategiche, eliminando le complessità legate alla burocrazia. Insieme, queste strategie permettono una gestione finanziaria più efficace, favorendo stabilità economica e un percorso professionale sostenibile e la possibilità di concentrarsi sullo sviluppo della propria carriera professionale».
Gig economy e nuove professioni
La Gig Economy è un tema centrale nel mondo del lavoro: recenti statistiche hanno mostrato che il 77% dei freelance si dichiara molto più soddisfatto rispetto ai dipendenti tradizionali. A dar sostanza a questi dati anche l’opinione dei più giovani, che la posizionano tra le modalità di lavoro favorite per via della maggior libertà e del minor livello di stress.
Addestratore di modelli di Ia, assaggiatore di cibo per cani, annusatore di prosciutti, experience designer, ristoratore virtuale, ricostruttore di scene del crimine con la pasta: sono alcuni dei mestieri nuovi e fuori dal comune emersi negli ultimi anni tra i liberi professionisti. A scattare una fotografia dell'evoluzione del mercato del lavoro è la tech company Fiscozen, che ha analizzato alcune delle attività più innovative e particolari svolte in Partita iva dopo la recente entrata in vigore dei nuovi codici Ateco. L'indagine mette in luce la richiesta di figure sempre più specializzate, grazie anche alla spinta tecnologica e alla rivoluzione dell'Ia-Intelligenza artificiale, accanto alla tendenza abbracciata da molti professionisti a costruirsi percorsi lavorativi originali, combinando abilità tecniche, attitudini personali, spirito imprenditoriale e ricerca di libertà in percorsi non lineari.
«Nell'era dell'Ia e dei big data sono nate nuove professioni digitali altamente specializzate, tra analisti, sviluppatori e addestratori di modelli. Anche il mondo dei social, in cui ogni creator o streamer cerca di ritagliarsi la propria nicchia di attenzione, ha dato vita a mestieri impensabili fino ad un decennio fa. Con il crescere della sensibilità, soprattutto tra i più giovani, rispetto ai diritti, all'ambiente e, più in generale, alle tematiche su diversity, equity e inclusion, si sono moltiplicati consulenti, manager e advisor nel settore pubblico e in quello privato. Sono anche esplosi i mondi del coaching, della formazione online e della mediazione, come quella familiare, aziendale o culturale, e tutte le professioni della gig economy. È positivo che molte di queste attività siano state riconosciute ufficialmente con l'aggiornamento dei codici Ateco, che non venivano revisionati dal 2007. È il caso, ad esempio, del sussurratore di cavalli o dei guaritori», commenta Enrico Mattiazzi, ceo di Fiscozen.