domenica 27 agosto 2017
Carlo Ratti, direttore del Mit di Boston: "Condivisione e persone al centro, così vivremo meglio"
Le città soffocate dal traffico. Ma il futuro urbano cambierà
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Entro il 2030, ci saranno nel mondo 41 megalopoli e vent’anni più tardi almeno l’80% della popolazione globale vivrà in città. Il costo annuo degli ingorghi nelle aree urbane delle città europee potrebbe raggiungere – secondo uno studio di Inrix Roadway Analytics – la cifra di 208 miliardi di euro, il doppio rispetto a quello previsto per le dieci più importanti aree metropolitane degli Stati Uniti. La preoccupante fotografia del futuro delle aree urbane è stata fornita dagli esperti di Bosch, colosso tedesco della componentistica e dei servizi per la mobilità, durante un recente “summit” tecnologico. Ma è anche vero che esistono proiezioni più ottimistiche, a patto che la mobilità di domani venga affrontata in maniera intelligente. Meno traffico, meno consumi, più sicurezza e anche inquinamento sotto controllo: questo ci attende secondo chi sta studiando gli spazi urbani e il futuro di chi continuerà ad aver bisogno di spostarsi. Spiega Carlo Ratti, ingegnere e direttore del Mit Senseable City Lab del Massachusetts Institute of Technology: «Nel 1990 eravamo convinti che il mondo sarebbe diventato completamente virtuale e che le città sarebbero scomparse. Al contrario, oggi metà della popolazione vive nelle metropoli, ed entro il 2030 gli abitanti delle grandi città diventeranno 5 miliardi... ».

Il potenziale creativo e distruttivo dell’uomo in questo contesto resta enorme...
«È stato calcolato che la Cina in questo secolo potrebbe costruire da sola più città di quanto l’intera umanità abbia fatto in tutta la sua storia – conre Ratti–. Oggi si parla del futuro delle città, delle smart city che io preferisco chiamare senseable city perchè l’obiettivo per una mobilità migliore è mettere al centro la persona. Essenziale per farlo è raccogliere informazioni. Con i mezzi tecnologici di oggi le abbiamo, possiamo interpretare i dati e affermare in base a questi che il futuro passa necessariamente dalla condivisione».

Qual è la via obbligata per una vera mobiltà sostenibile?
«Condividere gli spostamenti senza creare ritardi alle persone. Un esempio? Monitorando la mappa degli spostamenti in una città come New York è stato osservato che le destinazioni sono spesso simili: se i taxi portassero più persone nello stesso tempo, si potrebbe eliminare il 40% del traffico. Conosco già l’obiezione: la gente non è disposta a farlo. La realtà però dimostra il contrario. Uber Pool ad esempio fa esattamente questo, a San Francisco più della metà degli spostamenti con le sue auto sono condivisi».

L’automobile intanto sta cambiando profondamente, forse anche troppo in fretta...
«I veicoli autonomi non sono il futuro ma gia il presente: il 90% della tecnologia che li fa funzionatinua è già disponibile. Immaginiamo la nostra auto che dopo averci portato al lavoro la mattina, potrebbe tornare a casa per dare un passaggio a un familiare o ad altre persone. In città come Milano basterebbero il 20% dei veicoli oggi in circolazione. Serviranno meno parcheggi, potremo ridisegnarli e recuperare spazi. Un ulteriore contributo alla riduzione della congestione stradale e dei consumi verrà dal dialogo tra le vetture e le infrastrutture. Lo scambio di dati permetterà di automatizzare la gestione degli incroci e di snellire il traffico. Gli stessi semafori diventeranno superflui: in un sistema intelligente e integrato, non servirà più fermarsi, ma solo rallentare».

Sembra un futuro molto lontano. Al limite della fantascienza...
«Non lo è invece, e quello della mobilità senza pilota non è un sistema applicabile solo alle auto. Come Mit stiamo lavorando ad Amsterdam per battelli a guida autonoma adatti al trasporto cose e persone ma che possono creare anche infrastrutture come un palco galleggiante, un ponte temporaneo. Venezia l’ha fatto con le gondole ma tutto si può reiterpretare in maniera moderna con la tecnologia».

Il boom delle biciclette invece avrà sviluppi?

«Anni fa abbiamo avviato un progetto a Copenaghen, dove il 45% degli spostamenti sono su due ruote, creando una start-up per trasformare le bici normali in bici elettriche, cambiando semplicemente la ruota posteriore dotata di una batteria che si ricarica frenando: collegato allo smartphone monitora anche stato di salute di chi pedala. Un’idea sulla quale il Mit ha investito 30 milioni di dollari».

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