sabato 5 agosto 2023
L’enorme bacino di gas e petrolio può rendere il Paese autonomo per l’energia, aiutandolo a guarire dalla cronica crisi economica Ma il tutto è a caro prezzo per l’ambiente
Il gasdotto “Néstor Kirchner” che collega Vaca Muerta a Buenos Aires

Il gasdotto “Néstor Kirchner” che collega Vaca Muerta a Buenos Aires - Reuters

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Era ormai sera inoltrata (l’alba di ieri in Italia) quando il gas naturale di Vaca Muerta è arrivato a Buenos Aires, dopo aver percorso i 573 chilometri che separano la provincia di Neuquén, dove si trova il maxi-giacimento, dalla capitale. A meno di un mese dalla sua inaugurazione ufficiale, il 9 luglio, il condotto “Néstor Kircher” è entrato a regime e, dalla prossima settimana, distribuirà undici milioni di metri cubi quotidiani del combustibili che, entro la fine dell’anno, dovrebbe aumentare a ventuno milioni. Poi, come da programma, a breve l’opera verrà completata con un secondo tratto di altri 600 chilometri, fino a Santa Fé.

«Abbiamo trasformato in realtà la nostra sovranità energetica», aveva detto enfaticamente, il giorno della cerimonia di apertura, il presidente Alberto Fernández, accompagnato per l’occasione dalla vice, Cristina Fernández Kirchner – vedova dell’ex leader di cui l’impianto porta il nome – e il ministro dell’Economia nonché futuro candidato alle elezioni di ottobre del fronte peronista, Sergio Massa. Secondo il governo, il progetto –- costato 2,5 miliardi di dollari, senza finanziamento esterno – segna uno spartiacque nella politica energetica nazionale.

Nell’ultimo decennio, l’Argentina ha sempre dovuto importare combustibile, in particolare gas naturale liquido (Gnl), principale fonte di alimentazione della rete elettrica. Un peso importante per un’economia già instabile, con le riserve della Banca centrale ridotte al minimo. Il costo, poi, è lievitato esponenzialmente in seguito alla crisi ucraina: tra il 2020 e il 2022, la spesa per l’idrocarburo liquido ha oltrepassato i 2,5 miliardi di dollari. A questi si aggiungono i quasi 1,7 miliardi sborsati per acquistare gas naturale dalla vicina Bolivia.

Il governo, dunque, ha deciso di correre ai ripari, rivolgendo lo sguardo proprio a Vaca Muerta, scoperto già nel 2011, fra le cui rocce sono intrappolate la seconda maggiore riserva mondiale di gas e la quarta di petrolio, entrambe in forma non convenzionale. Ovvero devono essere estratti con la tecnica del fracking. Un metodo controverso, criticato per i forti impatti ambientali. A far slittare a lungo il suo pieno sfruttamento è stato, tuttavia, gli alti costi di lavorazione, dimezzati solo di recente grazie ad alcune innovazioni “made in Usa”. Dal 2020, dunque, l’estrazione procede al ritmo di 300mila barili di petrolio e 130 milioni di metri cubi al giorno.

Finora, però, mancava una rete per il trasporto interno degli idrocarburi. Il gasdotto Néstor Kircher, appunto, realizzato a tempo di record in dieci mesi. Secondo il ministero dell’Economia, grazie a quest’ultimo, l’Argentina risparmierà 2,1 miliardi di importazioni energetiche nel 2023. La cifra dovrebbe raddoppiare l’anno prossimo, per poi salire fino a 7,5 miliardi con il completamento del secondo tratto. A quel punto, non solo potrebbe smettere di acquistare dall’estero bensì potrebbe vendere le eccedenze, scippando il primato alla Bolivia. Ci sono progetti di connettere la rete argentina ai vicini Brasile, Cile e Uruguay e in Congresso è in discussione una legge per attrarre investimenti nel settore in cambio di vantaggi fiscali. In questo modo, Vaca Muerta si trasformerebbe non solo in un generatore di energia bensì in una fonte di dollari, la cui carenza è uno dei principali nodi strutturali della finanza nazionale.

Vaca Muerta, però, non è la panacea dei mali dell’economia argentina. Per la popolazione di El Añelo, Sauzal Bonito e gli altri paesini del Neuquén vicino al giacimento, il boom del fracking, a partire dal 2015, ha risucchiato le risorse idriche, causato continue scosse, generato una migrazione di disoccupati ammassati in alloggi di fortuna. Dei benefici promessi dalle imprese, inoltre, ben pochi sono arrivati. Anzi, appena il 38 per cento dei residenti dalla zona è collegata alla rete di gas naturale. Ogni pozzo di estrazione richiede 90 milioni di litri d’acqua, come ha documentato l’Università di Comahue, sottratta dai fiumi che prima irrigavano i campi. La trentina di elementi chimici impiegati nel fracking, inoltre, inquina la terra. Abusi ben documentati dall’Observatorio petrolero sur che hanno causato forti contrasti con le comunità, in particolare con i nativi Mapuche. Dinamiche non nuove in Argentina e in America Latina, incapaci di emanciparsi dal modello estrattivista. Anche se stavolta concepito in salsa nazionale.

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