lunedì 17 settembre 2018
Trump pronto ad annunciare tasse su altri 200 miliardi di prodotti cinesi. Pechino avverte: non ci limiteremo più a difenderci e intanto interrompe il negoziato (che non ha portato a nulla)
Liu He, lo stratega economico del governo cinese (foto Ansa)

Liu He, lo stratega economico del governo cinese (foto Ansa)

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Nella guerra dei dazi scatenata da Donald Trump fino ad oggi la risposta della Cina è stata moderata: le due volte che gli Stati Uniti hanno introdotto tasse del 25% sulle importazioni cinesi – su 34 miliardi di dollari di merci il 6 luglio e su altri 16 miliardi il 23 agosto – il regime di Pechino ha replicato introducendo altrettanti dazi sulle esportazioni americane. Era il minimo indispensabile per non mostrarsi deboli in questo scontro tra la prima e la seconda economia del pianeta e nello stesso tempo queste ritorsioni equilibrate dovevano agevolare il negoziato per fermare l’escalation del conflitto.

La linea della cautela non è servita a molto al governo di Xi Jinping: Trump nelle prossime ore dovrebbe annunciare nuovi dazi su altri 200 miliardi di dollari di merci importate dalla Cina. Una mossa che, in un colpo solo, moltiplicherà per cinque l’ammontare di import cinese colpito dai dazi. Scrivendo su Twitter prima dell’alba di ieri il presidente americano si è mostrato bellicoso: «I dazi hanno messo gli Usa in una posizione negoziale molto forte, con miliardi di dollari e posti di lavoro che si spostano nel nostro Paese; mentre gli aumenti dei costi sono stati fin qui quasi impercettibili. Se le nazioni non faranno patti giusti con noi, saranno “daziate”!».

Le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti nel 2017 sono ammontate a 505 miliardi di dollari, contro i 130 di esportazioni americane in Cina. Se Trump dovesse portare a 250 miliardi le merci colpite dai dazi, Xi non avrebbe abbastanza prodotti americani su cui rifarsi e quindi non potrebbe più limitarsi a rispondere con le stesse misure. «Contro un contesto di ripetuti attacchi degli Usa, la Cina non si limiterà a difendersi» ha avvertito il Partito Comunista in un editoriale pubblicato sul suo tabloid in inglese, il Global Times. «La Cina dovrà prendere contromisure per garantire fermamente i suoi legittimi diritti e interessi» ha ribadito poi Geng SHuang, portavoce del ministero degli Esteri. Il regime cinese potrebbe intervenire per restringere le esportazioni di componenti elettronici e materie prime che sono cruciali per le aziende tecnologiche americane.

In Cina iniziano a dubitare anche che Trump abbia intenzione di arrivare davvero a un accordo: l’unica richiesta ufficiale del presidente americano è stata che Pechino pareggi la sua bilancia commerciale con gli Stati, che oggi è sbilanciata per 375 miliardi di dollari a sfavore dell’America. La delegazione cinese che era pronta a volare negli Usa con l’obiettivo di trattare un accordo per ora non partirà: Liu He, il principale responsabile economico del governo di Xi, già due volte ha incassato rassicurazioni dall’amministrazione americana, salvo poi vedere ogni bozza d’intesa stracciata da Trump. Non può più permettersi altre simili umiliazioni diplomatiche.

I mercati avvertono il peggioramento dello scenario, e soffrono. La Borsa di Shanghai ha perso l’1,1% scendendo ai livelli più bassi dal novembre del 2014. Quella di Shenzen è scesa dell’1,5% e anche Wall Street è partita in negativo.




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