mercoledì 25 ottobre 2023
L'ex governatore di Bankitalia: l'economia ha dovuto sostenere la moneta, l'errore è stato invertire gli obiettivi con lo strumento. Dalla Bce un errore madornale sui tassi d'interesse
Il governatore emerito Antonio Fazio.

Il governatore emerito Antonio Fazio.

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Antonio Fazio, già governatore della Banca d’Italia dal 1993 al 2005, economista di stampo keynesiano, aveva da tempo un progetto: ricalcare le orme del suo “ispiratore”. Lo ha fatto ora, a 87 anni, con un libro, “Le conseguenze economiche dell’euro” (curato da Oikonova per Edizioni Cantagalli, 110 pagine, 15 euro; oggi è presentato a Mantova alla Casa del Mantegna), evidente richiamo nel titolo a quel “Le conseguenze economiche della pace” che fu nel 1919 una delle opere più famose di John Maynard Keynes, padre della macroeconomia. Un libro, quello di Fazio, che dopo quasi un quarto di secolo di adozione della moneta unica ripercorre e sostanzia le ragioni dei suoi storici “eurodubbi”.

Fazio, quali sono allora, a 24 anni dalla sua adozione nel 1999, le conseguenze economiche dell’euro?

Eccone alcune, si deducono dai dati. La stabilità della nuova moneta avrebbe dovuto, nel medio-lungo termine, tutelarci dall’inflazione e favorire la crescita dell’economia. Invece sono stati invertiti gli obiettivi con lo strumento: l’economia ha dovuto sostenere la moneta, lo sviluppo - almeno di alcune delle economie non proprio minori dell’area - è stato sacrificato per garantire l’assetto monetario. La Grecia e su livelli diversi l’Italia, ma pure altri Stati, sono stati sottoposti a sacrifici e si è confermata la loro scarsa capacità di tenere il passo. Nel 2019, prima della pandemia, il Pil dell’Italia era ben il 4,5% inferiore al livello del 2007, ultimo anno prima della grande recessione; nel 2023 stiamo ancora al di sotto. Ricordo che nel 1939 erano stati già recuperati i livelli precedenti al crollo di Wall Street del ‘29. Sui prezzi, parla il livello dell’inflazione oggi. E l’obiettivo della piena occupazione è stato sempre ben lontano.

Vuole dire che, sul piano economico, l’euro è un sostanziale fallimento?

Non per tutti. Si sono accentuate le sperequazioni. I sistemi economici più efficienti aumentano – certo per i loro meriti – gli avanzi commerciali verso l’estero. Insomma il discorso di fondo, che si tiene sempre nascosto, è che l’euro è convenuto soprattutto ad alcuni, penso in primis a Germania e Paesi Bassi. Per la Germania, sempre animata dal terrore storico dell’iper inflazione di Weimar, la consistenza di avanzi accumulati in oltre due decenni supera ampiamente il 20% del prodotto nazionale annuo dell’eurozona: parliamo di più di 3mila miliardi di euro cumulati da Berlino. E questo ha generato a lungo un effetto deflattivo sull’area. Ma è qui che serviva davvero l’Unione.

Cosa vuole dire?

Questo stato delle cose ha obbligato gli altri Stati membri a stare in equilibrio nella bilancia commerciale, non alimentando come possibile la domanda interna. Gli avanzi dei Paesi più efficienti invece avrebbero dovuto in parte essere investiti nel resto dell’area, per garantire una maggior omogeneità. Gli squilibri fra Paese e Paese non sono stati affrontati. E ora le difficoltà dei Paesi più deboli, acuite dalla pandemia e dalle guerre, stanno contagiando le economie più ricche.

La Bce ha adottato negli anni una giusta politica monetaria?

Per ridurre gli spread hanno fatto dilagare la quantità di moneta e anche questo fattore rende ora più difficile abbattere l’inflazione. Hanno fatto la stessa politica degli Usa. Però, mentre negli Stati Uniti il Quantitative easing è stato un aiuto per sostenere la domanda interna, le rigidità dell’area euro hanno fatto sì che da noi sia stato usato per acquistare titoli pubblici. Ricordo che anche in Italia, a metà anni Novanta, ci fu una crisi dei titoli pubblici, ma fu risolta stimolando sì gli acquisti delle banche – che poi ne trassero pure forti guadagni -, ma in un contesto di restrizione monetaria. Paradossalmente il Qe, la straordinaria espansione monetaria è stata indirizzata a mantenere la stabilità dell’assetto monetario, ma non ne ha certo beneficiato il potere d’acquisto della stessa moneta.

Poi è arrivata l’inflazione, acuita dalla guerra.

E qui la Bce ha fatto un errore madornale. Avrebbe dovuto alzare subito i tassi d’interesse prima che l’inflazione prendesse vigore, invece ha atteso fino a luglio 2022. Dopo aver superato il10% annuo, adesso è ancora al 5,5% medio e la Bce sarà costretta a tenere i tassi alti per altro tempo. È lo stesso errore fatto negli Usa, dove l’Economist ha pubblicato una prima pagina con George Washington che si copre la faccia per la vergogna. Nella Bce d’altronde c’è anche un difetto strutturale: i Paesi piccoli, con una quota minima del Pil dell’area, hanno un numero proporzionalmente troppo elevato di voti. Così è più difficile il controllo monetario.

Nemmeno è migliorato il debito pubblico, affidato ai trattamenti del Patto di stabilità?

No. In Italia il rapporto fra debito e Pil, pari al 103,5% nel 2007, è esploso al 140% di oggi. Pesano certamente recessione e pandemia, ma anche l’attenersi alle politiche suggerite dalla Commissione Ue ha peggiorato il quadro. L’errore logico dell’austerità è che, quando il livello iniziale del debito supera il prodotto, i tagli consigliati al disavanzo tendenziale hanno un effetto moltiplicativo che fa calare ancora di più il prodotto nazionale. Non vogliono capirlo a Bruxelles dove prevale una certa improvvisazione, servirebbe una maggior riflessione.

Tutto sbagliato, tutto da rifare, per dirla alla Bartali?

Una moneta unica ha senza dubbio molti vantaggi, per non parlare degli aspetti dell’Unione politica. Resta però che è stata imposta a un sistema troppo disomogeneo e questo ha ridotto la domanda nei Paesi più deboli, provocando disoccupazione.

A proposito, da noi impazza il dibattito sul salario minimo. Che ne pensa?

Sarebbe un condizionamento in più introdurlo per legge anziché contrattato fra le parti. Intanto aumentano le imprese del nostro Sud che hanno problemi, condizionate anche da carenze di infrastrutture e di contesto di legalità. Sarebbe forse meglio adottare forme di partecipazione dei lavoratori agli utili, uno dei punti di forza della Germania, insieme alla partecipazione ad alcune scelte strategiche dell’impresa. Più che i salari bassi, in Italia la politica dimentica che il vero problema è la scarsa produttività: nel settore privato dal 1995 al 2020 il suo aumento non ha raggiunto il 15%, mentre è stato del 35% in Francia e di oltre il 40 in Germania. Il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto, ndr) galoppa a +1,7% l’anno. È soprattutto questo che ci fa perdere competitività. Da noi, dagli anni Novanta del Novecento è divenuto un tabù parlare di differenziazioni salariali fra aree del Paese. Voglio ricordare però che questa linea fu adottata in passato col favore di sindacalisti del calibro di Giuseppe Di Vittorio e Giulio Pastore.

Per chiudere: Bankitalia si appresta a un cambio di guida, passando dal 1° novembre da Ignazio Visco a Fabio Panetta.

È la migliore scelta possibile. Panetta ha lavorato con me, ha un’eccellente competenza monetaria e finanziaria. Ho fiducia in lui.

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