martedì 26 gennaio 2021
L’economista Giovanni Vecchi, tra i massimi esperti di disuguaglianza: «A livello globale c’è stato un miglioramento negli ultimi 40 anni. Da noi la situazione peggiora e la politica è miope»
Giovanni Vecchi, economista dell'Università di Tor Vergata

Giovanni Vecchi, economista dell'Università di Tor Vergata

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Tor Vergata è uno dei pochi atenei italiani ad avere dedicato un corso di laurea all’Economia della disuguaglianza e della povertà. Il titolare del corso è Giovanni Vecchi, uno degli economisti italiani che più ha approfondito questi temi. Vecchi ammette di non amare molto i «toni gridati e un po’ sguaiati» del rapporto Oxfam, anche se, spiega, «i risultati dello studio sono naturalmente plausibili».

Quindi la pandemia allargherà le disuguaglianze?

È un fatto documentato che quando avviene uno choc sistemico com’è quello prodotto da questa pandemia tra gli effetti economici ci sia un aumento della disuguaglianza tra i Paesi e all’interno dei Paesi. Perché i più poveri non hanno gli strumenti economici per affrontare l’emergenza: non hanno risparmi, non hanno opportunità. A livello globale mettiamo a confronto Paesi dotati di Welfare state importanti con nazioni che non hanno nulla. A livello nazionale lo Stato ha un ruolo importante per arginare la crescita della disuguaglianza.

Ma prima del Covid- 19 le disuguaglianze stavano diminuendo?

L’economia globale stava sperimentando una riduzione delle diseguaglianze tra Paesi ormai da quarant’anni, dopo due secoli di allargamento del divario della ricchezza tra le nazioni. La nostra generazione vive un calo della diseguaglianza globale, ma è difficile rendersene conto, perché le persone percepiscono la diseguaglianza che vedono, quella interna al proprio Paese. E in Italia, per esempio, c’è un significativo aumento della disuguaglianza.

Perché in Italia c’è questo peggioramento?

La pandemia ha colpito un Paese economicamente già malato, tra i pochi che non avevano ancora recuperato i livelli di Pil del 2007, cioè precedenti alla crisi finanziaria. Per un Paese che non cresce è difficile contrastare la disuguaglianza, per quanti ammortizzatori sociali si possano introdurre. Questa pandemia potrebbe essere proprio l’occasione di pensare a una ricostruzione della crescita italiana con un modello più inclusivo.

L’Oxfam propone una tassa straordinaria sui redditi e le ricchezze più elevati. Può servire?

Io non sono uno specialista di temi fiscali, ma personalmente penso che ci siano ampi margini di miglioramento verso un sistema fiscale più progressivo, non solo per quanto riguarda redditi e patrimoni, ma soprattutto per la disuguaglianza di opportunità, quella per cui chi nasce in una certa area del mondo o una certa Regione di un Paese è penalizzato nella sua prospettiva di capacità di generare reddito.

Le sembra che in Italia la classe politica sia consapevole della gravità del problema?

C’è una cronica miopia su questi temi, incentivata dai frequenti appuntamenti elettorali: i partiti cercano il consenso su questioni popolari, hanno un preoccupante disinteresse per i temi sociali. In Italia c’è anche un vistoso analfabetismo sulle categorie di base di questi ambiti di ricerca, come la povertà relativa, quella assoluta, il concetto di esclusione sociale… Anche quando escono le statistiche non sappiamo interpretarle bene e forse non abbiamo nemmeno tutte le statistiche di cui avremmo bisogno. Per stare dalla parte di chi ha meno mancano il coraggio e la capacità di guardare alle generazioni che verranno.

La disuguaglianza in Italia è un problema generazionale?

Si dice che la povertà aumenta ma la realtà è che non aumenta per tutti allo stesso modo. Colpisce in particolare i giovani, soprattutto quelli tra i 15 e i 24 anni, e le donne. È la prima volta che sperimentiamo che la povertà colpisce i giovani e non gli anziani. Questo però non è un tema popo-lare, perché i giovani hanno meno voce politica. Si preferisce parlare di soluzioni come la tassa proposta dall’Oxfam, che però sono palliativi, soluzioni una tantum. Servono invece riforme strutturali. Mettere in moto un processo che porti a una crescita capace di dare ai cittadini uguale opportunità e quindi di ridurre i divari che penalizzano le traiettorie di vita dei giovani e la loro capacità raggiungere i propri sogni è qualcosa che chiede una pianificazione di lungo periodo.

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