martedì 19 settembre 2023
Analisi di First Cisl: la desertificazione bancaria avanza. Il segretario Colombani: «Il digitale esclude gli anziani». Valentii (Censis): «Il sistema non è pronto alla crisi della globalizzazione»
Chiudono in media tre filiali al giorno. Così le banche perdono il territorio

IMAGOECONOMICA

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Gli italiani si stanno abituando alla scomparsa delle filiali delle banche. Spesso, dopo brevi ristrutturazioni, al posto degli sportelli appaiono insegne dedicate a bisogni più immediati rispetto all’attività di credito: pizzerie al taglio (magari poke, nelle città più moderne), centri per la cura delle unghie, negozi di sigarette elettroniche. Il ritmo di questa trasformazione è impressionante: solo tra gennaio e giugno di quest’anno hanno chiuso 593 filiali, cioè una media tre sportelli al giorno, compresi i sabati e le domeniche. Tra il 2012 e il 2022 il numero di sportelli è sceso da quasi 33mila a circa 21mila, con una perdita netta di 12mila filiali. Con il risultato che oggi in Italia ci sono 4,3 milioni di persone e 249mila imprese che risiedono in Comuni in cui non c’è nemmeno una banca, mentre 6 milioni di persone e 387mila imprese stanno in Comuni con un solo sportello. È in corso un’impressionante “desertificazione bancaria”, come ha riconosciuto anche Sergio Mattarella lo scorso luglio intervenendo all’assemblea di Federcasse. In quell’occasione il presidente della Repubblica ha riconosciuto alle banche di credito cooperativo la loro capacità di rimanere sui territori, soprattutto al Sud e in quelle “aree interne” che altri hanno abbandonato.


I numeri sulla sparizione degli sportelli arrivano dalla Fondazione Fiba della First Cisl, sindacato dei dipendenti del settore bancario e assicurativo che nel 2022 ha avviato l’Osservatorio sulla desertificazione bancaria per analizzare a fondo quello che è avvenuto e che sta per avvenire nel mondo del credito italiano. Non spariscono solo le filiali: sono anche gli istituti di credito ad essere sempre meno. Nel 1998 l’Italia era il terzo Paese con più banche d’Europa, dopo Germania e Francia, ma da allora le banche sono più che dimezzate e oggi sono meno che in Polonia o Austria. Nello stesso tempo, rivela l’analisi presentata da Paolo Grignaschi, della Fondazione Fiba, l’Italia è diventatata uno delle nazioni europee con maggiore concentrazione bancaria: i primi cinque gruppi fanno il 50,5% degli attivi, contro 35% della Germania e il 46% della Francia (solo in Spagna i grandi sono più dominanti, con quasi il 70% del mercato).

È su questa realtà che hanno ragionato ieri in un appuntamento a Roma il segretario nazionale del sindacato, Riccardo Colombani, e Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis. Lo hanno fatto su un orizzonte lungo, quello dei trent’anni dall’approvazione del Testo unico bancario del 1993, la legge che ha contribuito a “modernizzare” il sistema bancario ma, allo stesso tempo, lo ha progressivamente snaturato. Ne ha indebolito il legame con i territori – che era una tipicità italiana – in coerenza con un progressivo aumento della vocazione a fare utili per gli azionisti come priorità dell’attività della banca. «In Italia la forte presenza territoriale delle banche faceva parte di un modello di sviluppo in cui il territorio era centrale e in cui ognuno poteva ambire a soddisfare le proprie aspettative – ha ricordato Valerii –. Negli ultimi trent’anni questo modello si è perso, i territori sono diventati progressivamente irrilevanti, mere piattaforme di collegamento ai mercati globali». Per i lavoratori, ha aggiunto Colombani, questa trasformazione è stata anche destabilizzante, con «continui “cambi di casacca” che hanno fatto perdere il valore di appartenenza». A questo, ha detto il segretario della First Cisl, si aggiunge un problema di esclusione sociale, perché la banca solo digitale non va bene per tutti, soprattutto in un Paese sempre più vecchio: «Non va dimenticato che la popolazione anziana utilizza poco i canali digitali e che in alcune aree del Paese l’impossibilità di accedere ad un servizio essenziale rappresenta un pericolo concreto di esclusione».

E c’è un rischio ulteriore, ha segnalato Valerii: «La fase di espansione della globalizzazione si è interrotta, si parla di post-neoliberal World, si torna a ragionare della necessità di ridare centralità ai territori. Il sistema bancario italiano per come si è trasformato rischia di trovarsi impreparato a questa nuova realtà». Anche per questo occorre correggere la linea. La First Cisl in questi anni ha insistito molto sulla necessità di mettere al primo posto il ruolo sociale delle banche: «Non si tratta di tornare indietro – ha concluso Colombani –. La politica però può intervenire con misure coordinate perché le banche siano incentivate a riallacciare il legame tra con i territori e con la realtà delle famiglie e delle imprese italiane».


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