martedì 10 luglio 2018
All'assemblea dell'Associazione bancaria (Abi) l'intervento del governatore Visco: davanti a una nuova crisi saremmo molto più vulnerabili di 10 anni fa
Il governatore Visco all'assemblea Abi (Ansa)

Il governatore Visco all'assemblea Abi (Ansa)

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Dal palco dell'assemblea annuale dell'Abi, Associazione bancaria italiana, il giorno dopo la prudenza manifestata da Mario Draghi, anche Ignazio Visco lancia il suo avvertimento al governo gialloverde, è in particolare al ministro dell'Economia, Giovanni Tria, anch'egli presente. «In Italia le riforme - afferma il governatore della Banca d'Italia - hanno perso slancio per i timori sui costi, spesso immediati, e i dubbi sui benefici, che maturano gradualmente e con tempi relativamente lunghi. In queste condizioni, davanti a una nuova crisi saremmo oggi molto più vulnerabili di quanto lo eravamo dieci anni fa».

Visco rileva tuttavia che anche in Europa «la direzione intrapresa si è gradualmente indebolita» e, da noi come nel continente, «restano ancora da completare le riforme avviate per ridurre le fragilità messe in evidenza dalla crisi».

Le politiche di sostegno della domanda «vanno dosate con cura, ponendo attenzione all'equilibrio dei conti pubblici e alla necessità di tenere sotto controllo la dinamica del rapporto tra debito e prodotto». Visco manda un consiglio diretto al governo: «Sarebbe rischioso» basarsi solo sul sostegno della domanda «nel tentativo di uscire dalla trappola della bassa crescita in cui l'Italia si
trova da lungo tempo e di tornare su un sentiero di sviluppo duraturo e sostenuto».

Il governatore sottolinea l'esigenza di «evitare tensioni o possibili crisi per non lasciare in eredità agli italiani di domani un debito più elevato e un reddito più basso». Aggiunge infine che vi è «certamente bisogno di investimenti pubblici» così come «di un'ampia e equilibrata riforma fiscale, diretta ad accrescere l'occupazione e promuovere la crescita dell'economia».

Da parte sua Tria ha confermato l'eventualità di «una moderata revisione al ribasso» delle previsioni di crescita italiana, ha ripetuto il no del nuovo esecutivo in sede europea alla trasformazione del Meccanismo di stabilità Ram in un Fondo monetario europeo. E
ha ribadito, ma senza aggiungere dettagli, la volontà dell'esecutivo di procedere «c
on le riforme strutturali previste nel contratto» di governo e, allo stesso tempo, di ridurre il debito pubblico. Obiettivi che tuttavia, ha precisato, «non derivano da impegni europei, seppur importanti, ma dalla necessità di rafforzare la fiducia degli investitori esteri e nazionali».

L’assemblea è stata aperta dal presidente dell’Abi Patuelli, che ha subito messo in chiaro che la «scelta strategica» dell'Italia deve essere di «partecipare maggiormente all'Unione europea» con un «maggior impegno nelle responsabilità comuni». Il rischio, altrimenti, è che la nostra economia possa «finire nei gorghi di un nazionalismo mediterraneo molto simile a quelli sudamericani», come in Argentina. Scenari già visti in passato, quando «con la lira italiana negli anni Ottanta il tasso di sconto fu anche del 19 per cento».

Secondo Patuelli «l'alternativa è fra nuova Europa e neo nazionalismo. Occorre una svolta nell'Unione con obiettivi ambiziosi di crescita che la riguardino tutta». In Occidente «vengono messi in discussione i principi e le regole della società aperta, del mercato libero, regolato e competitivo». E oltre Atlantico «sta prevalendo un protezionismo neo isolazionista mentre l'Europa vive rischi
di disgregazione anche superiori a quelli di Brexit». Negli Stati Uniti, ricorda il presidente Abi, «è stata intrapresa una nuova stagione di riduzione in parte anche eccessiva della regolamentazione anche per favorire il credito alle piccole e medie imprese mentre in Europa si continua a incrementare una dettagliatissima regolamentazione per banche e assicurazioni». Quanto alle
banche italiane, esse «proseguono i grandi sforzi e progressi» per l'opera di riduzione dei crediti deteriorati, passati in due anni da 200 a 135 miliardi, con l'avvertenza però che «ogni aumento dello spread impatta su Stato, banche, imprese e famiglie rallentando la ripresa».

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