L'intelligenza artificiale negli Usa sta rimpiazzando il lavoro
di Pietro Saccò
I sistemi automatizzati sostituiscono già le persone e l'avanzata dell'Ia diventa ogni giorno sempre più rilevante: solo ad ottobre in America sono stati persi 31mila posti

Il mese scorso potrebbero essere arrivate le prime risposte a mesi e mesi di dibattito sul se, sul come e sul quando l’intelligenza artificiale verrà a prendersi i nostri posti di lavoro. Non hanno l’aria di essere risposte gradevoli. Perché il processo di sostituzione di lavoratori umani con sistemi di intelligenza artificiale è già in corso e sta accelerando. Almeno negli Stati Uniti, dove hanno sede le principali aziende del digitale e dove la protezione dei lavoratori è molto più blanda che in Europa.
In assenza dei dati mensili sul lavoro prodotti dal Bureau of Labor Statistics – congelato a causa dello shutdown, cioè il blocco delle attività amministrative dovuto al mancato accordo sul debito – è stata la società di servizi per il lavoro Challenger, Gray & Christmas a pubblicare i numeri sull’occupazione negli Stati Uniti a ottobre. Numeri terribili, c’è da dire: 153mila posti di lavoro in meno, il 175% in più rispetto allo stesso mese dell’anno scorso e il peggiore ottobre dal 2003. «Come nel 2003, una tecnologia dirompente sta cambiando lo scenario», hanno scritto gli analisti di Challenger, con un parallelo tra il passaggio dallo shopping fisico a quello online di vent’anni fa e lo spostamento di attività dagli esseri umani all’IA in questa fase. In questo caso le “vittime” sono per lo più “colletti bianchi”: impiegati in funzioni di routine che l’IA sa svolgere al meglio.
In particolare, tra le motivazioni con cui le aziende hanno spiegato i tagli di ottobre, l’adozione di sistemi di IA per automatizzare i processi è stata la seconda più citata (con 31mila tagli) dopo la più laconica “taglio dei costi” (che sta dietro a 50.500 esuberi). Questi 31mila posti spazzati via dall’IA sono un’enormità, rispetto ai “soli” 18mila licenziati a causa dell’intelligenza artificiale censiti da Challenger nei primi nove mesi dell’anno. Come se il ritmo dell’avanzata dell’IA nel mondo del lavoro stesse improvvisamente aumentando.
Sono soprattutto le aziende tecnologiche a licenziare, e questo tende a rafforzare l’idea che davvero sia in atto questo passaggio di mansioni dagli esseri umani all’IA. I grandi gruppi del digitale, cioè quelli che già conoscono meglio il potenziale dell’intelligenza artificiale, sono i primi a capire che tipo di lavoro si può affidare alle macchine.. TechCrunch, uno dei più seguiti siti di informazione sul mondo tecnologico, sta tenendo il conto dei licenziati della Silicon Valley: a fine ottobre avevano sfondato quota 22mila.
In molti casi sono esuberi esplicitamente giustificati con la possibilità di affidare le mansioni umane all’IA. Duolingo, la popolare app per imparare una lingua straniera, lo scorso aprile ha chiarito che non userà più collaboratori esterni per lavori che può fare benissimo l’IA. Salesforce, piattaforma di riferimento globale per il marketing, ha mandato via a settembre 4mila persone nella divisione di supporto alla clientela spiegando che l’IA può fare il 50% del lavoro. Sebastian Siemiątkowski, alla guida della società tecnologica di pagamenti svedese Klarna, a maggio ha ammesso che grazie all’IA l’azienda può tagliare il 40% delle persone. Amazon non ha citato apertamente l’IA tra le motivazioni dei 14mila licenziamenti annunciati a fine ottobre, ma molti hanno intravisto l’ombra dei robot dietro questo mega-taglio.
Ed è particolarmente interessante il caso di Meta, la società che controlla tra gli altri Instagram, WhatsApp e Facebook: a ottobre è filtrata ai media una nota interna su 600 licenziamenti nella divisione dei Superintelligence Labs che lavorano sull’intelligenza artificiale. Un taglio netto del 20% degli addetti che potrebbe essere un passo indietro rispetto a un sovrainvestimento su questa attività oppure un più suggestivo effetto di “autodistruzione lavorativa”, con persone impiegate a sviluppare quei sistemi che a un certo punto li renderanno disoccupati.
Questo conflitto tra il lavoro dell’IA e quello degli esseri umani è in divenire: ancora non è chiaro dove ci porterà questo passaggio. C’è chi dice, per esempio, che l’IA è solo una scusa per far passare come innovative aziende che semplicemente hanno bisogno di ridurre le uscite. «Sono molto scettico che questi licenziamenti siano davvero dovuti ad autentici aumenti di produttività – ha spiegato Fabian Stephany, docente di AI and Work all’Oxford Internet Institute in un’intervista alla CNBC –. Piuttosto è una proiezione nell’IA nel senso di “Possiamo usare l’IA per trovare buone scuse”».
«L’idea che adesso l’IA stia venendo a rimpiazzare ogni posto di lavoro resta non provata» ha detto Andrea Derler, a capo di Visier, piattaforma di collocamento di lavoratori, aggiungendo che l’IA rischia di essere «una spiegazione molto conveniente per i licenziamenti». Secondo i dati di Visier, basati sulle carriere di 2,4 milioni di persone in 142 aziende in tutto il mondo, il 5,3% dei lavoratori licenziati finisce per essere riassunto da chi lo ha allontanato.
I bilanci, è ovvio, si fanno alla fine. Le previsioni per il momento sono positive. Una delle più citate, quelle del Future Jobs Report 2025 del World Economic Forum, indica che entro il 2030 saranno “rimpiazzati” 92 milioni di posti di lavoro, ma allo stesso tempo emergeranno 170 milioni di nuovi posti basati sulle nuove competenze tecnologiche. Però, ricorda lo stesso Wef, «questi non sono scambi diretti che avvengono negli stessi luoghi con le stesse persone. La vera sfida non riguarda solo il numero di posti di lavoro; riguarda il divario tra dove i lavori scompaiono e dove ricompaiono, tra le competenze che i lavoratori possiedono e quelle richieste dai nuovi ruoli».
Può darsi, insomma, che quando lo sviluppo dell’IA inizierà a rallentare (forse dopo il raggiungimento della mitologica “intelligenza artificiale generale”) e si potranno valutare in modo più complessivo gli effetti che l’evoluzione tecnologica ha avuto sul mondo del lavoro, il risultato non sarà poi così negativo. Questo, però, è un discorso che vale a livello globale, non personale: dietro i numeri dei lavoratori “spiazzati” dall’IA rischiano di esserci decine di milioni di singole storie di esseri umani che il sistema produttivo ha considerato bruscamente obsoleti.
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