Rientro in ufficio: tra realtà e previsioni
Per il 2025 si prevede una crescita del 5%, che porterebbe a toccare 3,75 milioni di. A far evolvere le iniziative saranno soprattutto grandi imprese (35%), Pa (23%) e pmi (9%)

Mentre i dipendenti si adattano agli ambienti di lavoro post-pandemia, il dibattito sugli obblighi di rientro in ufficio continua ad alimentare tensioni. Nonostante lo stop a tutte le misure di smart working semplificato che obbligavano i datori di lavoro a consentirlo per specifiche categorie, il numero di lavoratori da remoto nel 2024 è sostanzialmente stabile: 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023 (-0,8%). Lo smart working cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi due milioni di lavoratori (1,91 milioni, +1,6% sul 2023), vicino al picco della pandemia, con il 96% delle grandi organizzazioni che oggi ha consolidato delle iniziative. Cala invece nelle pmi, passando a 520mila lavoratori dai 570mila dell’anno scorso, e resta sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella Pa (500mila nel 2024, 515mila nel 2023). Per il 2025 si prevede una crescita del 5%, che porterebbe a toccare i 3,75 milioni di lavoratori. A far evolvere le iniziative, in termini di persone coinvolte o di policy, saranno soprattutto le grandi imprese (35%), seguite dalle Pa (23%) e dal 9% delle pmi. Praticamente tutte le grandi imprese prevedono di mantenere lo smart working anche in futuro. Il 35% delle grandi imprese e il 43% delle Pa prevede un incremento dei lavoratori coinvolti nel prossimo anno, mentre nelle pmi la direzione è opposta, con solo l’8% che ipotizza un aumento. Gli smart worker italiani possono lavorare da remoto in media nove giorni al mese nelle grandi imprese, sette nella Pa e 6,6 nelle pmi. Lo smart working è una pratica diffusa e apprezzata, a cui ben pochi rinuncerebbero: il 73% dei lavoratori che se ne avvalgono si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità. Nello specifico, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro, il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Sempre secondo i lavoratori, per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’azienda dovrebbe offrire una maggiore flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20%. Tra chi è tornato in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente preferisce socializzare con i colleghi in presenza, il 23% ha una nuova mansione non svolgibile da remoto, mentre per la grande maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano.
L’atteggiamento dei manager ha un ruolo cruciale nel determinare l’adozione delle pratiche di smart working e il loro effettivo utilizzo. Il 53% delle grandi imprese ritiene che i propri manager siano promotori di tali iniziative mettendole in pratica e stimolando anche i propri collaboratori a farlo. Nel settore pubblico e nelle pmi questo atteggiamento positivo è meno diffuso, presente solo, rispettivamente, nel 35% e nel 27% delle organizzazioni. Oltre un terzo delle pmi dichiara, invece, che i propri responsabili hanno un atteggiamento scettico rispetto allo smart working, permettendo alle persone di lavorare da remoto solo in presenza di particolari necessità o addirittura non incentivandone l’applicazione. Un approccio strategico in cui sia lavoratori che manager rivedono il proprio modo di lavorare coerentemente con la filosofia delle smart working, è presente solo nel 33% delle grandi imprese, nel 20% delle Pa e nell’8% delle pmi, e porta a risultati superiori in termini sia di prestazioni organizzative che di benessere delle persone. Cresce l’attenzione al ripensamento degli spazi di lavoro per renderli più efficaci ed attrattivi. Il 78% delle grandi imprese ha, almeno in alcune sedi, spazi flessibili, riconfigurabili, differenziati e che permettono un uso efficace degli ambienti, soluzioni presenti anche nel 49% della Pa e nel 34% delle pmi. Il 56% delle grandi imprese e il 28% di pmi e Pa hanno introdotto nelle loro sedi spazi dedicati al recupero delle energie e alla socializzazione, mentre restano ancora poco diffuse le soluzioni per il benessere fisico. Molto è ancora da fare sul tema della sostenibilità degli spazi di lavoro, soprattutto dal punto di vista ambientale. Gli interventi attuati, presenti almeno in alcune sedi del 63% delle grandi imprese, nel 54% delle pmi e 56% delle Pa, si concentrano principalmente su sistemi che permettono di segmentare gli spazi, evitando il riscaldamento o raffreddamento degli ambienti quando non usati. Meno diffusi sono gli arredi con materiali sostenibili e di riciclo, presenti nel 40% delle grandi imprese, 15% delle pmi e 12% delle Pa. Rispetto al tema dell’inclusività solo il 26% delle grandi imprese, il 13% delle pmi e il 21% delle Pa hanno elementi che rendono gli spazi accessibili a persone con esigenze non standard, come percorsi tattili e scelte cromatiche pensate per chi ha difficoltà visive. Meno di una organizzazione su dieci ha spazi adeguati a persone con neurodiversità o luoghi di preghiera per diverse fedi religiose.
Meno di una azienda su dieci ha adottato la settimana corta, ma nonostante una diffusione ancora contenuta, questa sta riscontrando interesse nelle organizzazioni. I modelli e le pratiche sono molto diversi, dalla settimana compressa ai venerdì brevi, talvolta applicati solo in determinati periodi dell’anno, o una rimodulazione dell’orario lavorativo riservate a specifici profili di lavoratori, come quelli su turni. Le motivazioni principali per cui le organizzazioni hanno implementato o stanno valutando di introdurre la settimana corta sono: migliorare il bilanciamento fra vita privata e lavorativa delle persone (per il 91% delle aziende), la volontà di aumentare la soddisfazione lavorativa e l’engagement (89%) e la capacità di risultare più attrattive sul mercato del lavoro (56%). Il miglioramento della produttività non figura tra le principali motivazioni dichiarate. Un fenomeno emergente è l’international smart working, presente soprattutto nelle grandi imprese, in cui è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle pmi (4%). Le iniziative riguardano spesso un numero limitato di individui, ma rappresentano lo strumento con cui le organizzazioni possono accedere ad un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero. Attrarre specifici profili e trattenere talenti sono le principali motivazioni per attivare iniziative di international smart working. A limitarne la diffusione, la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni che hanno progetti attivi. Una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle pmi la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati.
Meno di una azienda su dieci ha adottato la settimana corta, ma nonostante una diffusione ancora contenuta, questa sta riscontrando interesse nelle organizzazioni. I modelli e le pratiche sono molto diversi, dalla settimana compressa ai venerdì brevi, talvolta applicati solo in determinati periodi dell’anno, o una rimodulazione dell’orario lavorativo riservate a specifici profili di lavoratori, come quelli su turni. Le motivazioni principali per cui le organizzazioni hanno implementato o stanno valutando di introdurre la settimana corta sono: migliorare il bilanciamento fra vita privata e lavorativa delle persone (per il 91% delle aziende), la volontà di aumentare la soddisfazione lavorativa e l’engagement (89%) e la capacità di risultare più attrattive sul mercato del lavoro (56%). Il miglioramento della produttività non figura tra le principali motivazioni dichiarate. Un fenomeno emergente è l’international smart working, presente soprattutto nelle grandi imprese, in cui è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle pmi (4%). Le iniziative riguardano spesso un numero limitato di individui, ma rappresentano lo strumento con cui le organizzazioni possono accedere ad un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero. Attrarre specifici profili e trattenere talenti sono le principali motivazioni per attivare iniziative di international smart working. A limitarne la diffusione, la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni che hanno progetti attivi. Una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle pmi la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati.
I risultati del sondaggio LiveCareer
LiveCareer, piattaforma di servizi per la carriera specializzata in curriculum e lettere di presentazione, ha pubblicato il suo rapporto, Rientro in ufficio: realtà e previsioni, basato su un sondaggio condotto a gennaio 2025 su oltre 1.000 lavoratori. Sebbene la maggior parte dei dipendenti preferisca il lavoro da remoto rispetto a quello in presenza, il 91% dichiara di conoscere qualcuno a cui è stato richiesto di tornare in ufficio a partire dal 2023. Di questi, l'86% ha osservato ripercussioni negative per chi si è opposto. Nonostante queste difficoltà, i lavoratori continuano a dare grande valore ai benefici del lavoro da remoto, privilegiando il risparmio di tempo e denaro e un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro. I punti salienti:
• Il 60% delle persone prevede che nel 2025 più aziende forzeranno il ritorno in ufficio rispetto al 2024.
• Il 91% conosce qualcuno a cui è stato chiesto di tornare a lavorare in presenza dal 2023.
• L'86% ha riportato conseguenze per chi si è rifiutato di tornare in ufficio:
o Il 63% è stato licenziato.
o Il 23% ha ricevuto richiami formali.
• Due terzi dei lavoratori non scambierebbero il lavoro da remoto per un aumento di stipendio del 15%.
• Le menzioni di "lavoro da remoto" sui curriculum sono quasi triplicate, passando dal 4% nel 2018 all'11% nel 2025.
Guardando al futuro, i dipendenti si aspettano una continua spinta verso il lavoro in presenza:
• Il 60% ritiene che più aziende richiederanno il lavoro full-time in ufficio.
• Il 31% prevede meno obblighi.
• Il 9% non si aspetta cambiamenti significativi.
Alla domanda se conoscessero qualcuno a cui fosse stato chiesto di tornare in ufficio dal 2023, il 91% degli intervistati ha risposto di sì: il 73% conosce una persona e il 18% ne conosce diverse. Solo il 9% degli intervistati afferma di non conoscere nessuno a cui sia stato chiesto di tornare a lavorare in presenza.
Tra chi conosce qualcuno che ha rifiutato di seguire le politiche di rientro in ufficio, l’86% riporta che ci sono state conseguenze.
• Il 63% riporta casi di licenziamento.
• Il 23% parla richiami formali.
• Solo il 9% riporta casi in cui il rifiuto non ha comportato conseguenze, dimostrando che la clemenza rimane rara.
Il sondaggio evidenzia diverse ragioni chiave per cui i dipendenti rimangono fermi nella loro preferenza per il lavoro da remoto e ibrido:
• Il 49% apprezza il tempo risparmiato evitando gli spostamenti casa-lavoro.
• Il 42% sottolinea il risparmio economico su trasporti e pasti.
• Il 40% indica una maggiore flessibilità e un miglioramento della produttività.
• Il 32% beneficia di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.
• Il 20% preferisce evitare la routine legata alla presenza in ufficio, come vestirsi in modo formale o curare l’aspetto ogni giorno.
LiveCareer, piattaforma di servizi per la carriera specializzata in curriculum e lettere di presentazione, ha pubblicato il suo rapporto, Rientro in ufficio: realtà e previsioni, basato su un sondaggio condotto a gennaio 2025 su oltre 1.000 lavoratori. Sebbene la maggior parte dei dipendenti preferisca il lavoro da remoto rispetto a quello in presenza, il 91% dichiara di conoscere qualcuno a cui è stato richiesto di tornare in ufficio a partire dal 2023. Di questi, l'86% ha osservato ripercussioni negative per chi si è opposto. Nonostante queste difficoltà, i lavoratori continuano a dare grande valore ai benefici del lavoro da remoto, privilegiando il risparmio di tempo e denaro e un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro. I punti salienti:
• Il 60% delle persone prevede che nel 2025 più aziende forzeranno il ritorno in ufficio rispetto al 2024.
• Il 91% conosce qualcuno a cui è stato chiesto di tornare a lavorare in presenza dal 2023.
• L'86% ha riportato conseguenze per chi si è rifiutato di tornare in ufficio:
o Il 63% è stato licenziato.
o Il 23% ha ricevuto richiami formali.
• Due terzi dei lavoratori non scambierebbero il lavoro da remoto per un aumento di stipendio del 15%.
• Le menzioni di "lavoro da remoto" sui curriculum sono quasi triplicate, passando dal 4% nel 2018 all'11% nel 2025.
Guardando al futuro, i dipendenti si aspettano una continua spinta verso il lavoro in presenza:
• Il 60% ritiene che più aziende richiederanno il lavoro full-time in ufficio.
• Il 31% prevede meno obblighi.
• Il 9% non si aspetta cambiamenti significativi.
Alla domanda se conoscessero qualcuno a cui fosse stato chiesto di tornare in ufficio dal 2023, il 91% degli intervistati ha risposto di sì: il 73% conosce una persona e il 18% ne conosce diverse. Solo il 9% degli intervistati afferma di non conoscere nessuno a cui sia stato chiesto di tornare a lavorare in presenza.
Tra chi conosce qualcuno che ha rifiutato di seguire le politiche di rientro in ufficio, l’86% riporta che ci sono state conseguenze.
• Il 63% riporta casi di licenziamento.
• Il 23% parla richiami formali.
• Solo il 9% riporta casi in cui il rifiuto non ha comportato conseguenze, dimostrando che la clemenza rimane rara.
Il sondaggio evidenzia diverse ragioni chiave per cui i dipendenti rimangono fermi nella loro preferenza per il lavoro da remoto e ibrido:
• Il 49% apprezza il tempo risparmiato evitando gli spostamenti casa-lavoro.
• Il 42% sottolinea il risparmio economico su trasporti e pasti.
• Il 40% indica una maggiore flessibilità e un miglioramento della produttività.
• Il 32% beneficia di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.
• Il 20% preferisce evitare la routine legata alla presenza in ufficio, come vestirsi in modo formale o curare l’aspetto ogni giorno.
Anche i dati sui curriculum confermano il crescente interesse per le opportunità di lavoro da remoto. Nel database di LiveCareer, le menzioni al "lavoro da remoto" nei cv sono passate dal 4% nel 2018 all’11% nel 2025, quasi triplicando in soli sette anni.
Nonostante i vantaggi del lavoro da remoto, alcuni lavoratori hanno indicato a quali condizioni sarebbero disposti a tornare in ufficio:
• Il 37% tornerebbe per un aumento di stipendio di almeno il 15%.
• Il 35% rinuncerebbe al lavoro da remoto per una settimana lavorativa di quattro giorni.
• Il 10% lo farebbe in cambio di ferie pagate illimitate.
Emerge con chiarezza da questi dati quanto i dipendenti tengano al lavoro da remoto: per la maggioranza di loro, infatti, gli incentivi economici da soli non bastano a compensarne la perdita. «I dati mostrano un mondo del lavoro a un punto di svolta - ha spiegato Jasmine Escalera, esperta di carriera per LiveCareer -. Anche se molti prevedono un aumento delle richieste di rientro in ufficio, la forte preferenza per il lavoro da remoto sottolinea un cambiamento profondo nei valori professionali. I datori di lavoro che daranno priorità alla flessibilità e capiranno queste esigenze avranno un vantaggio nell’attrarre e mantenere i migliori talenti in un mercato del lavoro in continua evoluzione».
Nonostante i vantaggi del lavoro da remoto, alcuni lavoratori hanno indicato a quali condizioni sarebbero disposti a tornare in ufficio:
• Il 37% tornerebbe per un aumento di stipendio di almeno il 15%.
• Il 35% rinuncerebbe al lavoro da remoto per una settimana lavorativa di quattro giorni.
• Il 10% lo farebbe in cambio di ferie pagate illimitate.
Emerge con chiarezza da questi dati quanto i dipendenti tengano al lavoro da remoto: per la maggioranza di loro, infatti, gli incentivi economici da soli non bastano a compensarne la perdita. «I dati mostrano un mondo del lavoro a un punto di svolta - ha spiegato Jasmine Escalera, esperta di carriera per LiveCareer -. Anche se molti prevedono un aumento delle richieste di rientro in ufficio, la forte preferenza per il lavoro da remoto sottolinea un cambiamento profondo nei valori professionali. I datori di lavoro che daranno priorità alla flessibilità e capiranno queste esigenze avranno un vantaggio nell’attrarre e mantenere i migliori talenti in un mercato del lavoro in continua evoluzione».
Una proposta di legge
«Il lavoro da remoto in Italia deve essere assolutamente potenziato, così come deve essere potenziata la legge attuale, l’81 del 2017». Così Valentina Barzotti, deputata M5S della commissione Lavoro, che ha promosso a Montecitorio la conferenza stampa Verso la sostenibilità sociale ed ambientale del lavoro. Nel corso dell’evento è stata presentata la proposta di legge n. 388 dedicata all’introduzione del diritto al lavoro da remoto e del diritto alla disconnessione che mira a riconoscere il lavoro da remoto come «modalità strutturale e non più emergenziale, promuovendo un modello organizzativo moderno, sostenibile e rispettoso dei diritti dei lavoratori». «Dopo questa legge – ha sottolineato Barzotti - c’è stata una transizione, siamo passati attraverso il Covid e siamo arrivati all’intelligenza artificiale. Quindi è importante fare un tagliando alla normativa attuale. Noi abbiamo proposto una serie di innovazioni, tra cui la misurazione del lavoro da remoto e delle sue esternalità, in modo da creare incentivi per le aziende, che siano misurati al livello di efficienza energetica raggiunto. E dall’altra parte il rafforzamento del diritto alla disconnessione, la sua definizione che ancora non c’è e un coinvolgimento più forte delle rappresentanze sindacali su questo tema».
La proposta di legge n. 388 dedicata all'introduzione del diritto al lavoro da remoto e del diritto alla disconnessione mira a riconoscere il lavoro da remoto come modalità strutturale e non più emergenziale, promuovendo un modello organizzativo moderno, sostenibile e rispettoso dei diritti dei lavoratori. In particolare, viene formalizzato il diritto alla disconnessione, ovvero il diritto di ogni lavoratore a interrompere la connessione dagli strumenti digitali e dalle piattaforme informatiche al di fuori dell'orario di lavoro, proteggendo così il benessere psicofisico e l'equilibrio tra vita privata e lavoro. Inoltre viene presentato un innovativo strumento di misurazione: l'Indice Smart, un indice di efficienza energetica e sostenibilità pensato per incentivare e valutare l'impatto del lavoro da remoto dal punto di vista ambientale e sociale. L'indice è stato elaborato dalla ricercatrice Lucia Cattani ed è l'argomento dello studio scientifico pubblicato sulla rivista Buildings (A method and metrics to assess the energy efficiency of smart working), che propone un approccio strutturato alla valutazione dell'efficienza energetica dello smart working. La presentazione è anche l'occasione per condividere alcune esperienze virtuose già realizzate nel settore pubblico e privato, che dimostrano come il lavoro da remoto possa rappresentare un'opportunità concreta per migliorare la qualità della vita, ridurre l'impatto ambientale e modernizzare l'organizzazione del lavoro.
Un libro in difesa dello smart working
Giuseppe Conte, manager delle Risorse umane, nel suo libro In difesa dello smart working (edito da Castelvecchi) ha affrontato le sfide e le opportunità legate al lavoro flessibile. Con un'esperienza consolidata nel management pubblico, Conte ha esplorato l'importanza di conciliare l'impiego con la vita privata, sottolineando la necessità di una nuova cultura aziendale. «Con l'autorità si può chiedere il rispetto delle regole, ma non si può imporre un cambiamento culturale», ha affermato Conte. Il suo approccio propone che motivare le persone non è questione di premi o punizioni, ma di ispirarle a trovare gratificazione nel loro lavoro. Lo smart working diventa così un potente strumento di fiducia, responsabilità e crescita reciproca.
In un contesto in continua evoluzione, il trattenere i talenti è essenziale. Lo smart working, promuovendo una leadership orizzontale e un paradigma di collaborazione, risponde a questa sfida, mettendo le persone al centro dell'organizzazione. In difesa dello smart working diventa così un invito a ripensare il lavoro con un approccio innovativo, dove la sostenibilità sistemica assieme al benessere e alla motivazione del lavoratore diventano priorità indiscutibili.
In un contesto in continua evoluzione, il trattenere i talenti è essenziale. Lo smart working, promuovendo una leadership orizzontale e un paradigma di collaborazione, risponde a questa sfida, mettendo le persone al centro dell'organizzazione. In difesa dello smart working diventa così un invito a ripensare il lavoro con un approccio innovativo, dove la sostenibilità sistemica assieme al benessere e alla motivazione del lavoratore diventano priorità indiscutibili.
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