Il mercato dell'arte in Italia vale 1,36 miliardi di euro
Negli ultimi anni, le 1.618 gallerie e i 1.637 antiquari attivi hanno visto diminuire progressivamente il proprio numero e il proprio fatturato reale

L'industria dell'arte italiana, pur avendo generato nel 2023 un giro d'affari diretto pari a 1,36 miliardi di euro e un impatto economico complessivo di 3,86 miliardi di euro, sta vivendo una lenta, ma preoccupante contrazione. In particolare, negli ultimi anni, le 1.618 gallerie d'arte e i 1.637 antiquari attivi sul territorio nazionale hanno visto diminuire progressivamente il proprio numero e il proprio fatturato reale a causa non solo dell'aumento dei costi operativi, ma anche per via di un sistema fiscale non allineato a quello degli altri Paesi europei e gravato dall'aliquota Iva più elevata a livello comunitario. È quanto emerge dal secondo Rapporto Arte: il valore dell'industria in Italia, promosso dall'Associazione Gruppo Apollo e realizzato da Nomisma in collaborazione con Intesa Sanpaolo.
In Italia, oggi la cessione di opere d'arte è soggetta all'aliquota ordinaria del 22%, la più alta in Europa. Al contrario, la Francia ha deciso di estendere dal primo gennaio 2025 il regime agevolato del 5,5% a tutte le transazioni artistiche, incluse le importazioni e le cessioni, e di conseguenza la Germania ha ridotto la propria aliquota al 7%. Questo significa - sottolinea il Rapporto - che per la stessa opera d'arte un collezionista pagherebbe fino al 18% in più acquistandola in Italia piuttosto che in Francia, con il risultato di obbligare da una parte gli operatori italiani a comprimere i propri margini per restare competitivi e dall'altra di indurre i giovani artisti a migrare verso gallerie straniere. Va da sé che questo comporterà gravi danni per tutta la filiera.
Per valutare le possibili ripercussioni sul settore, lo studio realizzato da Nomisma ha misurato gli impatti diretti, indiretti e indotti che deriverebbero dalla riduzione dell'Iva sull'importazione in Italia di opere d'arte da Paesi extra-Ue. L'indagine ha poi fotografato lo scenario allarmante che deriverebbe dalla mancata applicazione di un'aliquota ridotta anche sulle transazioni interne.
Malgrado un effetto moltiplicatore pari a 2,8 (ovvero, per ogni euro di giro d'affari nel mercato dell'arte italiano si generano complessivamente 2,8 euro in termini di impatto economico complessivo) l'industria presenta molteplici elementi di fragilità che non solo ne frenano lo sviluppo, ma ne minano addirittura la sopravvivenza. Secondo le stime presentate da Nomisma, mantenendo ai livelli attuali l'aliquota Iva il settore potrebbe perdere fino al 28% del fatturato complessivo, con punte del -50% per le piccole gallerie. Al contrario, se l'Italia decidesse di abbassare al 5% l'Iva sulle transazioni artistiche, avvicinandola ai parametri francesi, secondo le simulazioni prodotte da Nomisma in un solo triennio il fatturato complessivo generato da gallerie, antiquari e case d'asta crescerebbe fino a raggiungere circa 1,5 miliardi di euro, con un effetto positivo sull'economia italiana stimato fino a 4,2 miliardi di euro.
«Il mercato dell'arte contribuisce in modo significativo alla ricchezza del nostro Paese - ha spiegato Alessandra Di Castro, presidente del Gruppo Apollo -. Tuttavia dobbiamo riconoscere che siamo ancora lontani dal nostro pieno potenziale. Se abbassassimo l'aliquota Iva al 5%, quindi ancora meno della Francia, l'Italia potrebbe acquisire la posizione di hub per le operazioni di compravendita. Ciò permetterebbe, al tempo stesso, di salvaguardare l'intero ecosistema della cultura, valorizzando tutti i protagonisti».
«Indubbiamente il differente regime fiscale rappresenta un problema reale, con il rischio che il sistema dell'arte italiano perda progressivamente di competitività, impoverendo strutturalmente e perdendo operatori, artisti, competenze e prospettive - ha commentato Roberta Gabrielli, responsabile Marketing di Nomisma -. Non si tratta solo di proteggere un settore economico, ma di difendere un presidio culturale fondamentale per l'identità del nostro Paese».
Per valutare le possibili ripercussioni sul settore, lo studio realizzato da Nomisma ha misurato gli impatti diretti, indiretti e indotti che deriverebbero dalla riduzione dell'Iva sull'importazione in Italia di opere d'arte da Paesi extra-Ue. L'indagine ha poi fotografato lo scenario allarmante che deriverebbe dalla mancata applicazione di un'aliquota ridotta anche sulle transazioni interne.
Malgrado un effetto moltiplicatore pari a 2,8 (ovvero, per ogni euro di giro d'affari nel mercato dell'arte italiano si generano complessivamente 2,8 euro in termini di impatto economico complessivo) l'industria presenta molteplici elementi di fragilità che non solo ne frenano lo sviluppo, ma ne minano addirittura la sopravvivenza. Secondo le stime presentate da Nomisma, mantenendo ai livelli attuali l'aliquota Iva il settore potrebbe perdere fino al 28% del fatturato complessivo, con punte del -50% per le piccole gallerie. Al contrario, se l'Italia decidesse di abbassare al 5% l'Iva sulle transazioni artistiche, avvicinandola ai parametri francesi, secondo le simulazioni prodotte da Nomisma in un solo triennio il fatturato complessivo generato da gallerie, antiquari e case d'asta crescerebbe fino a raggiungere circa 1,5 miliardi di euro, con un effetto positivo sull'economia italiana stimato fino a 4,2 miliardi di euro.
«Il mercato dell'arte contribuisce in modo significativo alla ricchezza del nostro Paese - ha spiegato Alessandra Di Castro, presidente del Gruppo Apollo -. Tuttavia dobbiamo riconoscere che siamo ancora lontani dal nostro pieno potenziale. Se abbassassimo l'aliquota Iva al 5%, quindi ancora meno della Francia, l'Italia potrebbe acquisire la posizione di hub per le operazioni di compravendita. Ciò permetterebbe, al tempo stesso, di salvaguardare l'intero ecosistema della cultura, valorizzando tutti i protagonisti».
«Indubbiamente il differente regime fiscale rappresenta un problema reale, con il rischio che il sistema dell'arte italiano perda progressivamente di competitività, impoverendo strutturalmente e perdendo operatori, artisti, competenze e prospettive - ha commentato Roberta Gabrielli, responsabile Marketing di Nomisma -. Non si tratta solo di proteggere un settore economico, ma di difendere un presidio culturale fondamentale per l'identità del nostro Paese».
Giù l'Iva, Italia più competitiva
Dopo Francia e Germania anche l'Italia abbasserà l'Iva sulle transazioni di opere d'arte, rendendo l'industria legata ai beni artistici più competitiva. «Ci siamo e credo che siamo vicini a un risultato che darà soddisfazione a tutti quanti», ha detto il ministro della Cultura Alessandro Giuli ai galleristi, collezionisti e mercanti d'arte che da tempo chiedono di abbassare l'Iva sulle cessioni di beni d'arte, attualmente al 22%. «Il ministero dell'Economia è d'accordo con noi: le coperture verranno trovate», ha annunciato Giuli.
Questo significa che per la stessa opera d'arte un collezionista pagherebbe fino al 18% in più acquistandola in Italia piuttosto che in Francia, con il risultato di obbligare da una parte gli operatori italiani a comprimere i propri margini per restare competitivi e dall'altra di indurre i giovani artisti a migrare verso gallerie straniere. Con conseguenze su tutta la filiera: restauratori, trasportatori, studiosi e i tanti artigiani che tutto il mondo ci invidia. Ora però «esiste concretamente la prospettiva economica di riallinearci ad una media continentale», risolvendo quella «forma di dumping autentico della filiera dell'arte in tutte le sue rappresentazioni», ha rassicurato il ministro, mostrando soddisfazione: «Oggi siamo ad un bivio, a un punto di non ritorno, perché se messi in condizione di competere ad armi pari vinciamo su tutti».
«Il mercato dell'arte è uno dei più globalizzati che ci sono al mondo, si spostano gli operatori, ci sono le fiere internazionali, ma si spostano anche le opere d'arte, quindi accogliamo con grande soddisfazione le garanzie che ci ha offerto il ministro Giuli. La nostra speranza è che l'aliquota venga abbassata per le transazioni, ma anche, per esempio, all'importazione, dove l'Italia è al 10% e la Francia è già al 5,5%», ha aggiunto Di Castro.
Quanto all'Iva, «l'Italia è stata la prima nazione in Europa a introdurre indirizzi in questo senso. Francia e Germania sono intervenute in reazione alla nostra legge delega a mia prima firma al governo in materia e, per prassi parlamentari, sono riuscite ad attuarli prima», rivendica il presidente della commissione Cultura della Camera e responsabile nazionale cultura di FdI Federico Mollicone. Replica il Pd ricordando che la misura era stata «incomprensibilmente» esclusa dal decreto Cultura. Una scelta, dice Irene Manzi, capogruppo democratica nella commissione Cultura della Camera, che «ci porta ad essere diffidenti sugli annunci».
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