Confindustria: «Con i dazi al 30% impatto di -0,8% sul Pil nel 2027»
Secondo il Csc, con tasso di cambio euro-dollaro invariato l’export italiano verso gli Stati Uniti si ridurrebbe di circa 38 miliardi di euro. Lutnick: "Vincolante la scadenza del primo agost

Il primo agosto si avvicina e con esso una scadenza che potrebbe segnare una nuova fase critica nei rapporti economici tra Stati Uniti e Unione Europea. A quella data, infatti, scatterà l’aumento al 30% dei dazi doganali americani sui prodotti UE, qualora non venga raggiunto un accordo bilaterale. A confermarlo è stato il segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick, il quale, pur mostrandosi fiducioso sulla possibilità di un’intesa, ha sottolineato che la scadenza è “vincolante”. Il tema è cruciale per l’economia italiana. Secondo una stima del Centro Studi di Confindustria, in uno scenario con dazi al 30% e tasso di cambio euro-dollaro invariato, l’export italiano verso gli Stati Uniti si ridurrebbe di circa 38 miliardi di euro, pari al 58% delle attuali vendite negli USA, al 6% dell’export complessivo nazionale e, tenendo conto anche delle filiere produttive indirette, a un impatto del 4% sulla produzione manifatturiera.
L’impatto netto sul PIL italiano sarebbe considerevole: entro il 2027 il livello del Prodotto interno lordo sarebbe inferiore dello 0,8% rispetto allo scenario base privo di dazi. Il CSC prevede anche una contrazione degli investimenti in macchinari e impianti dell’1%, mentre l’export globale di beni si ridurrebbe comunque del 4%, nonostante un parziale recupero in altri mercati (+13 miliardi cumulati entro il 2027).
Le tariffe Usa già in vigore sono tutt’altro che marginali: i dazi su acciaio e alluminio sono al 25% (saliti al 50% da giugno), mentre per autoveicoli e componentistica il livello è simile. Dal 5 aprile è stato introdotto un dazio del 10% su molti beni europei e, senza accordo, questo passerà al 30% a partire dal primo agosto. Inoltre, l’amministrazione Trump minaccia di estendere le tariffe anche ai beni oggi esenti, come farmaceutici, semiconduttori, legname, minerali critici, aerei e cantieristica navale. Questa prospettiva sta già producendo effetti visibili. I dati CSC mostrano che l’export italiano verso gli Usa ha tenuto nei mesi di aprile e maggio (+0,4% tendenziale), dopo una corsa nei primi tre mesi dell’anno (+11,8%) legata al “frontloading”, ovvero l’anticipo delle esportazioni per eludere l’entrata in vigore dei dazi. La tenuta però è fortemente divergente tra settori: quelli ancora esenti, come farmaceutica e legno (che rappresentano quasi un quarto dell’export totale), sono in crescita; in calo invece i comparti già colpiti dalle tariffe elevate, come metalli e auto.
Il clima economico globale è sempre più incerto. Secondo Confindustria, l’Economic Policy Uncertainty Index negli Stati Uniti è più che raddoppiato dall’inizio del 2025 (+131%), raggiungendo un nuovo record storico, superiore persino a quello registrato durante la pandemia. Il riflesso si è avuto anche sull’indice globale (+86%). Questo contesto ha causato una forte svalutazione del dollaro, soprattutto contro l’euro: il cambio è passato da 1,04 a gennaio a una media di 1,17 a luglio, con picchi a 1,18 (+13,3% su base annua). Il dollaro debole penalizza ulteriormente le esportazioni italiane e dell’eurozona, riducendone la competitività. L’unico elemento positivo è il parziale rientro dei prezzi dell’energia. Dopo il balzo di giugno legato alle tensioni tra Israele e Iran, a luglio il petrolio è sceso a 71 dollari al barile, in calo rispetto ai 79 di giugno, ma comunque sopra i 64 dollari medi di maggio.
Finora sui dazi la Commissione Europea ha mantenuto un approccio moderato, evitando reazioni che potessero alimentare l’escalation. Ma secondo il Wall Street Journal, Germania e altri Stati membri stanno ora spingendo per contromisure "nuove e potenti" contro le aziende Usa. Berlino, tradizionalmente prudente, avrebbe rivisto la propria posizione dopo la proposta di Trump di introdurre un dazio base del 15% su tutte le importazioni dall’Ue. Le fonti citate dal WSJ riferiscono che “tutte le opzioni sono sul tavolo”.
Il quadro delineato dal CSC di Confindustria nella sua analisi congiunturale mensile è netto: “Scenario complicato, ulteriori annunci sui dazi Usa hanno alzato l’incertezza ed erodono la fiducia”. Le condizioni attuali — tra cambio sfavorevole, prezzi dell’energia ancora elevati, frenata degli investimenti e consumi — sono un mix pericoloso per le prospettive italiane. L’industria, secondo i dati, è stagnante nel secondo trimestre, mentre i servizi crescono a rilento. A giugno la BCE ha tagliato i tassi al 2,00% e potrebbe farlo di nuovo nei prossimi giorni, grazie a un’inflazione contenuta (+1,7% in Italia, +2,0% in Eurozona). Ma il sostegno monetario potrebbe non essere sufficiente a controbilanciare gli effetti di una guerra commerciale. Anche l’Eurozona appare in difficoltà: la produzione industriale a maggio è calata in Francia (-0,5%), cresciuta in Germania (+2,2%) e Spagna (+0,6%). Ma gli indicatori di giugno segnalano un calo della fiducia in tutta l’area e i PMI suggeriscono debolezza sia nei servizi che nella manifattura, con la sola Spagna in espansione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






