Innovano e possono sbagliare: le fondazioni private inventano solidarietà

Al Forum organizzato da Avvenire emerge la necessità di andare oltre la sola analisi quantitativa e riconoscere il ruolo di queste realtà, che sviluppano politiche sociali
October 1, 2025
Innovano e possono sbagliare: le fondazioni private inventano solidarietà
Mai come ora, nel mondo della filantropia italiana si registra un particolare fermento: nuovi soggetti, nuove risorse, nuove iniziative, nuove pratiche. Un fermento che non sempre aiuta a vedere il fenomeno nel suo insieme, a valorizzarlo in un’ottica di sistema e di sussidiarietà, e di far luce sugli spazi di miglioramento, che ci sono e sono grandi. «Anche perché, nel mondo della filantropia, l’opzione del fallimento non andrebbe mai vista come una sconfitta, ma come una fonte di conoscenza e un risultato utile da condividere per avviare nuove strategie d’azione» ha spiegato il professor Gian Paolo Barbetta, docente di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Di qui il percorso che Avvenire intende avviare con questo forum, volto a esplorare il microcosmo delle fondazioni di famiglia e a ragionare pacatamente di best practice, ma anche di fallimenti e del loro potere trasformativo. Secondo l’economista, è proprio la natura costitutiva che distingue le fondazioni da altri soggetti dell’economia e della società, o anche il resto del settore nonprofit (ad esempio, le cooperative sociali): in primo luogo hanno un patrimonio, la cui gestione consente loro di non doversi misurare con la raccolta di risorse (come devono fare le imprese profit e nonprofit); hanno una legittimazione che non dipende dal voto popolare (come accade invece per le amministrazioni pubbliche). Proprio queste caratteristiche strutturali danno alle fondazioni la possibilità e la libertà di assumersi dei rischi e anche di sbagliare: «Questa libertà è un valore distintivo che permette di ragionare con orizzonti di lungo periodo». E, di conseguenza, di investire e sperimentare innovazione sociale.
Un momento del forum sulle fondazioni private nella sede di Avvenire
Un momento del forum sulle fondazioni private nella sede di Avvenire
«Dobbiamo uscire da una lettura di tipo esclusivamente quantitativo del nostro operato – ha concordato Fabrizio Serra, segretario generale di fondazione Paideia e vicepresidente di Assifero – che riduce tutto a quanti interventi sono stati sostenuti e quanti soldi sono stati impiegati». La fondazione Paideia, ad esempio, è partita come fondazione erogativa, come sottolineato dal suo presidente Guido Giubergia, ma rendendosi conto che in quel modo non poteva controllare tutti i processi a cui dava vita, ha cambiato rotta. Ha aumentato costantemente la professionalità del personale e mantenuto l’obiettivo ambizioso di implementare politiche, individuare i problemi e anticipare «aree di sviluppo, temi emergenti e non emergenziali, dal clima al sostegno alle startup di innovazione sociale, fino ad arrivare a occuparsi di finanza sostenibile» ha raccontato ancora il segretario generale di fondazione Paideia.
Non conta solo la quantità
Secondo il professor Barbetta vi è la necessità di superare «una visione meramente apologetica basata esclusivamente sul numero dei progetti sostenuti e sulle erogazioni effettuati, adottando invece un approccio più strategico incentrato sulla stima degli effetti e sullo sviluppo di conoscenza, imparando anche dai fallimenti, per massimizzare il ruolo complementare delle fondazioni nel sistema sociale». Alessio Del Sarto, direttore di fondazione SociAL e consigliere nazionale di Assifero è convinto che l’applicazione di metriche aziendali come i KPI (Key Performance Indicators) nel campo delle fondazioni sia profondamente sbagliata: «Produciamo relazioni, produciamo benessere tra le persone e dunque non possiamo ragionare con le stesse metriche del mercato, cadendo in una trappola».
Quello che le fondazioni chiedono a gran voce e vorrebbero veder riconosciuto è proprio il loro ruolo strategico nello sviluppo e nella sperimentazione di politiche sociali. Con la consapevolezza di dover e poter diversificare gli interventi rispetto a quanto messo in campo dalle politiche pubbliche, in ambito sociale: «Un assessore non si prenderà mai il rischio di sperimentare innovazione e dire ho provato, ma non ha funzionato, perché non verrebbe rieletto la volta dopo. Al contrario, una fondazione è nella condizione di poterlo fare, di poter fallire, proprio perché non ha meccanismi democratici di nomina degli organi» ha osservato ancora Barbetta.
È questa la libertà d’azione che contraddistingue le fondazioni, al di là del fatto che scelgano di occuparsi di assistenza agli anziani, diritti dell’infanzia o sostegno alle famiglie. Consapevoli di un’evidente sproporzione di risorse tra le fondazioni e il settore pubblico. Perché se è vero che spesso si guarda alle fondazioni come soggetti in grado di risolvere qualunque problema, oggi si stima che la filantropia (incluse le fondazioni di origine bancaria) eroghi circa un miliardo e mezzo di euro l’anno, percentuale infinitesimale rispetto a uno Stato che ogni anno conta su un budget di circa 900 miliardi di euro.
Tra pluralismo e frammentazione
Se il pluralismo rappresenta un valore intrinseco del settore - che è frutto della libertà di scelta delle singole fondazioni riguardo a cosa finanziare, come operare e quali problemi affrontare - la proliferazione di prospettive e interventi che ne deriva denota tuttora una carenza «nella capacità di collaborare su grandi cause, di unirsi, e sistematizzare gli interventi» ha aggiunto Pierri, che nel 2009 ha fondato la Pierri Philanthropy Advisory, società di consulenza e formazione in tema di filantropia e finanza sociale per banche, aziende e fondazioni e oggi ricopre anche il ruolo di general manager di Bolton for Education Foundation.
Sotto il profilo fiscale, la possibilità di costituire enti filantropici con un capitale di dotazione molto ridotto (30mila euro) favorisce ulteriormente questa frammentazione di piccole realtà. «La scarsità di vantaggi fiscali legati al conferimento di patrimoni è un fattore: – ha spiegato Pierri – i consulenti spesso sconsigliano di conferire il patrimonio direttamente alla fondazione».
Ecosistema difficile da mappare
Ma quante sono le fondazioni di famiglia in Italia oggi? Se la sperimentazione di innovazione e lo sviluppo di conoscenza su come risolvere i problemi, come pure l’individuazione di ciò che non ha funzionato sono fattori identitari dell’operato delle fondazioni familiari in Italia, al tempo stesso il loro “tesoro”, in termini di risorse, interventi e competenze, ancora non è facilmente quantificabile: di fatto non esiste ancora una vera e propria mappatura di queste organizzazioni. Come spiega Carola Carazzone, vicepresidente di Philea e segretaria generale di Assifero «nel nostro Paese le fondazioni familiari finora sono state caratterizzate da grande riserbo. Seppur l’Italia sia un Paese che vanta una cultura del dono millenaria, la filantropia di famiglia è un fenomeno recente, cresciuto molto negli ultimi 10-15 anni».
Anche qui, vi sono eccezioni come la già citata fondazione Paideia, specializzata nel sostegno alle famiglie con figli con disabilità e nata nel 1993; secondo il presidente, tra i fattori alla base del successo di una fondazione filantropica vi sono certamente l’importanza della chiarezza della visione e della missione strategica e dei correlati programmi di intervento, ossia l’avere un campo di azione definito e circoscritto, specializzandosi e non disperdendo risorse; la necessità di adottare meccanismi organizzativi efficaci; e infine, fondamentale è l’apertura verso i terzi: «Bisogna superare l’autoreferenzialità tipica di molte fondazioni di famiglia, che rimangono chiuse in se stesse, e aprirsi alla comunità – ha spiegato Guido Giubergia – sviluppando collaborazioni e attraendo donazioni anche al di fuori della famiglia fondatrice». Anche Fondazione SociAL ha scelto una gestione strategica e professionale, con un modello di accompagnamento dei progetti e degli enti: «Si è scelto di focalizzare la nostra azione in un’area circoscritta (Alessandria e Asti), in modo da poter raggiungere i nostri partner in auto in trenta minuti e offrire loro formazione e supporto attraverso i nostri tutor volontari e una preparazione congiunta» ha aggiunto il direttore di Fondazione SociAL. Dalla capacità di innovare alla misurazione degli effetti, dalla visione a lungo termine, tante sono le sfide che ostacolano ancora l’efficacia delle fondazioni familiari. Secondo la segretaria generale di Assifero, il ruolo della filantropia può estendersi oltre al sociale: «Ad esempio, sostenendo il giornalismo indipendente e l’informazione pubblica di qualità».
Competenze e governance
Per migliorare l’efficacia dei singoli interventi e le sinergie tra enti occorre andare a fondo su competenze, governance interna e creazione di alleanze trasversali: «Molte famiglie imprenditoriali non investono nella professionalizzazione della propria organizzazione filantropica – ha spiegato Carazzone – con il pregiudizio diffuso che buona volontà e sensibilità siano sufficienti. Investire su processi decisionali partecipativi e dotarsi di professionisti in grado di costruire una visione, una strategia a lungo termine non è ancora una priorità condivisa da tutte le fondazioni». E invece, per una filantropia efficace, «servono competenze specifiche, che anche i membri dei consigli di amministrazione dovrebbero acquisire, dunque formazione nella governance stessa» ha sottolineato ancora Carazzone.
Ma qualcosa si muove: nella sua attività, la stessa Pierri ha identificato «delle modalità di governance interessanti che coinvolgono i giovani della famiglia, ad esempio con la creazione di un board solo per loro o con altre modalità che li rendano protagonisti. Questo può servire come straordinaria palestra di serietà, di ricerca di senso» e come «collante tra generazioni, gestendo i passaggi anche più delicati di un’attività, che spesso, si rivela più complessa del business».
L’Economia civile di Avvenire continuerà a esplorare e raccontare il mondo delle fondazioni private nei prossimi numeri, senza la pretesa di fornire un quadro esaustivo ma con l’ambizione di identificare i principali fattori che le rendono una risorsa chiave per la società italiana, in un’ottica di sussidiarietà. Verranno approfondite criticità, best practice, questioni regolamentari e opzioni strategiche innovative con due obiettivi: far luce su un ecosistema dal perimetro ancora incerto o poco conosciuto e promuovere un confronto che ne consenta una piena valorizzazione.

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