lunedì 11 marzo 2024
La storia dell'attivista israeliana morta durante il pogrom di Hamas il 7 ottobre. Parla in esclusiva il figlio Yonatan
Vivian Silver

Vivian Silver - Ansa

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Tra i 1.200 uomini, donne, bambini e anziani massacrati da Hamas il 7 ottobre c’è la pacifista israelo-canadese Vivian Silver, 74 anni, alla quale è dedicata l’iniziativa di Avvenire #donneperlapace. La stessa settimana della strage aveva manifestato a Gerusalemme con le 50mila donne dell’organizzazione Women Wage Peace insieme alle all’associazione gemella di palestinesi Women of the sun. Questo non l’ha salvata quando il commando armato ha fatto irruzione nel kibbutz Be’eri. Ai primi spari, Vivian si è rifugiata nel bunker. Da lì ha chiamato il figlio, Yonatan Ziegler, 35 anni. «Sono riusciti a entrare. Arrivederci», sono state le sue ultime parole.

«Non so che cosa sia accaduto. Ma so che l’omicidio di mia madre non è un paradosso della guerra bensì l’emblema della sua atrocità. La conferma che solo la pace può salvarci. La guerra ci mette a rischio tutti, indipendentemente da come viviamo. Sia che ci barrichiamo dietro i muri o che ci impegniamo per il dialogo con i palestinesi, il conflitto ci espone ugualmente al pericolo», afferma il figlio nell’appartamento tra Jaffa e Tel Aviv dove vive insieme alla compagna e ai tre figli di 10, 8 e 5 anni. I bambini sono a scuola ma i giocattoli sparsi ne rivelano in modo inconfondibile la presenza. Yonatan ha insistito perché i piccoli non fossero in casa durante l’intervista. Il giovane è riluttante verso i media.

Con Avvenire parla senza remore e con generosità. È rimasto toccato dalla scelta del quotidiano di dedicare la campagna #donneperlapace alla madre. «Ha sempre cercato di fare quanto riteneva giusto. Prima ha lasciato il Canada per contribuire alla costruzione della nazione degli ebrei. Da femminista convinta si è battuta per i diritti delle donne nel kibbutz Geser. Si è impegnata nel dialogo con i palestinesi come co-direttrice dell’Arab jewish centre for equality, empowerment and cooperation (Ajeec). Poi è andata in pensione con l’idea di dedicarsi a mio padre, che era malato, e ai nipoti. E, invece, nel 2014, ha deciso di creare Women wage peace. Era “attivismo-dipendente”».

Una radicale, sostenevano alcuni, anche nell’ambiente liberal di Be’eri. «Solo perché lavorava fianco a fianco con i palestinesi. In realtà, era molto pragmatica. Certo, crescere al suo fianco mi ha fatto spesso sentire un outsider. I miei non avevano radici in Israele e fra noi parlavamo in inglese. A casa nostra venivano persone di ogni parte del mondo, inclusi tantissimi arabi. Questo ha fatto sì che fin da piccolo fossi consapevole dell’esistenza del conflitto. Non molti ragazzi della mia età lo erano».

Nonostante abbia scelto di vivere in città, prima ad Haifa ed ora a Tel Aviv, Yonatan ha sempre mantenuto un forte legame con Be’eri. Dal 7 ottobre, però, ci è tornato solo due volte. La prima il 2 novembre quando ancora pensava che la madre fosse stata presa in ostaggio da Hamas. «Casa mia non c’era più. Solo questo si è salvato», aggiunge mentre mostra un piatto di portata di porcellana con i fiori azzurri. Il resto era stato bruciato come il 40 per cento della comunità.

«Non avevo avuto alcuna notizia di mia madre: non compariva in alcun video, in alcuna foto. Volevo escludere la possibilità che l’avessero uccisa. E invece… ». Invece, quando ha saputo che gli antropologi forensi e gli archeologi stavano dando una mano nelle indagini, Yonatan li ha chiamati e ha chiesto loro di fare un sopralluogo. «Non so se siano andati su mia richiesta o se l’avrebbero fatto comunque, ma alla fine hanno esaminato le macerie e hanno trovato delle ossa. Le hanno analizzate ed erano di mia madre».

Vivian Silver è stata uccisa dalla guerra a cui aveva cercato di mettere fine. Non solo. La morte sua e delle altre vittime del 7 ottobre ha aperto un nuovo, cruento capitolo del conflitto. «Non credo che questa guerra immorale e inefficace sia condotta nel nome dei morti, degli ostaggi, dei familiari. Di sicuro non nel mio né in quello di mia madre. Il governo dice di voler distruggere Hamas. Ma non potrà mai farlo per via militare. Se vuole davvero sconfiggere Hamas deve far sì che i palestinesi non siano più costretti a resistere. Deve cioè mettere fine all’occupazione, offrire incentivi ai gruppi palestinesi che credono nella via politica e accettare la nascita di uno Stato palestinese in condizione di uguaglianza. Niente di impossibile. Sempre che si voglia. E non si vuole. Non lo vuole il governo. E non lo vuole Hamas. Per questo, ho lo stesso messaggio per entrambi: “Basta armi, scegliete la vita”».

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