Ruffini: «La nostra umanità è piena di sorprese, non lasciamola spegnere dagli algoritmi»

L’IA sta trasformando il modo di comunicare e informare, offrendoci nuove opportunità (e scorciatoie). Ma c’è un patrimonio che va custodito e, proprio ora, fatto fiorire. Le idee del prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione
October 7, 2025
Ruffini: «La nostra umanità è piena di sorprese, non lasciamola spegnere dagli algoritmi»
Chiamati a «raccontare l’inatteso» di Dio nell’epoca dell’Intelligenza artificiale (IA) e della rassegnazione alle storie «in cui il male ha già vinto». Interpreta così, il prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione, Paolo Ruffini, il concetto di «empatia» a cui fa riferimento papa Leone XIV nel tema del Messaggio per la 60esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali (in calendario domenica 17 maggio 2026, solennità dell’Ascensione), pubblicato lo scorso 29 settembre.
«Custodire voci e volti umani» nel tempo dell’IA è il tema scelto dal Papa per il suo primo messaggio ai comunicatori. Perché secondo lei?
Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione
Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione
Mi sembra che il Papa ci dica una cosa in particolare: che nella comunicazione dobbiamo conservare la nostra umanità, e quindi i volti e le voci con cui ciascuno si presenta al mondo e che lo rendono “unico”. Questo, ci dice il Papa, deve essere preservato oggi nell’era dell’IA che, se imponesse un pensiero unico, ci priverebbe della nostra unicità. Papa Leone stesso, nel collegare la scelta del suo nome al predecessore Leone XIII, ha posto l’accento sulla sfida del tempo che viviamo, sulla necessità di esserne all’altezza. Agli operatori della comunicazione, che ha incontrato qualche giorno dopo la sua elezione, lo ha detto chiaramente, ricordando un insegnamento di sant’Agostino che dice: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». La Chiesa non si pensa mai “fuori” dal mondo, ma vive pienamente il presente. E il tema della “presenza”, essendo noi nell’era digitale, ci interroga su come provare a cambiare in meglio il presente.
In una società che il Papa riconosce come condizionata dallo «strapotere degli algoritmi», quali sono le responsabilità del comunicatore cattolico?
L’IA è il frutto di algoritmi che hanno sviluppato gli esseri umani. Il Magistero della Chiesa mette in guardia dal carattere ambivalente della tecnologia e i comunicatori cattolici, in particolare, sanno che è compito loro farla fruttare nel modo migliore. Quindi non possiamo sottrarci alla sfida dell’educazione all’Intelligenza artificiale, del “coltivare l’umanità” dentro l’IA, perché questo è un tema che sfida anche l’evangelizzazione. Allora si potrebbe ragionare su come sviluppare algoritmi che non siano indifferenti alla verità di ciò che si comunica, che difendano il pluralismo. Si potrebbe riflettere sullo sviluppo della comunicazione giornalistica, perché non prenda la deriva in cui ognuno si rinchiude nella propria bolla, incurante della verità.
In tutto questo che ruolo ha l’empatia?
Penso che la responsabilità dei comunicatori cattolici stia proprio nel testimoniare che un’altra comunicazione è possibile, rispetto a un paradigma che non conosce l’empatia e la compassione, rassegnato a un racconto dove il male ha già vinto e non può essere redento. Noi crediamo nella redenzione e abbiamo il compito di testimoniare che è possibile costruire una narrazione non edulcorata, ma neppure rassegnata. Credo che chi ha la nostra vocazione deve porsi la domanda sullo sviluppo degli algoritmi, sul digitale che verrà, sulla creazione di piattaforme non orientate allo sfruttamento dei dati e alla monetizzazione dell’attenzione. Avremmo il dovere di pensare a meccanismi economici di sostenibilità del sistema della comunicazione, che non lo portino a essere indifferente alla verità. Quando papa Francesco diceva “Tutti, tutti,tutti” intendeva affermare che ogni essere umano ha una prospettiva di redenzione. Qualsiasi vita, guerra, ingiustizia può essere raccontata nella prospettiva cristiana della rinascita, che prevede per le storie sviluppi imprevisti che umanamente penseremmo impossibili, ed è chiamata a raccontare l’inatteso.
Nel tempo dei conflitti globali, in cui entrano con ulteriore violenza fake news e narrazioni distorte, che ruolo hanno i comunicatori cattolici nell’educare?
L'impatto delle applicazioni di IA nella comunicazione è crescete e pone questioni etiche di grande importanza
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C’è un dovere nell’esercizio della professione giornalistica: quello di vedere le cose in profondità e di condividere il bene, il vero, il giusto. Se penso al nostro piccolo lavoro con il Dicastero mi viene in mente che per educare occorre “seminare” seme buono, in un mondo in cui tanti stanno seminando zizzania. Serve testimoniare che la verità esiste, in un tempo in cui questa è superata dalla chiacchiera non verificata.
Anche papa Leone sembra avere molto a cuore la comunicazione...
A me sembra che il Papa, in generale, non “si sottragga”: non si sottrae alla sfida del tempo, non si sottrae al confronto, dà tutto sé stesso in uno sforzo comunicativo costante, con la consapevolezza che la testimonianza cristiana è “comunicazione”. Credo che in questi primi mesi ci stia insegnando anche il tempo del silenzio, dello svuotare sé stessi per lasciarsi riempire dallo Spirito Santo.

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