venerdì 18 luglio 2014
​Il discorso del presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia all'assemblea plenaria delle conferenze dell'Amecea, in Malawi
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La famiglia soggetto della nuova evangelizzazione Monsignor Vincenzo Paglia Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (Discorso all’assemblea plenaria delle Conferenze della AMECEA in Malawi) Il cammino sinodale Quest’assemblea plenaria delle Conferenze della AMECEA si svolge alla vigilia del Sinodo Straordinario dei Vescovi dedicato a Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione. Come sapete si tratta della prima tappa di un cammino sinodale che prevede un’alto momento, quello del Sinodo Ordinario dei Vescovi che si svolgerà nell’ottobre 2015 sul tema Gesù Cristo rivela il Vangelo della famiglia. Non mi dilungo sulla nuova impostazione voluto da Papa Francesco per sottolineare unicamente che il Papa chiede che il tema venga affrontato in maniera ampia e partecipata. Lui personalmente ha voluto avviare la riflessione attraverso un dibattito di due giorni nel Concistoro dei cardinali del febbraio 2014. Ha poi voluto che si ascoltasse il parere di tutte le conferenze episcopali e di un ampio numero di altre istituzioni o singoli fedeli sul tema del matrimonio e della famiglia attraverso un questionario. L’Instrumentum laboris che la Segreteria del Sinodo ha presentato qualche settimana fa riporta fedelmente una ampia sintesi delle risposte pervenute. I risultati dei lavori del Sinodo Straordinario – a cui parteciperanno solo i presidenti delle Conferenze Episcopali e alcuni altri esperti - dovranno poi essere nuovamente esaminati, nel corso dell’anno 2015, dalle Conferenze Episcopali per essere esaminati nel Sindo Ordinario dell’ottobre del 2015. Credo sia importante sottolineare questo lungo itinerario che coinvolge l’intera Chiesa attorno al tema del Matrimonio e della Famiglia. Debbo dire che già nel Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione apparve con forza il tema della Famiglia. Ricordo che nmella preparazione dell’Instrumentum laboris, la famiglia neppure veniva nominata. Il cardinale Antonelli, allora Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, lo face notare e il testo fu corretto aggiungendo tre numeri sulla Famiglia. In verità, durante i lavori del Sinodo più di cento interventi dei vescovi furono sulla Famiglia come « soggetto della nuova evangelizzazione ». Papa Francesco – nell’incontro con la Segreteria del Sinodo che doveva stabilire il tema – ha trovato un convergenza ampia sulla necessità di porre alla riflessione di tutti proprio il tema della Famiglia. Era evidente che l’accostamento tra la centralità della famiglia per la nuova evangelizzazione e il contesto attuale nella quel la Famiglia vive richiedeva una particolare riflessione da parte di tutti. Ed ecco allora la decisione di tenere un Sinodo sulla Famiglia in due tappe. Credo sia importante sottolineare che Papa Francesco non chiede una riflessione solo teorica. Egli vuole che si guardi la realtà della vita delle famiglie di oggi, la situazione nella quale si trovano nei diversi continenti, per essere partecipi delle gioie e delle angosce, delle speranze e delle paure esse che vivono. L’Instrumentum laboris, da questo punto di vista, è davvero prezioso, proprio perché riporta le difficoltà che le famiglie oggi stanno attraversando. Ed è di qui, più che da una definizione teorica, che si deve partire per individuare quelle linee di risposta per aiutare le nostre famiglie a ritrovare la forza e la vocazione che il Signore ha loro affidato. Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte ad una grande e delicatissima sfida che riguarda sia le Chiese che le società civili. Per questo è indispensabile un grande coraggio e una grande audacia, in una parola, un grande amore per le nostre famiglie. Per questo volentieri partecipo alla vostra Assemblea per offrire qualche riflessione sul compito della famiglia nella nuova evangelizzazione. Una situazione paradossale Da un lato, si attribuisce un grande valore ai legami familiari, sino a farne la chiave della felicità e il luogo della sicurezza, del rifugio, del sostegno per la propria vita; dall’altro lato, la famiglia è divenuta il crocevia di tante fragilità: i legami vanno a pezzi, le famiglie si disperdono, si dividono, si ricompongono e nello stesso tempo è più difficile costruirla e farla durare tanto che molti preferiscono solo convivere. Anche in Africa non mancano i problemi nonostante che la famiglia africana non ha perduto ancora i suoi grandi valori. Essa resta le fondement de la société, lieu d’éducation où les valeurs culturelles et spirituelles sont transmises. Une famille élargie qui inculque aux enfants les attitudes et comportements communautaires. La famille traditionnelle africaine garde un sens profond de la culture de la vie, qui est sacrée parce que chaque vie est un don de Dieu. Ces valeurs sont bel et bien relevées dans Ecclesia in Africa : «Dans la culture et la tradition africaines, le rôle de la famille est universellement considéré comme fondamental. Ouvert à ce sens de la famille, de l’amour et du respect de la vie, l’Afrique aime les enfants, qui sont accueillis joyeusement comme un don de Dieu. Les fils et les filles de l’Afrique aiment la vie….. Des pratiques contraires à la vie leur sont toutefois imposées par le biais de systèmes économiques qui ne servent que l’égoïsme des riches » (n.43). Fanno riflettere le osservazioni del Professeur Albert TÉVOÉDJRÈ dans son livre Le bonheur de servir, Réflexions et repères: « pour les chrétiens laïcs, dans une Afrique ballottée par des courants divers, défendre la famille, telle qu’elle est voulue par Dieu lui-même, n’est pas seulement un acte de cohérence avec leur foi… c’est préserver les fondements mêmes de la société et de tout vrai développement. Or, les menaces qui pèsent sur la famille aujourd’hui en Afrique sont légion : la dissolution des mœurs, les atteintes à l’unicité du mariage ; le relâchement des liens entre les membres de la famille ; la prolifération des unions de fait, mais aussi la misère, le chômage croissant qui ne permettent pas aux parents d’assumer convenablement leurs responsabilités. Cette thèse est corroborée par le N° 42 de Africa Munus : « En raison de son importance capitale et des menaces qui pèsent sur cette institution – la distorsion de la notion de mariage et de famille elle-même, la dévaluation de la maternité et la banalisation de l’avortement, la facilitation du divorce et le relativisme d’une « nouvelle éthique » – la famille a besoin d’être protégée et défendue, pour qu’elle rende à la société le service qu’elle attend d’elle, c’est-à-dire lui donner des hommes et des femmes capables d’édifier un tissu social de paix et d’harmonie». So che varie conferenze episcopali africane stanno organizzando assemblee e incontri sulla Famiglia. Personalmente ho partecipato, la settimana scorsa, all’assemblea della CERAC tutta dedicata alla Famiglia africana e alle sfide che è chiamata ad affrontare. Ma c’è stato anche un Congrès sur la famille à Libreville au Gabon, un Symposium organisé par la SCEAM au Bénin à l’Institut Jean-Paul II du 14 au 17 juin ayant pour thème : « L’Afrique se prépare pour le Synode de l’Eglise sur la Famille», in Gabon, in Camerun, in Kenia e tanti altri ancora. Questi incontri sono luoghi opportuni per dibattere e far nascere nuove idee e nuove visioni cu come rispondere avec miséricorde aux attentes des enfants, des jeunes, des adultes et des personnes âgées, qui de nos jours ne sont plus une bibliothèque qui brûle, quand ils meurent comme le disait l’illustre écrivain Amadou Hampâte Bâ, mais sont pour certains un fardeau dont on se débarrasse. Et nous savons combien les personnes âgées sont la mémoire d’un pays ou d’un continent. Notre mission de Pasteurs qui connaissent les blessures et les douleurs de leurs brebis, nous affirmons avec force qu’il y a un grand besoin de tisser de fortes relations entre les générations, tisser un filet de solidarité entre les enfants, les jeunes et les personnes âgées en Afrique pour parer à toute crise générationnelle déjà existant ailleurs comme en Europe. Nous ne sommes pas sans ignorer qu’il y a des pressions extérieures sur les familles en Afrique, l’idéologie de la théorie du genre, l’usages des contraceptifs, les pratiques de l’avortement ainsi de suite, sont des coups durs pour nos familles qui tournent leur regard vers nous. Ma ci sono anche tentazion i che vengono dall’interno, come ad esempio il problema della « dote » per le ragazze, i problemi suscitati dalla poligamia, o quelli che seguono una concezione della società troppo etnica, e così oltre. MI hanno fatto riflettere le affermazioni del politologo Achille Mbembe du Cameroun originario del Camerun. In una intervista dans le quotidien Le Messager, a déclaré: Globalizzazione e “individualizzazione” della società Il tema del matrimonio e della famiglia va collocato nell’orizzonte del processo di “individualizzazione” della società contemporanea. L’io sembra prevalere ovunque sul noi e l’individuo sulla società, così pure i diritti dell’individuo avanzare su quelli della famiglia. Diviene normale, anzi logico, che in una cultura individualista si preferisca la coabitazione al matrimonio, l’indipendenza individuale alla dipendenza reciproca. La famiglia, con un capovolgimento totale, più che “cellula base della società” viene concepita come “cellula base per l’individuo”. Ognuno dei due coniugi pensa l’altro in funzione di se stesso. Nella società del benessere è passata l’idea – falsa ma purtroppo ormai consolidata – che sposarsi comporta la triste rinuncia alle meravigliose possibilità che la vita individuale potrebbe riservare. Nel matrimonio ciascuno cerca la propria individuale realizzazione più che la creazione di un “soggetto plurale” che va oltre se stessi e crea un “noi” per costruire assieme un comune futuro. L’io, nuovo padrone della realtà, diviene padrone assoluto anche nel matrimonio e nella famiglia. Il sociologo italiano, Giuseppe De Rita, parla di “egolatria”, di un vero e proprio culto dell’io. E’ ovvio che in tale contesto la famiglia non trovi più un orizzonte nel quale iscriversi e ancor meno considerata nella sua effettiva forza e dignità. Ma con l’indebolimento della “cultura della famiglia”, si incrina anche quella della stessa società. In effetti, non è più lo “stare insieme” ma lo “stare separati” a diventare la principale strategia che gli uomini e le donne di oggi adottano per sopravvivere nelle megalopoli contemporanee. A conferma di questa tendenza è piuttosto preoccupante rilevare, in Europa e negli Stati Uniti, la crescita di famiglie “unipersonali”. Se per un verso assistiamo al crollo delle famiglie cosiddette tradizionali (padre-madre-figli-nonni-nipoti), per l’altro verso vediamo crescere le famiglie formate da una sola persona. Questo vuol dire che la diminuzione dei matrimoni religiosi e di quelli civili non si è trasferita nella formazione di altre forme di convivenza, come ad esempio le cosiddette coppie di fatto o quelle omosessuali, ma nella crescita di persone che scelgono di vivere da sole. Qual è la ragione di fondo? La scelta di stare da soli significa che qualsiasi legame impegnativo viene sentito come insopportabile, troppo pesante. E la conseguenza che ne deriva è la tendenza ad una società che diviene sempre più de-familiarizzata, fatta di individui che se si uniscono lo fanno senza alcun impegno duraturo. Il matrimonio “per sempre”, insomma, non gode più di cittadinanza culturale. Il bisogno di “Famiglia” Eppure, nel profondo del cuore è iscritto l’anelito a legami affettivi duraturi e capaci di aiutare nelle vicende difficili della vita. Tutte le ricerche sociologiche lo rilevano. Questo significa che quando la cultura contemporanea prospetta l’obiettivo dell’autonomia assoluta dei singoli, in realtà inganna perché propone un obiettivo non buono. E comunque - cosa ancor più grave - non prepara ad affrontare le fatiche e i sacrifici che ogni rapporto duraturo e vero richiede. Tale inganno è il risultato di facili ideologie delle quali l’ultima, quella propagandata dalla rivoluzione sessuale, resta tra le più perniciose. Gli effetti sono drammatici: quanti abissi di dolore e di solitudini ci sono nelle nostre città! E’ una vera e propria dittatura dell’individualismo, un potere che scardina affetti, legami e responsabilità. E non fa bene a nessuno. Anzi, scava abissi di dolore soprattutto in coloro che si separano, si allontanano, si combattono. Gli effetti negativi appaiono devastanti sui più deboli. Quel desiderio di stabilità, scritto nelle radici dell’animo umano, viene falciato non appena esce allo scoperto. La cultura dominante non lo sostiene, anzi lo contrasta, lo ricaccia indietro. Ripeto: il bisogno di “familiarità” resta, comunque, saldo. Esso definisce in radice la persona umana: tutti siamo fatti per la comunione, non per la solitudine. Così mostra il racconto biblico della creazione dell’uomo e della donna. Dio – si narra nel libro della Genesi (Gn 2, 18) - dopo aver creato l’uomo, si rese conto che mancava qualcosa a quel capolavoro: “Non è bene che l’uomo sia solo”, disse. E vi pose rimedio creando la donna, una compagnia “che gli fosse simile”. Il cuore di tale racconto è evidente: la vocazione dell’uomo non è la solitudine, ma la comunione. Del resto è così per Dio stesso, che non è solo, ma tre Persone: esse sono diverse l’una dall’altra ma ciascuna ha bisogno dell’altra. Così è per l’uomo. Ciascuno ha bisogno dell’altro per essere completo. Da soli non si può esistere. Nel racconto del capitolo primo della Genesi (Gn 1, 27) l’autore sacro sottolinea questa dimensione comunionale: “Dio creò l’uomo a sua immagine: a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. La persona umana, fin dalle origini, non è un singolo, ma un “noi”: l’io e l’altro sono l’uno complementare dell’altro. L’io senza l’altro non è un’immagine piena di Dio, che è invece il “noi”, l’unione complementare tra l’uomo e la donna. Nella creazione stessa, pertanto, è negata l’autosufficienza e iscritto, invece, il bisogno del “noi”, della comunione. E la famiglia ne è una esemplare realizzazione. Credo sia importante affermare che, nonostante le difficili prove a cui la famiglia è sottoposta, essa resta il genoma insostituibile della società umana. La famiglia principio della società Se vogliamo dare solidità alla società è necessario ripartire dalla famiglia. E’ nella famiglia che si inizia a costruire e promuovere il “noi” dell’umanità. La dimensione “familiare”, che si apprende in famiglia, deve allargarsi alle diverse forme di società fino a giungere alla famiglia dei popoli. C’è come un filo rosso che lega la “famiglia domestica” sino alla “famiglia dei popoli”. I tratti della “familiarità” sono una grande sfida di fronte all’anonimato e all’individualismo delle società contemporanee e delle grandi aree metropolitane. La Chiesa, “famiglia di Dio” e le famiglie cristiane sono chiamate ad un alto compito: divenire fermento di “familiarità” nelle città, nei paesi, neri continenti, nei popoli della terra. Depotenziare la famiglia significa essere in balia dei sentimenti e della loro instabilità e incertezza. Non a caso Benedetto XVI legava l’eclissi della famiglia nella società contemporanea all’eclissi stessa di Dio. La società globalizzata potrà trovare un futuro saldo di civiltà se e nella misura in cui sarà capace di promuovere una nuova cultura della famiglia. Nessun’altra forma di vita, infatti, può realizzare quei beni relazionali che la famiglia crea. Essa è unica nella sua capacità generatrice di relazioni, relazioni tra uomo e donna, tra genitori e figli, tra legami che si allargano all’interno delle famiglie. Cicerone definiva così la famiglia: familia est principium urbis et quasi seminarium rei pubblicae. E’ nella vita familiare si apprende il noi dell’oggi e si pongono le basi per il futuro con la generazione dei figli. Papa Francesco ribadisce che la famiglia “è il luogo dove si impara ad amare, il centro naturale della vita umana. Essa è fatta di volti, di persone che amano, dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita, soprattutto quella più fragile, più debole. Si potrebbe dire, senza esagerare, che la famiglia è il motore del mondo e della storia”. Volendo riprendere l’immagine biblica che ho appena evocato, si potrebbe dire che oggi ci troviamo in un delicatissimo crinale storico che, in maniera sintetica, possiamo così semplificare: da una parte, vi è l’affermazione biblica che dice: “non è bene che l’uomo sia solo” (da cui è originata la famiglia e la stessa società); dall’altra, l’esatto opposto, che la cultura contemporanea propone, ossia: “è bene che l’individuo sia solo” (da cui deriva l’individualismo sociale ed economico). Il Vangelo della Famiglia In tale contesto si staglia per le nostre Chiese la grave e urgente responsabilità di testimoniare il Vangelo della famiglia. E’ urgente affermare che la famiglia è una buona notizia per la nostra società globalizzata e individualista. L’apostolo Paolo quando parlava del matrimonio legandolo a quel “mistero grande” che è il rapporto tra Cristo e alla Chiesa (Ef 5,32), voleva iscriverlo nel disegno salvifico di Dio per l’intera umanità. La Chiesa, la comunità cristiana, è depositaria di questo “tesoro” straordinario che è il matrimonio e la famiglia che ne deriva. E’ un tesoro che trova la sua fonte originaria nel mistero stesso della Trinità, in quel “Noi” che è amore, relazione e dono. Giovanni Paolo II scriveva: “Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell’essere, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano”(Familiaris consortio, 11). Il matrimonio, possiamo dire, è come un “sacramento primordiale” nel piano della creazione e diviene “sacramento di grazia” in quello della redenzione. Dobbiamo essere consapevoli di questo grande tesoro d’amore che Dio ha dato alla sua Chiesa. Non si tratta tanto di una dottrina, quanto di un dono da accogliere. E’ decisivo che i cristiani, in particolare gli sposi e le famiglie cristiane, vivano questo tesoro e lo facciano risplendere come una realtà bella e appassionante. In mondo segnato dalla solitudine e dalla violenza, il matrimonio e la famiglia cristiana debbono essere una “buona notizia” che aiuti quel nuovo umanesimo di cui la società contemporanea ha estremo bisogno. Il momento è peraltro favorevole, non perché sia semplice comunicare tale buona notizia, ma perché è l’unica risposta davvero efficace al bisogno di amore che sale da ogni parte del mondo. Le famiglie cristiane, pur con tutte le debolezze che segnano la loro vita, raccontano tante storie di fedeltà a Dio, talora segnate da eroismo. Queste storie familiari tengono in vita il mondo e la stessa Chiesa, di generazione in generazione, letteralmente. Esse mostrano che la vocazione al matrimonio e alla famiglia realizza il luogo di un’alleanza straordinaria in cui l’attrazione vicendevole diviene anche trasmissione del dono della vita e impegno a custodirla, a farla crescere e ad accompagnarla con amore. Ogni volta che nasce un bambino, una bambina, la famiglia schiude per la società il luogo e il tempo per apprendere una rinnovata amicizia e benevolenza fra le persone. Sono piene di significato queste parole che l’arcivescovo Romero disse nell’omelia della Messa di un prete ucciso dagli squadroni della morte: “Il Vaticano II chiede a tutti di essere martiri, ossia di dare la vita per gli altri. Ad alcuni sino all’effusione del sangue, come a questo prete. A tutti comunque è chiesto di dare la vita per gli altri. Come, ad esempio, fa una madre che concepisce un figlio nel suo grembo, lo custodisce per mesi, poi lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere… Questa madre – concluse Romero - è martire perché sta dando la vita a quel figlio”. Credo che il prossimo Sinodo debba anzitutto suscitare omaggio e ammirazione per le tante famiglie cristiane che vivono – pur con tutti i limiti – questa testimonianza d’amore. La comunità cristiana e la famiglia La famiglia ha bisogno anch’essa di aiuto che la sostenga, anzi che la faccia vivere. Come “non è bene che l’uomo sia solo”, così “non è bene che la famiglia sia sola”. Vi può essere un individualismo familiare che porta all’isolamento. E’ indispensabile promuovere una cultura dell’amore come dono, come servizio per gli altri. Anche la famiglia non deve vivere solo per se stessa, ma per l’edificazione di un oltre. E’ anche per questo che “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie”Gn 2,24). L’amore deposto nel cuore della famiglia spinge ad andare sempre oltre i confini. Ma c’è un dono decisivo per la famiglia cristiana: la Chiesa. La famiglia ha bisogno della Chiesa, della communitas, per non restare in balia delle onde dell’individualismo. In certo senso, la roccia su cui fondare la famiglia è la Comunità cristiana. Nella tradizione della Chiesa è chiarissimo. Basta leggere i Vangeli per vedere i limiti della famiglia quando non permette l’oltre da sé. E’ qui uno dei nodi centrali della “pastorale familiare”. Lo aveva intuito già allora Giovanni Crisostomo quando metteva in correlazione tra la famiglia e la comunità cristiana: tra la “chiesa della casa” (domestica) e la “chiesa della città”. L’una ha bisogno dell’altra. E ambedue sono innervate da quell’amore che porta a non chiudersi in se stesse. Il nuovo contesto culturale e le numerose problematiche ancora irrisolte chiedono alle nostre Chiese il coraggio e l’audacia di riproporre il messaggio alto del matrimonio e della famiglia anzitutto con l’esempio ma anche con una robusta azione pastorale e culturale. C’è urgente bisogno pertanto di una rinnovata pastorale familiare in tutti i suoi aspetti. Ne accenno alcuni. E vorrei partire dalla “iniziazione cristiana”. E’ qui che si snoda il primo compito della famiglia come soggetto della nuova evangelizzazione. Sino ad ora abbiamo sviluppato una pastorale di preparazione ai sacramenti, ma è davvero povera quella della trasmissione e della educazione alla fede. Piuttosto si sta come creando un fossato tra le generazioni. E’ difficile trasmettere non solo la fede ma anche la cultura e le stesse tradizioni. Per la famiglia cristiana si deve riprendere il tema della iniziazione cristiana. Dopo il Battesimo non si deve più interrompere l’incontro del bambino con la comunità. Più che preparare ai sacramenti bisogna appunto “iniziare” alla fede, ossia immergere il bambino nella vita della comunità e aiutarlo a progredire perché cresca “in sapienza, età e grazia”, come Gesù. In tale contesto diviene centrale il rapporto tra la famiglia e la Messa della domenica, tra la famiglia e la lettura della Bibbia, tra la famiglia e l’aiuto ai più poveri, alle famiglie più bisognose. In una rinnovata pastorale familiare vanno favorite le associazioni e i movimenti che aiutano le famiglie a vivere la loro vita cristiana. In tale contesto vanno valorizzati i laici e le donne. E’ quanto mai opportuno che durante la settimana le famiglie vengano sostenute attraverso l’aiuto di tali associazioni. E va ritrovata la capacità di sostenere le famiglie e i loro membri in tutto l’arco della vita, dall’infanzia alla vecchiaia. Ovviamente ha una sua particolare importanza il momento della preparazione al matrimonio. E’ indispensabile aiutare i giovani a comprendere cos’è il matrimonio cristiano e la famiglia cristiana. Tanto spesso vi è una gravissima ignoranza che non aiuta né l’amore né la stabilità. La dimensione religiosa è determinante e va curata con ben maggiore attenzione di quanto accade. Si richiede altresì l’accompagnamento delle giovani famiglie nei loro primi passi. Spesso purtroppo le giovani coppie sono lasciate sole a se stesse soprattutto se si stabiliscono lontano dai luoghi della loro infanzia e giovinezza. E se pensiamo alle grandi città contemporanee ove la solitudine è la regola di vita si comprende quanto sia indispensabile la rete di relazioni. Nelle Chiese locali deve svilupparsi una più ricca e coinvolgente pastorale familiare che preveda la presenza di persone preparate all’accompagnamento delle famiglie in tutto il loro variegato universo. La presenza di sacerdoti, di religiosi e di coppie preparate è una delle priorità che mi auguro emergano dai lavori sinodali. La comunità cristiana, la famiglia e la società E’ decisivo intessere il dialogo con la società di oggi. Penso, ad esempio, alla maggiore consapevolezza della dignità che l’uomo e la donna hanno della propria soggettività, o anche alla valorizzazione della donna anche nella vita della Chiesa. Non dobbiamo esserne succubi, ovviamente, ma offrire una più ricca cultura del matrimonio e della famiglia ad una società che rischia di polverizzarsi in un triste individualismo. Vi sono poi non poche questioni di ordine culturale e politico che non possiamo non affrontare. Penso, ad esempio, alla questione dell’identità di genere, ossia di cosa significhi oggi essere un uomo ed essere una donna. La distruzione della specificità sessuale, proposta dalla nuova cultura di “genere”, trionfante oggi in tutti i contesti internazionali, deve trovare da parte nostra risposte chiare e convincenti. Altri temi dovrebbero essere iscritti in una pastorale familiare che vuole essere più attenta alla realtà contemporanea, da quello dei diritti delle singole persone (dai diritti dei bambini a nascere, a crescere e a vivere nell’amore e nella dignità per l’intero arco della vita, al diritto di morire senza essere uccisi, al diritto dei malati ad essere curati in maniera attenta, al diritto di avere un lavoro degno e sicuro), al diritto della famiglia di non essere sfruttata dalla dittatura del guadagno economico, dal diritto ad avere il riposo e non essere schiavizzati da ritmo del lavoro per produrre senza sosta, e così oltre. E’ un campo vasto e complesso che richiede interventi culturali e politici oltre che spirituali. Ne deve sgorgare una sapienza nuova, una forza nuova, che promuovano e difendano il matrimonio, la famiglia e la vita. Se saremo capaci di avviare assieme questo movimento di promozione e di difesa del matrimonio e della famiglia, potremo coinvolgere anche le altre tradizioni religiose, a partire dall’ebraismo, e gli onesti umanisti, perché questo patrimonio comune dell’umanità possa aiutare i popoli stessi a divenire una famiglia ove i diversi sanno convivere nella pace. Cari amici, è un’azione ardua e complessa, ma è indilazionabile. C’è bisogno di una nuova alleanza tra la famiglia e la Chiesa per mostrare la bellezza del “noi” ad una società intristita nel suo miope orgoglio. E’ un compito alto e assieme affascinate che il Signore pone nelle nostre mani. E non ci farà mancare il suo aiuto.
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