
Suor Abby Avelino - Talitha Kum
Dove viene alzato un muro, tirato un filo spinato, chiusa una porta, si spegne l’umanità e iniziano le tenebre della tratta. Non c’è ragion di Stato che tenga davanti al dramma delle persone costrette a fuggire dai propri Paesi e poi sfruttate e abusate lunga la strada spesso infinita del loro viaggio: sono 50 milioni nel mondo, di cui 12 milioni bambini. Piccoli schiavi in balia della spietatezza di cui sono ancora capaci gli uomini. Immaginate i loro volti, le loro sofferenze. Suor Abby Avelino li immagina ogni minuto, da quando in un passato che sembra lontanissimo ha rinunciato alla sua avviata carriera di ingegnere per occuparsi proprio di loro. In Giappone, dove la mandarono le suore domenicane, ha incontrato il dramma dei bambini delle migranti filippine, abusati ed emarginati in quella terra pur ricca di tradizioni e di diritti. Oggi assiste disarmata a quello dei piccoli coinvolti nei conflitti, dal Medio Oriente all’Ucraina, o respinti lungo le barriere che gli egoismi nazionali stanno innalzando in ogni dove: «Stiamo tornando indietro...» osserva con un filo di commozione. Poi sul volto della coordinatrice internazionale della grande rete Talitha Kum torna il sereno: le parole e l’impegno delle sisters, d’altronde, (6mila sparse in ogni parte del mondo) sono un distillato di speranza e nell’anno del Giubileo che alla speranza è dedicato la loro presenza a Roma, per la settimana che prepara la XI Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di sabato prossimo, non si tratta affatto di un dettaglio. «È il momento di unire le nostre voci e di chiamare tutti ad agire – continua –. La tratta si combatte solo lavorando insieme, con le vittime e i sopravvissuti, affrontandone le cause». E di compiti la suora ne ha per tutti: per i giovani e i giovanissimi, per gli influencer, per cantanti e attori, per leader politici e capi di governo.
Suor Abby, intanto qual è la situazione a livello internazionale?
I numeri sono preoccupanti, lo dicono tutti i report. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un incremento costante del fenomeno della tratta complici i fragilissimi equilibri internazionali: è evidente che là dove si scatena un conflitto, e dove le popolazioni sono costrette a fuggire dalle proprie case, la loro esposizione ai trafficanti di essere umani cresce esponenzialmente. Anche il cambiamento climatico sta avendo un impatto devastante: i disastri naturali e provocati dall’uomo causano lo sfollamento di milioni di persone. Tra queste ultime, molte vivono già in condizioni di povertà e non hanno i mezzi per ricostruire la propria vita, il che li rende facili prede dei trafficanti. Stiamo parlando di 120 milioni di migranti forzati: sono quelli contro cui sempre più spesso i governi puntano il dito, sono quelli che abbiamo visto qualche giorno fa deportati in catene, rimandati nei Paesi da cui sono scappati per sopravvivere. Non sono criminali, sono vittime.
Donne e bambini soprattutto.
È così. Una vittima di tratta su tre, nel mondo, è un bambino. Solo tra il 2019 e il 2022 sono stati oltre 8 milioni quelli coinvolti in abusi e sfruttamento sessuale, per lo più bambine. Il fenomeno – assieme a quello dei matrimoni precoci – è particolarmente drammatico nei Paesi asiatici, ma si sta diffondendo ovunque soprattutto grazie al web: è infatti l’uso massiccio dell’online da parte dei trafficanti a interpellarci oggi. La tratta ha trovato nella rete il suo principale mezzo di adescamento: i più piccoli vengono contattati tramite siti, chat e social network, vengono fatte loro promesse di facile guadagno, li si costringe soprattutto a condividere materiale fotografico e video con atti sessualmente espliciti. Una frontiera su cui sembra impossibile intervenire.
Per questo motivo come Talita Khum avete iniziato a lavorare coi “Giovani ambasciatori”, molti dei quali sono arrivati a Roma in questi giorni da ogni parte del mondo per la Giornata di preghiera riflessione contro la tratta e per incontrare il Papa. Chi sono?
Sono ragazzi e ragazze in prima linea sul fronte della prevenzione, che abbiamo incontrato e formato sulla tratta e che parlano ai propri coetanei del fenomeno utilizzando il loro linguaggio: l’idea è che soltanto i giovani e i giovanissimi, con la loro creatività e con l’uso che fanno dei nuovi mezzi di comunicazione, possano arrivare davvero a creare consapevolezza tra le nuove generazioni sui rischi che si corrono fidandosi di chi offre loro lavoro, magari in un altro Paese. L’unico modo che abbiamo di combattere una piaga così estesa, d’altronde, è quello di fare rete e di coinvolgere la società dal basso: mi fido di un ragazzo o di una ragazza del mio villaggio, ascolto i suoi consigli, sono più coinvolto se ha sperimentato sulla propria pelle un abuso e mi racconta la sua storia. I risultati ci incoraggiano: grazie al contributo attivo e capillare dei Giovani ambasciatori negli ultimi due anni il numero totale di persone che assistiamo è aumentato del 34% e il numero di Paesi in cui siamo operativi del 10%. Siamo arrivati ad aiutare quasi 40mila tra vittime e sopravvissuti in un anno e a coinvolgere nei nostri progetti di formazione e prevenzione qualcosa come 620mila persone tra cui studenti, giovani, educatori, leader religiosi e funzionari governativi, che hanno ricevuto le conoscenze e gli strumenti necessari per combattere a loro volta la tratta, ciascuno nel proprio ambito.

Suor Abby durante la veglia di preghiera dell'anno scorso - Talitha Kum
Cosa non funziona ancora?
La mancanza di politiche serie, capaci di gestire il fenomeno delle migrazioni forzate a partire dalla tutela dei diritti e della dignità umana delle persone. Faccio l’esempio molto concreto di una ragazza africana di 17 anni vittima di tratta che siamo riuscite ad aiutare e a mettere al sicuro dai propri sfruttatori. Sua madre è in Italia, vorremmo poterla portare qui e riunirle, ma da 14 mesi siamo appesi agli ingranaggi a volte incomprensibili della burocrazia e delle leggi che ce lo impedisce. Perché? Il tempo nell’intervento di sostegno a una vittima è tutto: più tempo passa, più alto è il rischio che torni ad essere intercettata dai trafficanti.
Come si può sperare di vincere la battaglia contro la tratta in uno scenario così sconfortante?
Pregando! Siamo qui a Roma per pregare, l’8 febbraio è una giornata di preghiera innanzitutto, perché la preghiera può tutto come ci ha insegnato Santa Bakhita. E poi lavorando insieme, coinvolgendo sempre più persone in quello che facciamo: in questi giorni a Roma lo faremo fermando le persone per strada, raccontando le storie di abuso e di salvezza. Fare rete, essere in tanti, essere dappertutto, significa che in ogni momento posso sollevare la cornetta, chiamare una sorella dall’altra parte del mondo e dirle che c’è una persona in pericolo che ha bisogno di aiuto. Significa che quella sorella può fare lo stesso con me. Soprattutto, significa che una vittima di tratta quell’aiuto lo troverà subito.
Siete una rete di donne, soprattutto. La vostra voce nella Chiesa si fa sentire...
E viene ascoltata. Il potere grande che hanno le donne è proprio questo: dare voce a chi non ne ha, alle minoranze, ai più vulnerabili. Tra cui tante, nel caso della tratta, sono donne. Siamo chiamate come donne a sollevare la testa, siamo chiamate ad agire, a non stare ferme. Questo anche quando siamo vittime. E gli uomini devono lavorare insieme a noi.