martedì 11 ottobre 2016
Il neocardinale Simoni, dalla tortura alla porpora
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Stava ascoltando l’Angelus, come tutte le domeniche alla radio. Ha sentito il suo nome, ma non ci ha fatto caso. Ma poi lo ha raggiunto il nipote Antonio, trafelato e incredulo. «Zio, qui dicono che ti hanno fatto cardinale». Don Ernest Simoni ha provato un immenso tuffo al cuore, ma ha voluto – quasi preteso – un’ulteriore conferma. Insieme hanno chiamato in Vaticano e solo quando dall’altra parte del filo gli hanno detto «sì, è vero, il Santo Padre lo ha appena annunciato», l’anziano, indomito sacerdote albanese ha dovuto arrendersi all’evidenza dei fatti. A 88 anni Francesco lo ha chiamato a far parte del Collegio cardinalizio. Una porpora che premia sia i suoi 28 lunghi, durissimi anni di prigionia (lavori forzati in miniera e nelle fogne di Scutari), sia l’instancabile zelo pastorale dimostrato nella riacquistata libertà e ancora oggi testimoniata sia in patria, sia con i suoi molteplici viaggi in Italia e Stati Uniti per animare le comunità albanesi della diaspora. Persino domenica e ieri, dopo l’iniziale momento di sorpresa, don Ernest – originario di Troshani, un villaggio a pochi chilometri da Scutari – è rimasto esattamente e completamente se stesso. Umile («ma sarò degno di questa porpora, io semplice soldato di Cristo?», le sue prime parole dopo la conferma delle notizia). Sempre a disposizione dei fedeli (domenica pomeriggio, a Pistoia, ha visitato un amico gravemente ammalato, poi è andato a casa di una coppia di giovani sposi in crisi, per pregare insieme a loro, quindi ha celebrato la Messa nella parrocchia retta dal sacerdote albanese don Elia Matjia). Con il pensiero unicamente rivolto a Gesù. «Questo dono del Santo Padre – dichiara ad Avvenire – è per me uno stimolo ulteriore a farmi strumento della salvezza delle anime, nel suo nome. Solo in Cristo c’è la salvezza e oggi il mondo ha più che mai bisogno di questo annuncio». Così anche il secondo giorno da cardinale nominato lo ha trascorso in gran parte in preghiera e con l’unica eccezione di qualche intervista a media cattolici. Ultimo sacerdote vivente tra quelli perseguitati dal regime comunista albanese, don Simoni può davvero fregiarsi del colore cardinalizio. Se infatti quella porpora significa la disponibilità di ogni cardinale a testimoniare Cristo usque ad effusionem sanguinis, il nuovo cardinale il suo sangue l’ha già effuso, nei lunghi anni di prigionia e di lavori forzati, durante i quali fu più volte torturato. Don Ernest venne arrestato, infatti, la sera di Natale del 1963 per il solo  fatto di essere prete e, come ha raccontato al Papa il 21 settembre 2014 (giorno della visita di Francesco a Tirana), gli furono legati i polsi così forte che credette di morire. Quel racconto commosse il Pontefice fino alle lacrime. E quando il 20 aprile scorso papa Bergoglio lo incontrò sul sagrato della Basilica di San Pietro durante l’udienza generale, volle baciargli le mani, dichiarando a chi gli stava vicino: «Questo sacerdote è un martire dell’Albania». La benevolenza di Francesco per l’anziano sacerdote si è poi manifestata anche il 20 settembre scorso ad Assisi, quando durante l’incontro interreligioso lo volle accanto a sé a pranzo. La notizia della porpora è immediatamente rimbalzata anche in Albania e, in particolare a Scutari, diocesi natale di don Ernest. L’arcivescovo di Scutari-Pult, monsignor Angelo Massafra, che domenica era a Montecarlo per la riunione del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha dato immediatamente disposizione di far suonare le campane di tutte le chiese. E ad Avvenire dichiara: «Questa notizia è una “bomba” che ci riempie di gioia, di orgoglio, di sorpresa e di gratitudine verso Dio e papa Francesco per aver valorizzato uno dei martiri viventi della nostra Chiesa». Il presule così tratteggia la figura del nuovo cardinale: «Un sacerdote umile, buono, paziente, che ha sempre detto: “Tutto ciò che ho fatto è stata opera di Dio”. Un uomo dallo zelo pastorale instancabile, che nonostante l’età ancora continua ad essere “missionario” per incontrare le famiglie, portare ovunque la benedizione di Dio, dirimere controversie. Davvero un esempio per tutti i preti giovani». Monsignor Massafra riprende a questo proposito anche una delle “preoccupazioni” attuali di don Ernest. «Spesso egli mette in guardia dalle tentazioni della libertà. E in effetti in Albania, molti pensano a riguadagnare il tempo perduto con il comunismo, accumulando beni in qualsiasi maniera. Noi, grazie all’esempio di don Ernest, dei martiri che verranno beatificati il 5 novembre e di santa Madre Teresa, dobbiamo invece portare il Vangelo in ogni situazione». Anche Matteo Renzi ieri ha elogiato la scelta del Papa. Una scelta per non dimenticare, ha scritto nella sua e-news. Quello del Papa, afferma il premier, «è un gesto che ha valore per i cattolici, ovviamente. Ma che richiama tutti a riflettere sul grande valore della libertà, e della libertà religiosa in particolare».
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