venerdì 5 marzo 2021
In serata diffuso un comunicato dalla Sala Stampa vaticana in cui si riassumono i contenuti dell’udienza concessa giovedì mattina dal Papa al delegato pontificio, padre Cencini, e al priore Manicardi
Il monastero di Bose in una foto di archivio

Il monastero di Bose in una foto di archivio - Boato

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Il decreto singolare del 13 maggio 2020, firmato dal segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, e approvato in forma specifica dal Papa, definiva «con chiarezza orientamenti e modalità» per risolvere il caso Bose, e oggi, a distanza di 10 mesi, Francesco ne ribadisce i contenuti «dei quali chiede l’esecuzione».

Sono le parole di un comunicato diffuso stasera dalla Sala Stampa vaticana in cui si riassumono i contenuti dell’udienza concessa giovedì mattina dal Papa al delegato pontificio, padre Amedeo Cencini, e al priore di Bose, Luciano Manicardi.

Un incontro durante il quale il papa Francesco «ha voluto esprimere al priore e alla comunità la sua vicinanza e il suo sostegno, in questa travagliata fase della sua vita, confermando il suo apprezzamento per la stessa e per la sua peculiarità di essere formata da fratelli e sorelle provenienti da Chiese cristiane diverse».

Una vicenda che il Papa «ha seguito fin dall’inizio con particolare attenzione» e che ha visto l’impegno in prima linea del delegato pontificio, chiamato a far rispettare con prudenza e saggezza i contenuti del decreto. Con l’incontro dell’altro ieri, si legge ancora nel comunicato, Francesco ne ha inteso «confermare l’operato» e l’ha ringraziato «per aver agito in piena sintonia con la Santa Sede, nell’unico intento di alleviare le sofferenze sia dei singoli che della comunità». In conclusione il riferimento esplicito alla decisione già espressa nel maggio dello scorso anno, con la conferma da parte del Papa della «sollecitudine nell’accompagnare il cammino di conversione e di ripresa della comunità secondo gli orientamenti e le modalità definite con chiarezza nel decreto».

Parole che sottolineano l’approvazione per una linea già manifestata in modo esplicito nei mesi scorsi. La decisione di Francesco è definitiva e, per la particolare forma canonica con cui è espressa, non è appellabile. Il decreto – come più volte spiegato – impone al fondatore di Bose, l’ex priore Enzo Bianchi, di allontanarsi dalla comunità «e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti». Stessa imposizione per altri due fratelli di Bose, Goffredo Boselli e Lino Breda. E una sorella, Antonella Casiraghi.

Tutti e tre fin da subito hanno rispettato la decisione. Una situazione dolorosa – travagliata si sottolinea nel comunicato – che è sfociata in un lungo e sofferto discernimento.

Come lungo e sofferto è stato il periodo trascorso finora, in particolare da quando, nel 2017, Enzo Bianchi ha deciso di cedere la guida della comunità ed è stato eletto al suo posto Luciano Manicardi. Una svolta consensuale, anzi auspicata dallo stesso fondatore, che però non ha dato i frutti sperati. Anzi si è tradotta in frequenti momenti di incomprensione «per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno», come spiegato a suo tempo dalla stessa comunità.

Cosa non ha funzionato? Quando sarà possibile leggere integralmente il decreto – oggi secretato in segno di rispetto verso le persone a cui è indirizzato – si comprenderanno nel dettaglio le gravi vicissitudini di questi anni. Ma tutto è apparso chiaro fin dall’inizio ai visitatori apostolici – la delegazione era composta dall’abate Guillermo Leon Arboleda Tamayo, da suor M. Anne-Emmanuelle Devéche, abbadessa di Blauvac e dallo stesso padre Cencini – che dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 sono stati a Bose raccogliendo le testimonianze di tutti i fratelli.

Da quel dossier è nato il decreto dello scorso anno di cui ora il Papa torna a ribadire i contenuti e a chiedere l’esecuzione senza più ritardi. Lo scorso gennaio la vicenda sembrava giunta a una svolta decisiva, con l’accordo per il trasferimento dell’ex priore a Cellole San Gimignano, in una comunità che Bose avrebbe ceduto in comodato a Bianchi. Ma anche quell’ipotesi era sfumata per la volontà del fondatore di non allontanarsi dalla comunità.

Ora le parole del Papa sembrano chiudere in modo definitivo la vicenda, almeno dal punto di vista formale. Sugli aspetti umani e spirituali – tutt’altro che trascurabili – sulle conseguenze ecclesiali e su ciò che potrà derivarne, la storia è ancora tutta da scrivere.

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