giovedì 17 agosto 2023
Per il presidente dell’Aifo «la sua battaglia per il recupero dei malati dentro le loro comunità e le parole contro la guerra sembrano trovare eco nella “Fratelli tutti” di Francesco»
Follereau a colloquio con una malata di lebbra in uno dei centri medici

Follereau a colloquio con una malata di lebbra in uno dei centri medici - Sito Aifo

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Un filantropo? Un visionario? Un profeta moderno? Forse un po’ di tutto questo. Stiamo parlando di Raoul Follereau, giornalista e poeta francese che ha legato il proprio nome per sempre alla lotta contro la lebbra nel mondo, e di cui oggi ricorrono i 120 anni dalla sua nascita, il 17 agosto 1903 a Nevers. Fu proprio per un servizio giornalistico in Africa - tra l’altro sulle orme del beato Charles de Foucauld - che Follereau si imbattè nella terribile piaga della lebbra: uomini e donne malate costrette a vivere isolati e privi di cure, con una malattia che progressivamente consuma il loro corpo.

Siamo nel 1935 alla vigilia del secondo conflitto mondiale. E in piena guerra nel 1942 lancia l’iniziativa «L’ora dei poveri», una raccolta fondi. Solo a guerra terminata l’azione di Follereau sul fronte della lebbra diventa massiccia, dando vita a una fondazione. Sarà per molto tempo l’unica voce ad alzarsi in difesa dei malati e della loro dignità di esseri umani. Nel 1954 promuove la Giornata mondiale dei malati di lebbra, che ancora oggi viene celebrata l’ultima domenica di gennaio in ben 150 Nazioni.

A raccogliere il testimone di questa battaglia - tutt’altro che vinta visto che vi sono 3 milioni di persone malate nel mondo - è l’Associazione italiani amici di Raoul Follereau (Aifo), che oggi si unisce al ricordo dell’anniversario della nascita del loro ispiratore e modello (morto a Parigi il 6 dicembre 1977). «Il gesto di abbracciare questi malati compiuto da Follereau - racconta Antonio Lissoni presidente nazionale di Aifo - è stato davvero dirompente: andava contro una politica di isolamento e segregazione che queste persone hanno dovuto subire. Quell’abbraccio nel tempo li ha riportati per la gran parte nella vita sociale e civile».

Oggi la lebbra è curabile e gestibile grazie ad alcuni medicinali che vengono distribuiti ai malati, ma «il nostro obiettivo è quello di ricollocarli all’interno delle loro comunità come persone attive e partecipi». Già, perché l’azione di Follereau prima e di Aifo oggi « non è solo quello di curare la malattia, ma di porre al centro dell’azione il malato, la persona e di combattere contro ogni forma di discriminazione e aiutare coloro che sono stati resi disabili dalla malattia ad essere soggetti attivi nella comunità». Insomma una battaglia «contro lo stigma che questa malattia lascia su chi ne è affetto, e a favore della loro piena inclusione». Un obiettivo che fa da filo rosso dei 54 progetti che Aifo ha messo in campo in 11 Paesi nel mondo coinvolgendo oltre 236mila persone.

Nel suo lavoro, l’Aifo ha deciso di coinvolgere anche personale che abbia vissuto sulla propria pelle il dramma della malattia. «Se a un disabile a spiegare come potersi riprendere nelle amni la propria vita è un altro disabile, il massaggio acquista un valore molto potenziato» sottolinea il presidente Lissoni. E poi c’è l’attenzione alle comunità in cui i malati vivono. «Lavoriamo con organizzazioni locali che conoscono il territorio e possono esserci di aiuto per comprendere bisogni, necessità e attese di quella realtà civile e sociale, individuando risorse attive nella comunità».

Passaggio tutt’altro che superfluo. «In Guinea Bissau nella zona di Gabu stiamo operando contro la mortalità infantile: un morto ogni 19 parti a fronte di uno ogni 20mila in Occidente - racconta Lissoni -. Ma ci siamo resi conto che dietro a tutto questo vi era anche la piaga delle violenze e degli stupri anche sulle adolescenti. Ecco che abbiamo messo in campo un’opera di aiuto completo a questo donne e ragazzine. E allo stesso tempo una campagna di sensibilizzazione presso le autorità con denunce e arresti».

Per non parlare dell’assenza per metà della popolazione mondiale di strumenti sanitari di base, come l’acqua corrente. «Formiamo infermieri e volontari che vadano nei villaggi per controllare da una parte la situazione sanitaria e dall’altra perché aiutino la gente a imparare alcune azioni che possono salvare loro la vita».

Un grande dispiegamento di forze, ma soprattutto un grande sogno portato avanti nella realtà con la determinazione e forse un pizzico di utopia, da Raoul Follereau, che arrivò a chiedere a Usa e Urss di donargli ognuno un bombardiere, il ricavato della cui vendita sarebbe stato sufficiente a coprire un piano contro la lebbra.

Una visione che il giornalista francese condivisi anche con altre figure carismatiche come l’arcivescovo Helder Camara, pastore di Olinda e Recife, nonchè presidente del Consiglio episcopale latinoamericano. Forse anche per questo alcuni degli obiettivi che Follerau si prefiggeva si possono trovare in diversi passaggi dell’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco, che in quel clima latinoamerico si è formato.



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