giovedì 17 aprile 2025
Dodici ulivi. Carichi di frutti che nessuno raccoglie. I futuri preti di Brescia hanno chiesto di poterli prendere. Con quelli delle piante del Seminario, affidate alla loro cura, ora sono olio santo
A sinistra: il vescovo di Brescia, Pierantonio Tremolada, riceve l'olio ricavato dalle olive del Seminario diocesano e di un ospedale cittadino, raccolte dai seminaristi. A destra: un seminarista impegnato nella raccolta delle olive

A sinistra: il vescovo di Brescia, Pierantonio Tremolada, riceve l'olio ricavato dalle olive del Seminario diocesano e di un ospedale cittadino, raccolte dai seminaristi. A destra: un seminarista impegnato nella raccolta delle olive

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L’Olio degli Infermi? Fatto con le olive delle dodici piante di un ospedale di Brescia. Che nessuno mai raccoglieva. E che finivano ogni anno tra i rifiuti. Finché i seminaristi della diocesi lombarda non hanno notato quegli ulivi dimenticati e i loro frutti ormai maturi. E hanno chiesto di poterli prendere. Perché abbiano nuova vita. E con il loro olio – consacrato oggi in Cattedrale, alla Messa Crismale, dal vescovo Pierantonio Tremolada – si possa dare sostegno e consolazione agli ammalati. Alla vita fragile e ferita, nel corpo e nello spirito, che invoca cura. Salute. Salvezza.

È una storia semplice ma illuminante, quella che arriva dalla terra di Paolo VI. È un gesto umile eppure potente, quello attuato da quel gruppo di giovani in cammino sulla via del sacerdozio. Un modo per dire no, concretamente e non a parole, alla “cultura dello scarto” tante volte denunciata da papa Francesco. Ma quel gesto, quella storia, non nascono dal nulla.

«In seminario abbiamo una decina di ulivi. Sono affidati alla nostra cura. E siamo noi a raccogliere le loro olive, dalle quali si ricava un olio genuino», racconta Davide Milini, 28 anni, allievo di seconda teologia del Seminario diocesano “Maria Immacolata” guidato dal rettore don Sergio Passeri. «Da alcuni anni ci facciamo carico non solo della cura del verde – concimare, potare, raccogliere e così via – ma anche di altri servizi concreti: dalla biblioteca da riordinare alle stanze da imbiancare alle staccionate da sistemare… È uno stile che i nostri formatori hanno voluto dare alla vita in seminario, così che non diventi una “bolla”, un mondo a parte, per privilegiati. Il lavoro manuale, la fatica fisica come chiave per crescere: perché diventare prete e fare il prete non è solo studio e impegno intellettuale, ma coinvolgimento di tutta la persona. E quando saremo preti, ci dedicheremo a persone che vivono ogni giorno la dimensione e le fatiche del lavoro».

Ottobre 2024. «Noi seminaristi siamo invitati a fare visita agli ammalati di un ospedale della città e a condividere con loro un’occasione di preghiera – riprende Davide –. Nel giardino dell’ospedale vediamo dodici ulivi carichi di frutti maturi. Che mai nessuno raccoglie, ci viene detto. Parliamo con i giardinieri, chiediamo il permesso di prenderli. Lo otteniamo. Così, alle olive del seminario, stavolta si sono aggiunte le olive dell’ospedale. E un litro dell’olio che ne è stato ricavato, lo abbiamo consegnato al nostro vescovo perché, assieme all’altro olio donato alla diocesi, possa essere consacrato come Olio degli Infermi».

La consegna dell’olio a Tremolada, ricorda Davide, «è avvenuta giovedì scorso, 10 aprile, quando il vescovo è venuto a pranzo in seminario. Sì, era contento di questo gesto, che ha permesso di trasformare il frutto scartato di piante dimenticate in “tesoro” per tutti – com’è l’olio per il sacramento, strumento per l’azione della grazia: un tesoro che ora restituiamo agli ammalati di quell’ospedale e di tutti i luoghi di cura della diocesi». Con un gesto che, in controluce, è anche invito a riscoprire il valore autentico di un sacramento così spesso incompreso (e malcompreso) come l’Unzione degli infermi.

«Dove la sofferenza è di casa, ogni giorno tanti uomini e donne si prendono cura silenziosamente e nascostamente dei malati, divenendo per loro un segno concreto di speranza. Qui, anche la natura ha continuato il suo lavoro silenzioso, offrendo frutti insperati e inaspettati», riflette Damiano Mondini, 31 anni, anche lui in seconda teologia. «Nel Vangelo di Matteo, nell’orto del Getsemani, Gesù prega fra gli ulivi, nella vigilia di una Passione dolorosa che conduce nondimeno alla speranza della Risurrezione». Ebbene: pure gli ulivi dell’ospedale, «silenziosi testimoni di una rinascita possibile, ricordano che la vita sa farsi strada anche attraverso le crepe della fragilità umana. Non è solo un’immagine suggestiva: è la realtà concreta di una natura che, pur trascurata, continua a generare».

«Siamo di fronte al segno di una comunità cristiana che si riconosce corresponsabile della vita, e si dimostra capace di vedere e raccogliere frutti laddove paiono assenti – annota Damiano, che ha affidato il suo pensiero al settimanale diocesano La Voce del Popolo –. Come ci ricorda la sapiente tradizione della Chiesa, l’olio è segno della consolazione e della forza dello Spirito Santo. Usato nei sacramenti per sanare e ungere, diventa carezza di Dio per chi soffre. E allora questo piccolo progetto, nato quasi per caso da una felice intuizione, si trasforma in parabola: dove l’uomo è tentato di chiudersi sotto il peso della malattia e della prova, la fede sa intravedere una promessa di vita nuova. Una promessa di vita eterna incarnata dal frutto dell’“olivo verdeggiante nella casa di Dio” (Salmo 52, 10). Forse è proprio questo il messaggio più profondo che l’esperienza di questi “ulivi dimenticati” ci consegna: l’invito a non lasciar cadere a terra nessuna possibilità di bene. A custodire e raccogliere, con gratitudine, ogni frutto che la Provvidenza ci affida, anche e soprattutto quando cresce in luoghi inattesi. Perché anche dove l’uomo si distrae, Dio matura».


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