martedì 8 agosto 2023
Il bilancio nelle parole del responsabile della pastorale giovanile Cei. «Va tenuta viva la voglia dei ragazzi. Diamo loro spazio e non stanchiamoci di accompagnarli»
Don Michele Falabretti

Don Michele Falabretti - Cristian Gennari

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Incontro, amicizia, scoperta. Sono tre le parole più utilizzate durante la Gmg di Lisbona appena conclusa. Incontro, dopo le distanze imposte dalla pandemia. Amicizia, perché i ragazzi che frequentano gli oratori hanno esteso l’invito anche chi non va spesso in chiesa, ma “è bello esserci”. Scoperta, perché l’ultima Gmg in Europa si era tenuta nel 2016 a Cracovia e questa generazione non ne aveva mai vissuta una. Com’è dunque andata questa avventura portoghese? Ne parla don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale Cei di pastorale giovanile, e anima dell’evento che ha radunato 65mila italiani. «È andata bene, l’ultima Veglia è stata faticosa ma ci ha caricati di nuove energie. Non abbiamo avuto infortuni troppo gravi e anche questo è un aspetto importante. C’è sempre la sorpresa dell’esperienza, i ragazzi sono entrati in comunicazione con culture diverse. I portoghesi che ci hanno ospitato hanno ritmi e tempi diversi, però mi sembra che le relazioni siano sempre state molto buone».

Le suore Dorotee che hanno aperto il loro istituto per dare spazio a Casa Italia sono state fondamentali. C’erano vari servizi, dal medico al funzionario dell’ambasciata per chi ha perso i documenti, ma anche acqua fresca e caffè italiano…

La scuola dell’infanzia ed elementare delle suore Dorotee della Frassinetti è proprio vicina al parco Edoardo VII, dove si sono tenuti alcuni degli appuntamenti con il Papa. Hanno lasciato che la loro struttura diventasse qualcos’altro ed è stata per noi una vera casa.

Che cosa portano con sé i ragazzi che tornano in Italia?

Me lo chiedono in tanti e continuo a essere convinto la parola chiave sia “incontro”. Questa è la prima estate senza l’idea che trovarsi potesse significare il rischio del contagio. E l’incontro, che è esattamente all’opposto del tenersi a distanza, affascina e prende i ragazzi.

Che cosa si aspetta che accada a settembre nelle diocesi e nelle parrocchie?

Mi auguro che si sfrutti la voglia di questi giovani di esserci l’uno per l’altro. Occorre che gli adulti non li abbandonino a loro stessi, che qualcuno li convochi e offra altre esperienze di vita e di fede. Forse così quello che hanno vissuto in questo cammino continueranno a viverlo anche attraverso il racconto che faranno a chi è rimasto in Italia.

Lei con Lisbona è alla quarta Gmg dopo Rio (2013), Cracovia (2016) e Panama (2019). Quale insegnamento ha tratto nell’organizzare questi eventi mondiali?

Penso che, se vengono visti solo un televisione, eventi simili rischiano di non essere compresi sino in fondo. Chi era in Italia a seguire la Messa con il Papa di domenica al parco della Grazia non avvertiva il caldo che sentivamo noi sotto il sole. Quello che si vive durante una Gmg è qualcosa di molto forte. Nella spianata c’erano giovani che stavano facendo un’esperienza di vita. Chi c’era ha cercato di informarsi, ha trovato i soldi per iscriversi, magari convincendo mamma e papà che fosse un’esperienza da provare. Il grande evento è stato vissuto e mi sembra che le Gmg continuino a essere una forte provocazione per i giovani.

Ultima questione. Lei è uno dei responsabili di pastorale giovanile Cei più longevi. Il doppio mandato, più la proroga per preparare Lisbona. Che cosa le lascia questa esperienza?

Non sono “uno dei”, ma il più longevo. Il Servizio nazionale ha trent’anni di vita – è nato esattamente quando diventavo prete – e 11 li ho vissuti io. Insomma, avendo trascorso trent’anni con e per i giovani, mi è difficile riassumere quello che provo. Però, l’altro giorno è passato un educatore e mi dice che è stanco. Guarda, replico, sono 30 anni che faccio queste cose. Risponde: per me è la prima, ma sarà anche l’ultima. E tu dopo 30 anni sei ancora qui? Mi guardava con un’aria quasi spaventata. Ma se noi adulti perdiamo la passione per la cura educativa, è inutile che ci facciamo mille domande quando succedono fatti che hanno per protagonisti negativi i giovani. Accettare la fatica educativa richiede di metterci l’anima e il cuore, per alcuni è molto difficile.

Quindi lei continuerà a far fatica?

Non lo so, sono solo convinto che le fatiche siano parte di noi e di quello che dovremmo essere come educatori, preti, adulti. In definitiva è la richiesta di spenderci per il Vangelo.

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