venerdì 14 luglio 2023
Soprattutto a Gerusalemme sono numerosi i gesti di disprezzo verso i religiosi cristiani da parte di estremisti legati all’ebraismo ultraortodosso
Gerusalemme

Gerusalemme - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Sandali, saio francescano e cappuccio, Yossi Eli, un giornalista del canale televisivo israeliano Channel 13, ha voluto vivere un giorno da frate a Gerusalemme. Nessuna conversione improvvisa, piuttosto il desiderio di documentare in presa diretta gli sputi e i gesti di disprezzo anticristiano che da un po’ di tempo a questa parte si stanno moltiplicando nella città santa ai danni di suore e religiosi cristiani, soprattutto ad opera di ebrei ultraortodossi. Accompagnato da un vero francescano, fra Alberto Pari (e con il permesso dei superiori della Custodia di Terra Santa), Eli si è avventurato per le vie della città vecchia munito di telecamera nascosta e ha semplicemente percorso gli itinerari che ogni giorno decine e decine di religiosi cristiani delle varie confessioni percorrono per recarsi al Sepolcro o per raggiungere i rispettivi conventi. Il risultato? Appena cinque minuti dopo essere uscito dal convento di San Salvatore, il giornalista è stato fatto bersaglio di un primo sputo. Diversi nelle ore seguenti gli episodi simili, anche da parte di militari e persino da un bambino.

Il reportage televisivo in ebraico, andato in onda sabato 24 giugno, oltre a mostrare le immagini degli sputi ricevuti, ha ricostruito gli episodi di intolleranza anticristiana e di vandalismo degli ultimi mesi. Molti dei quali hanno avuto eco internazionale: la dissacrazione a gennaio di diverse tombe nel cimitero luterano di Gerusalemme per mano di due coloni ebrei; lo sfregio ad una statua del Cristo da parte di un estremista ebreo nella chiesa del convento francescano della Flagellazione; un graffito con il consueto slogan “Morte ai cristiani” sul muro di un convento armeno; la devastazione di una sala parrocchiale dei maroniti a Ma’alot in Galilea; un vero e proprio attacco, a maggio, da parte di ultra-ortodossi e ultra-nazionalisti (guidati dal vicesindaco di Gerusalemme Aryeh King), ai danni di pellegrini evangelici che pregavano all'aperto nella città vecchia…

Questi solo gli episodi eclatanti. Poi c’è la quotidianità, fatta appunto di sputi e violenze verbali di ogni tipo. I luoghi dove accadono con più frequenza questi atti sono la Via dolorosa, nei pressi della Flagellazione, il Monte Sion e la basilica della Dormizione, il quartiere armeno, che gli ebrei osservanti attraversano spesso per raggiungere il Muro Occidentale. La maggior parte delle molestie non viene però denunciata, perché è impossibile identificare gli autori. In più, religiosi e religiose – molti stranieri - temono, a causa del clamore mediatico che si potrebbe sollevare, di perdere il permesso di soggiorno nel Paese.

Inutile dire che il fenomeno non riguarda il popolo d’Israele tout court, ma una fetta di estremisti religiosi cristallizzati in vecchi pregiudizi. Una questione che preoccupa i più alti vertici dello Stato, se qualche giorno fa, il 9 luglio, in un evento pubblico in memoria del fondatore del movimento sionista Theodor Herzl, il presidente d’Israele Yitzhak Herzog, ha sentito il bisogno di «condannare fermamente la violenza, in tutte le sue forme, compiuta ad opera di un piccolo gruppo di estremisti contro i luoghi santi della fede cristiana, e contro il clero cristiano in Israele in generale, e a Gerusalemme in particolare. Ciò include sputi e profanazione di tombe e chiese. Un fenomeno grave (…), un male perverso e una totale vergogna per noi come società e come Paese».

Già nel 2009 le autorità civili avevano indotto il tribunale della comunità degli haredim, gli ebrei ultraortodossi, a condannare questa pratica rivolta ai «gentili». E anche recentemente, da parte delle autorità religiose ebraiche, qualche presa di posizione c’è stata: il rabbino capo sefardita di Gerusalemme Shlomo Amar ha condannato gli attacchi ai cristiani, affermando che sono atti «severamente vietati. Non ci è permesso denigrare alcun uomo che è stato creato a immagine di Dio». Ma poi lo stesso rabbino sefardita si è dissociato da un convegno pubblico intitolato “Perché (alcuni) ebrei sputano sui gentili?” che si doveva tenere il 16 giugno presso il Museo della Torre di Davide nella città vecchia. Convegno che poi, per pressioni politiche, è dovuto migrare presso il non lontano seminario armeno. Nel corso del convegno sono state analizzate anche le possibili radici storiche del fenomeno. Secondo alcuni degli studiosi intervenuti, l’abitudine degli ebrei di sputare contro i gentili (cioè i non ebrei) in segno di disprezzo e per allontanare da sé l’impurità risalirebbe all’epoca delle crociate. In contesti come quello europeo, in cui gli ebrei erano in minoranza, lo sputo dimostrava disprezzo, ma anche coraggio contro l’oppressione. Un atto interiorizzato a tal punto che, anche se maggioranza in Israele, taluni ebrei infliggono questo trattamento indifferentemente a chi è identificato come cristiano (e quindi oppressore).

Al proposito, la professoressa Yisca Harani, ebrea, docente universitaria, impegnata nel dialogo ebraico-cristiano, mette in guardia dalle generalizzazioni, ma è viceversa convinta che il problema vada affrontato in maniera risoluta. Per questa ragione si è fatta promotrice di un progetto che coinvolge una settantina di volontari nella raccolta di testimonianze relative alle umiliazioni contro i cristiani a Gerusalemme. L’idea è di far conoscere questa documentazione alle istituzioni civili e al governo, per «liberare la città dagli sputi»

Di fronte a un clima che non accenna a rasserenarsi, i francescani di Gerusalemme hanno deciso perciò di acconsentire alla candid camera del giornalista di Channel 13, che ad ogni episodio di disprezzo non ha esitato a togliersi il saio e a qualificarsi, riscontrando in qualche caso imbarazzo, in altri qualche ulteriore insulto. Nel servizio, oltre alle tante voci di testimoni, anche una intervista al padre Custode fra Francesco Patton, che punta il dito contro il vero brodo di coltura di questo fenomeno. «Quando il linguaggio della politica diventa sempre più violento, quando il tema dell’identità viene brandito come una clava contro l’altro, il diverso da te, questi episodi non fanno che moltiplicarsi».

Il servizio, dopo la sua messa in onda, ha avuto ampia eco su media israeliani e alcuni esponenti della Knesset, il parlamento, si sono detti disponibili a incontrare i leader cristiani per aprire un dialogo. Inutile dire che l’unica strada possibile è un cambiamento di mentalità e di prospettiva, che parte da un sincero desiderio d’incontrarsi e conoscersi.

«Se abbiamo in mente un Dio che vuole distruggere tutto ciò che non è perfettamente ortodosso, saremo portati a fare questo e a insegnarlo ai bambini – spiega fra Matteo Munari, dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme –. Ma se conosciamo un Dio che è misericordia, che è addirittura disposto ad accettare su di sé gli sputi dell’uomo per amore, allora comincia una pagina nuova».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: