
Papa Prevost durante l'udienza giubilare - Reuters
«In questi giorni giungono notizie che destano molta preoccupazione. Si è gravemente deteriorata la situazione in Iran e Israele. In un momento così delicato, desidero rinnovare un appello alla responsabilità e alla ragione». Così Leone XIV, al termine dell’udienza giubilare di stamani, ha dato voce all’ansia e alle attese di pace del mondo di fronte all’ultima, grave crisi scoppiata nello scenario internazionale. «L’impegno per costruire un mondo più sicuro e libero dalla minaccia nucleare va perseguito attraverso un incontro rispettoso e un dialogo sincero per edificare una pace duratura, fondata sulla giustizia, sulla fraternità e sul bene comune», ha affermato papa Prevost dalla Basilica di San Pietro. «Nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell'altro. È dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace, avviando cammini di riconciliazione e favorendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti!». Parole pronunciate dopo la catechesi che ha visto il Papa spiegare, alla scuola di Ireneo di Lione, che «sperare è collegare», per chiedere infine: «Torniamo a costruire ponti dove oggi ci sono muri. Apriamo porte, colleghiamo mondi e ci sarà speranza».
«Sperare è collegare»: la lezione di Ireneo di Lione
Alle 10 di questa mattina - 14 giugno - la Basilica Vaticana ha accolto l’udienza giubilare nel corso della quale Leone XIV ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli. Il Pontefice ha incentrato la catechesi sul tema “Sperare è collegare. Ireneo di Lione (Lettura 1Gv 2,24-25)”. L’udienza si è conclusa con la recita del “Pater Noster” e la benedizione apostolica.
«Continuiamo il cammino avviato, come pellegrini di speranza!», ha esordito Leone XIV riprendendo le speciali udienze giubilari che papa Francesco aveva iniziato nello scorso mese di gennaio e proponendo, ogni volta, un aspetto peculiare della virtù teologale della speranza e una figura spirituale che ne ha dato testimonianza. «Ci raduna la speranza trasmessa dagli Apostoli fin dal principio. Gli Apostoli hanno visto in Gesù la terra legarsi al cielo: con gli occhi, gli orecchi, le mani hanno accolto il Verbo della vita. Il Giubileo è una porta aperta su questo mistero. L’anno giubilare collega più radicalmente il mondo di Dio al nostro. Ci invita a prendere sul serio ciò che preghiamo ogni giorno: “Come in cielo, così in terra”. Questa è la nostra speranza. Ecco l’aspetto che oggi vorremmo approfondire: sperare è collegare».
Il vescovo Ireneo di Lione, uno dei più grandi teologi cristiani, «ci aiuterà a riconoscere come è bella e attuale questa speranza». Nato in Asia Minore, si formò tra quanti avevano conosciuto direttamente gli Apostoli. Venne poi in Europa, «perché a Lione già si era formata una comunità di cristiani provenienti dalla sua stessa terra. Come ci fa bene ricordarlo qui, a Roma, in Europa! Il Vangelo – scandisce il Papa – ci è stato portato in questo continente da fuori. E anche oggi le comunità di migranti sono presenze che ravvivano la fede nei Paesi che le accolgono. Il Vangelo viene da fuori. Ireneo collega Oriente e Occidente. Già questo è un segno di speranza, perché ci ricorda come i popoli si continuano ad arricchire a vicenda».
«Pellegrini di speranza se creiamo ponti fra i popoli»
Ireneo, però, ha un tesoro ancora più grande da donare, sottolinea il Pontefice. Le divisioni dottrinali che incontrò in seno alla comunità cristiana, i conflitti interni e le persecuzioni esterne «non lo scoraggiarono. Al contrario, in un mondo a pezzi imparò a pensare meglio, portando sempre più profondamente l’attenzione a Gesù. Diventò un cantore della sua persona, anzi della sua carne. Riconobbe, infatti, che in Lui ciò che a noi sembra opposto si ricompone in unità». Ecco il punto: «Gesù non è un muro che separa, ma una porta che ci unisce. Occorre rimanere in lui e distinguere la realtà dalle ideologie».
Ebbene: «Anche oggi le idee possono impazzire e le parole possono uccidere. La carne, invece, è ciò di cui tutti siamo fatti; è ciò che ci lega alla terra e alle altre creature. La carne di Gesù – è l’invito del Papa – va accolta e contemplata in ogni fratello e sorella, in ogni creatura. Ascoltiamo il grido della carne, sentiamoci chiamare per nome dal dolore altrui. Il comandamento che abbiamo ricevuto fin da principio è quello di un amore vicendevole. Esso è scritto nella nostra carne, prima che in qualsiasi legge».
Ireneo, dunque, anche al tormentato mondo di oggi si offre quale «maestro di unità» e «ci insegna a non contrapporre, ma a collegare. C’è intelligenza non dove si separa, ma dove si collega. Distinguere è utile, ma dividere mai. Gesù è la vita eterna in mezzo a noi: lui raduna gli opposti e rende possibile la comunione. Siamo pellegrini di speranza, perché fra le persone, i popoli e le creature occorre qualcuno che decida di muoversi verso la comunione. Altri ci seguiranno. Come Ireneo a Lione nel secondo secolo – ha affermato infine Leone XIV – così in ognuna delle nostre città torniamo a costruire ponti dove oggi ci sono muri. Apriamo porte, colleghiamo mondi e ci sarà speranza».