domenica 22 luglio 2018
La riflessione su amore e fecondità mezzo secolo dopo il documento di Paolo VI (25 luglio 1968) ha permesso di rimettere al centro una questione che tocca da vicino la vita delle persone
Il dibattito su «Humanae vitae». Un momento provvidenziale
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Ora che l’anniversario dei 50 anni di Humanae vitae sta per compiersi, lo possiamo dire con serenità di giudizio. La ricorrenza è stata davvero un momento provvidenziale. Un cammino che ha permesso di tornare a riflettere senza tabù e senza falsa retorica sul rapporto tra amore e fecondità alla luce delle parole della Chiesa. Quelle di ieri, quelle di oggi e quelle che saranno proposte da qui in avanti anche grazie ai contributi di chi ha non ha rinunciato a formulare ipotesi rinnovate, a voler capire, indagare, interrogare testimoni e documenti.

Un percorso arricchito dagli sforzi di molti esperti che hanno colto lo spunto offerto dall’anniversario per riaprire un dibattito che sembrava inopportuno ma che era ormai ineludibile, alla luce della distanza che ormai divide la vita della coppie e le indicazioni normative per quanto riguarda la regolazione delle nascite. Prenderne atto, tentare di comprenderne le ragioni dal punto di vista storico, pastorale e umano, non è stata soltanto una scelta di parresia, ma anche di carità. Forse è arrivato il momento di riconoscere che la pretesa di riproporre indicazioni non solo ignorate ma di cui la maggior parte delle coppie cristiane non riesce più a comprendere le ragioni etiche, rischia di apparire in contrasto con quel principio di realtà – che è poi la ricerca del bene possibile – su cui deve fondarsi ogni percorso pastorale.

Le risposte al doppio questionario dei due Sinodi sulla famiglia (2014-2015) hanno per esempio mostrato, a livello mondiale, una rimozione collettiva della contraccezione come problema. E si tratta di un’evidenza su cui riflettere non per puntare il dito sulle coppie (98-99%) che per motivi culturali, ambientali, per stili di vita, per cause patologiche, per tanti altri motivi non riescono o non possono seguire gli schemi previsti dai “metodi naturali”, ma per guardare avanti secondo quel dinamismo più volte auspicato da papa Francesco. Da qui la grande questione: giusto valutare se e come sviluppare coerentemente la dottrina di Humanae vitae alla luce del nuovo paradigma introdotto da Amoris laetitia, ma anche dei risultati offerti dalla scienza, della nuova sensibilità proposta dall’ecologia integrale, dal rispetto delle coscienze e, non da ultimo, di quel sensus fidelium che è luogo teologico di manifestazione dello Spirito?

Le novità storiche. Ne sono arrivate davvero tante. Due soprattutto meritano di essere ricordate. La pubblicazione del dossier riservato del futuro papa Luciani, cautamente aperturista sulla possibilità di ammettere la contraccezione chimica. E poi la scoperta di un’enciclica già approvata dallo stesso Paolo VI e addirittura già stampata, la De nascendae prolis, di cui lo stesso Pontefice bloccò la pubblicazione perché troppo prescrittiva, ispirata a una teologia quasi preconciliare. Per quanto riguarda il dossier di Albino Luciani, allora vescovo di Vittorio Veneto, ne ha parlato su queste pagine lo scorso 13 giugno Stefania Falasca. Il documento era stato preparato dal futuro pontefice su indicazione della Conferenza episcopale del Triveneto. Un documento di cui era nota l’esistenza e l’orientamento possibilista verso l’evoluzione della dottrina sulla regolazione delle nascite. Si ignoravano invece i contenuti che ora si possono leggere integralmente nel volume ex documentis scritto dalla stessa Falasca con Davide Fiocco e Mauro Velati, “Albino Luciani Giovanni Paolo I” ( Tipi Edizioni - Tipografia Piave), un testo di oltre mille pagine con la prefazione del cardinale Beniamino Stella, postulato- re della causa. Davvero sorprendente anche quanto riportato alla luce da Gilfredo Marengo, docente di antropologia teologica al “Giovanni Paolo II” nel libro “La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli Archivi vaticani” (Libreria Editrice Vaticana), in cui ha condensato il frutto della ricerca che, per la prima volta, ha riportato alla luce i documenti preparatori dell’enciclica. Tra tante carte sorprendenti, l’enciclica “congelata”, di cui abbiamo parlato lo scorso 11 luglio, è sicuramente la più inattesa, prova delle difficoltà e delle complicazioni che accompagnarono la preparazione del documento. Ma anche della fatica compiuta da Paolo VI per trovare un equilibrio tra resistenze conservatrici e spinte al rinnovamento.

Tra norma e coscienza. Tanti, in questi mesi, anche i contributi di rilievo teologici, pastorali morali connessi all’enciclica di Paolo VI. Tra tanti articoli, libri, convegni, ricordiamo tre momenti di grande significato. Innanzi tutto il progetto della Pontificia Università Gregoriana che, dall’ottobre 2017 al maggio 2018 ha offerto un approfondimento di grande rilievo sul “Cammino della famiglia a 50 anni da Humanae vitae”. Decine di specialisti si sono confrontati mettendo in luce una serie di proposte di discernimento alla luce della complessità. Altrettanto importante il convegno dell’Istituto Camillianum, con un coraggioso e inedito confronto cattolici-laici e l’elaborazione di un Documento condiviso su generazione e responsabilità. Ultimo, in ordine di tempo ma non di importanza, il congresso annuale dei teologi moralisti (Atism) in cui, sempre a proposito di Humanae vitae, è emerso la necessità di offrire sguardi rinnovati sulla visione antropologica.

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